Viaggio in Congo, Africa: diario di viaggio di una viaggiatrice

Tornare in Congo, felice di assaporare il calore del suo sole ma incerta su che cosa mi aspetterà. C’è sempre qualcosa di nuovo ad attendermi…e la cosa un po’ mi innervosisce.

Ma come fai con la tua mole carica di immense risorse naturali, di grandi distese di savana e foresta tropicale, con i tuoi lenti ritmi a farmi trovare sempre amici nuovi, tramonti mai visti, sapori ed odori cosi delicati e cosi forti. Mi tocchi il cuore sai…. tutte le volte.

Arrivare all’aeroporto di Kinshasa è come essere catapultati in un formicaio vociante dove tutti urlano e fischiano e salgono sui nastri per recuperare le borse di imprenditori che non vogliono rimanere nemmeno un secondo di più al caldo afoso, nel vociare continuo. E quando tutto questo finisce eccolo là il traffico dell’unica strada asfaltata del Congo che ti ingloba.

Furgoncini adibiti a bus colorati a mano di giallo e di blu, con i finestrini senza vetri o con aperture tagliate malamente, zeppi di persone che saltano su di corsa con i loro immensi pacchi. E questo brusio di sottofondo non ti molla mai. Finché non ti immergi nella natura viva, la savana, la foresta tropicale. Il rosso della terra mi ricorda molto il colore forte dell’Amazzonia e il verde della natura gli fa da contrasto.

Lasciata Kinshasa, attraverso i soliti villaggi con le case di paglia o di mattoni rossi e il tetto sempre di paglia. Le persone sono placidamente sedute davanti alle loro case a parlare e i bambini a giocare allegramente. Tanti ci rincorrono al passaggio o ci salutano titubanti all’inizio e più energicamente quando rispondiamo al saluto.

Lungo la strada molte persone a piedi con i loro cesti sulla testa pieni di frutta, cassava, panni lavati al ruscello. Come sempre ci sono enormi camion stracolmi di cose e persone appollaiate sulle estremità più alte. Alcuni procedono lentamente altri sono fermi con il motore aperto e tutti intorno a cercare di aggiustarli. Altri stanchi si buttano a riposare sul margine della strada.

E poi la sera ti avvolge il buio più profondo. Spesso si cena con cassava e birra immersi nel buio o con la sola luce di una candela, se qualcuno l’ha portata. Mi rilasso sola a contemplare le stelle di un cielo meraviglioso. Intorno, i rumori tipici della notte ed è solo allora che il silenzio della mente di culla per trasportarti nella pace dell’anima.

L’indomani si ricomincia tra un contrasto continuo di gioie e di dolori. Racconti strazianti di madri o di bambini rimasti soli a lottare per non finire vittime della fame o di chi spregiudicatamente si è abbandonato al cinismo ed alla cattiveria.

Per cosa si può essere triste? Forse per un bacio mancato, per un sorriso non dato, per un incontro mai avvenuto. Ma se così è stato, se la vita ha girato in quel modo, se tu non c’eri….cosi doveva andare. E allora perché essere triste…non so, eppure accade. Eppure a volte mi sembra di aver raggiunto quella deformazione professionale che ti fa essere impermeabile al sangue, ai dolori, alle sofferenze….forse è questo che mi rende triste, quando mi rendo conto di non provare più quella rabbia nei confronti delle ingiustizie, quell’energia che non ti fa dormire perché, cavolo, quel bambino dovrà pur essere Africaaccolto da qualche parte e non ti scervelli più nei primi caldi di un estate troppo afosa, per trovare una soluzione…ecco quando passi per le strade polverose di una qualsiasi citta dell’Africa e non ti colpiscono più le mamme ai bordi che dormono con i loro bambini, oppure i militari impazziti che credono di essere ancora in guerra.

Mi rende triste l’indifferenza, anche la mia….

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