Passeggiate romane: un viaggio insolito nella capitale

Dopo circa sette ore trascorse nottetempo, con scarso giovamento della zona cervicale, nello storico pullman a due piani che da sempre collega il profondo sud con la capitale, giungo alla stazione Tiburtina che, ancora sonnecchiante, si ripopola velocemente di frotte di lavoratori che si immergono nel delirante traffico mattutino.

Roma è bella. Te ne accorgi quando sei un po’ più rilassato, quando la osservi con gli occhi di chi, avendoci trascorso qualche tempo per lavoro, l’ha conosciuta anche nei suoi lati più scomodi e finalmente riesce a concedersi il gusto di dialogare amichevolmente con lei, città-madre che trasmette, nonostante tutto, una piacevole sensazione rassicurante.

La spinta adrenalinica della scoperta mi infonde le energie necessarie per raggiungere la prima tappa, l’unica effettivamente già meditata nelle lunghe ore insonni di viaggio, alla conquista della giusta dose di caffeina e dell’adeguata quiete che una degna colazione richiede.

Eccomi, dunque, a Caffè Necci.

Un croissant di dimensioni spropositate, farcito con crema dal sapore prelibatamente casereccio e un cappuccino ben montato mi mettono subito di ottimo umore! Li gusto lentamente, seduta a un tavolino sulla terrazza ombreggiata, con un lieve venticello che concorre a diradare le nuvole del sonno. E osservo.

La gente è rilassata, un giovanotto in giacca e cravatta legge il giornale e il labrador accucciato ai suoi piedi lancia uno sguardo bonario al gattone del bar che ogni tanto viene a farmi una visita. Un papà dai lineamenti cubani si accomoda con sua figlia che comincia a giocare con la mascotte di casa, mentre un paio di ragazzi in scarpe da tennis condividono lo spazio con un anziano intento a sorbire il suo caffè.

Questo è un posto storico, aperto nel 1924 come bar e frequentato da Pier Paolo Pasolini, che qui e nei dintorni girò molte scene di Accattone, film uscito nel 1961. Sventrato da un incendio pochi anni fa, il locale è ritornato esattamente come prima, con uno spazio all’aperto utilizzato anche per un mercatino-aperitivo domenicale. All’interno, la sapiente dislocazione di vari punti luce, associata a qualche tratto di carta da parati anni settanta e all’utilizzo di tavolini di formato e struttura totalmente eterogenei, rende lo spazio caldo e accogliente. Necci è adesso anche un ristorante con prodotti a chilometro zero e una selezione di vini biologici, che associa elementi della tradizione a una cucina raffinata e attenta.

Mi distacco a malincuore da quest’angolo di quiete e decido di dimenticare definitivamente la stanchezza, dedicandomi per due giorni all’esplorazione della capitale, provando ad ammirarla da un’altra angolazione e scoprendone quei tratti di pelle un po’ nascosti eppur tanto seducenti, che ne esaltano il fascino e il carisma.

Andando via da Necci ne approfitto per fare un giretto nel quartiere che mi ha ospitata per qualche mese: il Pigneto.

Questa porzione di terra racchiusa tra la via Casilina e la via Prenestina subì una forte urbanizzazione nel primo dopoguerra, quando, con lo svuotamento delle campagne del centro sud, in molti si trasferirono in questa zona. Per decenni, con le sue case basse e i capannoni, è stato il quartiere operaio e la sua vocazione fortemente proletaria ha ispirato la geniale opera di Pier Paolo Pasolini.

Negli ultimi anni però, ha subito una decisiva metamorfosi, virando in una direzione a metà strada tra il radical chic e il ghetto un po’ losco, con boutique di giovani stilisti, ristoranti di alto livello, spazi industriali riconvertiti a locali alternativi, vinerie, caffè letterari, store musicali straripanti di vinili e street art ad ogni angolo.

Mi allontano dal Pigneto fiondandomi su quello che ho eletto come il mio mezzo di trasporto pubblico preferito della capitale: il tram numero 19. Un rapporto di amore-odio il nostro. Gli ho perdonato a stento le interminabili attese invernali che mi riservava prima di scorgerlo in lontananza, traboccante di passeggeri. Mi ha ricompensata ampiamente, dedicandomi ogni volta uno spettacolo differente, tratto dalle pagine del miglior manuale di sociologia.

Attraversando un gran pezzo di Roma, sembra conoscerla in ogni suo aspetto, e ne svela la molteplicità tramite i mille volti di chi vi sale a bordo. Operai con le facce un po’ stanche, immigrati profumati di patchouli e cumino, studenti universitari che sono tutti un vocio, medici e pazienti che si fermano al policlinico. E poi la zona benestante, che da Viale Regina Margherita passa poi per i Parioli, costeggiando Villa Borghese e prolungandosi fino a Valle Giulia, per poi sfociare nel rione Monti e Ottaviano, a due passi da San Pietro.

Io interrompo la mia traversata nei pressi di via Flaminia, che percorro a piedi passando dinanzi a Explora, il museo per bambini allestito come una divertente città in miniatura; proseguo poi verso via di Ripetta, passando per Piazza del Popolo, dove non posso fare a meno di volgere lo sguardo con rispetto verso la chiesa di Santa Maria del Popolo che, tra le belle mura rinascimentali, racchiude ben due tesori caravaggeschi.

Il mio itinerario intanto prende forma con spensieratezza, senza tappe prestabilite, solo direzioni.

Botteghe di artigiani, raffinate enoteche e negozi di design sfilano dinanzi ai miei occhi man mano che procedo lungo la strada che ospita anche la sede principale dell’Accademia di Belle Arti. Poco più avanti decido di fermarmi al museo dell’Ara Pacis, audace architettura contemporanea in pieno centro storico, che custodisce il prezioso e imponente altare voluto dal primo imperatore romano, Augusto, per imporre la pace in patria e nel mondo.

Fino a settembre il nuovo spazio espositivo del museo ospita la mostra dedicata alle avanguardie russe. Ne vengo letteralmente risucchiata. L’acceso cromatismo delle tele, lo studio dei volumi, la progressiva semplificazione delle forme di Malevich, l’astrattismo di Kandinskij e il suo associare colori, musica ed emozioni, l’universo immaginifico di Chagall, il suo poetico intimismo, l’impegno rivoluzionario dell’arte che si fa del popolo… un autentico vortice di emozioni!

Riemergo dall’estasi artistica e un inconfondibile languorino definisce spontaneamente la mia prossima meta: un bel piatto di tonnarelli cacio e pepe. Attraverso il Tevere, percorrendo ponte Umberto I, e m’incammino verso il mastodontico Castel Sant’Angelo. Quando già scorgo in lontananza l’inconfondibile sagoma del cupolone, l’afa e l’appetito mi suggeriscono di prendere al volo un autobus in direzione Trastevere.

Scelgo a caso la fermata e mi addentro lungo via della Lungara, nei pressi dell’Orto Botanico e di Villa Farnesina. Qui l’istinto mi sussurra di fermarmi a gustare l’ambito bottino. Così faccio: mi siedo nell’invitante taverna “il Miraggio”, dove uno zelante cameriere mi accoglie con un sorriso e capisco subito di essere nel posto giusto. Assaporo la prelibatezza e la semplicità di questo piatto tipico della cucina romana, apprezzandone la consistenza della pasta, corposa, che abbraccia il pecorino in un connubio perfetto, suggellato dallo speziato brio di un’abbondante manciata di pepe.

Sento in agguato l’inevitabile torpore pomeridiano e provo a raccogliere le ultime energie per un giretto nel cuore di Trastevere. Le scenografiche facciate dei bassi palazzi color ocra, le cortine d’edera che adornano i vicoletti, i panni stesi ad asciugare da un balcone all’altro, la miriade di baretti, osterie e piccole botteghe rendono questa zona una delle più deliziose e fotogeniche di Roma.

Il dedalo di stradine mi conduce dinanzi alla meravigliosa Basilica di Santa Maria in Trastevere, il luogo di culto dedicato alla Vergine più antico della città e forse il primo posto dove è stata celebrata pubblicamente una messa.

Gironzolo ancora un po’, curiosando nei negozietti vintage e sbirciando negli studi d’arte, ma la destinazione dove lasciar assopire questa prima assolata giornata romana per una volta l’ho già decisa: si tratta della Libreria del Cinema, in via dei Fienaroli.

Lo spazio riservato all’incredibile collezione di libri dedicati alla settima arte si affianca ad una zona bar il cui arredo, apparentemente casuale ma invece curato fin nel minimo dettaglio, riesce a far sentire l’avventore a proprio agio, quasi fosse a casa a gustarsi un bel film. La barista, che sembra sbucata da una pellicola di Almodovar, mi serve un ottimo caffè e io, ormai pervasa da una soffice stanchezza, provo ad abbozzare un programma per l’indomani mattina. Ma ci rinuncio all’istante, abbandonandomi volentieri a quello stato di pacifica soddisfazione in cui ogni pensiero è superfluo e confidando nella curiosità e nell’energia che accompagnano ogni mio risveglio.

 (continua…)

Continuate a seguirci per la seconda parte del diario di viaggio a Roma di Adele

2 commenti su “Passeggiate romane: un viaggio insolito nella capitale”

  1. Trastevere… ora in Italia è estate, agosto svuotava un tempo la capitale rendendo Trastevere il mio paradiso! Santa Maria in Trastevere e le sue celebrazioni in stile ortodosso sono anacronistiche ma imperdibili anche per un ateo… Dar Paoeta è (o dovri dire era?) una pizzeria poco lontana sempre affollata dove si respirava la romanità nelle calde serate in cui neppure il Ponentino riusciva ad alleviare la calura estiva. GRAZIE! Ho fatto virtualmente una passeggiata nella memoria…

  2. Bellissimo, complimenti! Mi è venuta la nostalgia di rifare uno dei miei itinerari di 5-6 ore a piedi sulle strade di Roma. La chiesa di Santa Maria del Popolo è la mia preferita! 🙂

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