“Requiem del Dodo”: una tomba-sitter italiana a Londra

Avete presente quel bel gioiellino d’oro che spesso vediamo al collo delle signore con un cordino nero? Spesso viene – per facilità – chiamato DodoMa il Dodo non è solo questo gioiello, è un animale e, purtroppo, di scarso interesse.

La scrittrice Arianna Gasbarro è riuscita ad unire, con intelligenza ed ironia, nel suo nuovo romanzo – Requiem del Dodo (Miraggi Edizioni) – due mondi praticamente sconosciuti: la professione della tomba-sitter e il Dodo, appunto. Sullo sfondo una straordinaria Londra che diventa il terzo personaggio centrale. L’abbiamo incontrata per voi per farci spiegare qualche dettaglio in più su suo nuovo libro.

Requiem del Dodo: ci spieghi il titolo?

Beh, possiamo affermare senza esitazioni che in questo libro si parla di morte.

L’Eterno Riposo e il dodo, uno degli animali simbolo dell’estinzione, sono la premessa per un romanzo in cui compaiono professioni bizzarre legate al mondo dei defunti. La protagonista femminile, Mia, infatti fa la tomba-sitter, oltre che la comparsa ai funerali, il dodo nel documentario che sta girando Mattia e tanti altri lavoretti inusuali e sinistri con cui arrotonda lo stipendio.

La morte quindi è un leitmotiv che accompagna il romanzo su vari livelli, dal mero contesto dei campisanti londinesi fino al disagio interiore e soffocato dell’essere umano, in questo caso l’altro protagonista Mattia, che d’un tratto si ritrova al cospetto della propria natura intrinsecamente precaria.

Curiosa la scelta del Dodo: da dove arriva?

Partendo dal presupposto che ciascuno di noi considera la propria morte come una sorta di estinzione, che forse è proprio il motivo per cui ci sembra un evento così inimmaginabile, il collegamento con il Dodo per me è stato automatico.

Inoltre buona parte del romanzo è ambientata all’interno del Natural History Museum di Londra, dove è conservato l’unico scheletro di dodo esistente al mondo. Ho visitato quel museo per la prima volta una decina di anni fa e mi ha colpito moltissimo, perché era straordinariamente interattivo e incredibilmente diverso da qualsiasi cosa avessi mai visto prima in Italia. Probabilmente anche allora il dodo mi è rimasto in mente, visto che certamente lo ricollegavo a ‘Alice nel paese delle meraviglie’ di Lewis Carroll.

In altre parole, credo che il dodo fosse semplicemente inevitabile.

Sullo sfondo del tuo romanzo c’è Londra: come mai hai scelto questa città?

Le ragioni sono tante.

Prima di tutto, io sono pazza di Londra. Ne sono follemente innamorata, anche se sono consapevole di quanto irrazionale sia questo sentimento, poiché ci ho vissuto e so bene quali siano i suoi limiti e quanto a tratti possa essere una città estenuante. Eppure per me resta sempre un luogo meraviglioso.

Ma non è questo il vero motivo per cui ‘Requiem del dodo’ è ambientato proprio lì.

Credo davvero che gli inglesi abbiano un modo diverso di rapportarsi alla morte. I cimiteri che compaiono nel romanzo, tranne forse Highgate, sono dei veri e propri parchi, accessibili e spalancati ai vivi che ogni giorno varcano quei cancelli per gli scopi più disparati. Tra i sentieri dei cimiteri si incontrano davvero le mamme con i loro bambini nei passeggini, oltre che i padroni con i cani al guinzaglio e gente in tuta e scarpe da ginnastica che va a fare jogging. Ecco perché Londra: perché tutto questo in Italia è inimmaginabile.

Mettendo a confronto le due realtà, in questo caso i cimiteri-parco londinesi e i grattacieli dei morti romani, luoghi sinistri e spettrali persi in un dedalo di traffico, credo che questa diversità nasconda due modi diversi di intendere la morte. Da noi sembra sia un tabù, quindi è solo a Londra che Mattia può affrontare il proprio percorso di consapevolezza e riscoprire il lato più naturale e inevitabile della sua natura mortale. Quasi l’aspetto ‘creativo’, si potrebbe dire.

La conosci bene questa città? cosa preferisci? cosa consigli di vedere?

Credo di conoscere Londra piuttosto bene e, come dicevo prima, ci sono tanti aspetti che adoro di quella città. Amo i parchi, ad esempio, straordinariamente curati e pullulanti di scoiattoli. Amo i musei, che non sono luoghi d’arte elitari e arcigni ma edifici pieni di vita, accessibili e magnificamente gratuiti. Poi, ogni volta che passo da Londra, mi ritrovo a passeggiare lungo il Tamigi, perché mi piace il modo in cui il fiume è parte integrante della città e adoro i suoi ponti.

Amo la metropolitana, naturalmente, perché dopo 25 anni a Roma per me una rete di trasporto simile resta sempre un miraggio.

In questo momento la cosa che più mi incuriosisce è la nuova funivia sul Tamigi: non l’ho ancora vista e non vedo l’ora di osservare Londra da lassù.

A proposito, un’altra cosa che consiglierei di fare è un viaggio sulla linea metropolitana DLR, quella che porta nella zona dei docklands, dove un tempo c’era l’antico porto di Londra. È a basso costo e offre uno spettacolare panorama di Canary Wharf, la nuova City.

Nel tuo romanzo emerge una professione alquanto singolare: il tomba-sitter. da dove ti è venuta questa idea?

L’idea della tomba-sitter nasce da una serie di considerazioni un po’ tetre. Da qualche anno vivo in un piccolo paese del Chianti, attualmente popolato in prevalenza da vecchietti. Naturalmente c’è un cimitero e mi sono ritrovata a pensare al fatto che in prevalenza i parenti delle persone sepolte lì adesso vivono a chilometri e chilometri di distanza. Un giorno mi sono chiesta chi di tanto in tanto si occupasse di andare a sistemare quelle tombe, che nonostante tutto hanno un aspetto decisamente dignitoso. Ecco quindi com’è nata l’idea della tomba-sitter: ho immaginato un mestiere che potesse rispondere a quel mio interrogativo.

Interrogativo che probabilmente nasce da quella che è la mia attuale situazione familiare, in effetti. In questo momento viviamo disgregati tutti in città diverse, quindi in un certo senso è un problema che sento sulla mia stessa pelle.

Il requiem del Dodo segue un altro tuo romanzo: “Alice in gabbia”. Quanto sei cambiata fra questi due romanzi? che scelte hai fatto? c’è stato un percorso di maturazione professionale? c’è un filo conduttore?

Parto dalla tua ultima domanda: sì, c’è decisamente un filo conduttore. Cercando bene tra le righe di ‘Alice’ si intravedono le basi per il ‘Requiem’. La consapevolezza di essere un organismo intrinsecamente precario è ciò che spinge Alice a lasciare il lavoro, nel tentativo di accettare soltanto i compromessi strettamente necessari per la propria sopravvivenza. La medesima consapevolezza è alla base dello sconvolgimento di Mattia, il tarlo che mina la sua creatività.

Quando ho scritto ‘Alice’ avevo appena rinunciato al mio contratto a tempo indeterminato per dedicarmi alla letteratura. Nel corso di questi due anni ho tradotto dieci romanzi e la narrativa occupa almeno 10 ore della mia giornata, è il mio lavoro a tempo pieno. Questo in parte mi proietta in una realtà quotidiana fatta di immaginazione, in cui sono costantemente circondata da personaggi irreali. Tutto questo naturalmente è importantissimo, perché sento che sto crescendo come scrittrice e credo di aver capito meglio che cosa voglio, quali sono i compromessi che sono pronta ad accettare e quali no, anche in questo campo.

D’altro canto, se davvero questa dovesse essere la mia vita per i prossimi quarant’anni, immagino la mia festa di pensionamento e vedo una bizzarra parata di personaggi immaginari che escono fuori da pile di vecchi libri e mi chiedo se tutto ciò non sia un po’ troppo inquietante, persino per me.

Arianna Gasbarro (Roma 1980), da sempre appassionata di letteratura, ha abbandonato il “posto fisso” per dedicarsi a tempo pieno alla scrittura e da questa esperienza è nato il suo primo romanzo, Alice in gabbia (Miraggi edizioni 2010). Con “Requiem del Dodo” ha inteso affrontare un tema universale e nel contempo vendicarsi delle papere…

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