Il Perù degli Inca: visita alla Valle Sagrada

Capitale degli Inca, Cuzco e la regione che la circonda pulsano ancora del ritmo vitale di quell’antico impero. Sarà la terra cruda e scura delle vette andine, saranno i colori sgargianti dei costumi tradizionali o sarà forse l’aria tersa che si respira a 3000 metri, ma visitare i siti pre-conquistadores della Valle Sagrada in Perù è un’emozione speciale. Sebbene poco sia rimasto, tra le rovine di Saqsawamán, Q’enqo, Pukapukara, Tambomachay, Pisac, Ollantaytambo e Chinchero, è ancora facile immaginare la vita in un territorio impervio e difficile di quel popolo sterminato dalle bramosie colonialiste del XVI secolo.

Partiamo di buon’ora con un autobus turistico e viaggiamo su strade trafficate di mezzi e pedoni. Gli strapiombi si aprono su vallate monocromatiche a cui fa contrasto il blu intenso del cielo. Saliamo e scendiamo di quota con gran facilità e subito percepiamo il dislivello nel respiro, che diventa talvolta più pesante.

Saqsawamán

La prima sosta è a Saqsawamán. Il nome è impronunciabile ed è per questo che la guida ci consiglia di associarlo al meno prosaico “sexy woman“: sembra brutto, ma funziona! In lingua quechua significa “falco soddisfatto” e anche noi, davanti a quei blocchi enormi di pietre dalla superficie irregolare eppure così perfettamente incastrate, non possiamo che esser lieti d’esser arrivati sin lì. Poco più di un quinto di quel che era quel forte difensivo è ancora visibile, ma la sua imponenza è sempre impressionante. Depredato dagli spagnoli, che usarono gli enormi massi per costruire le proprie abitazioni a Cuzco, la pietra più pesante supera le 300 tonnellate e fa ancora mostra di sé nelle mura zigzaganti su tre livelli. Mura dal valore protettivo, ma anche simbolico perché se Cuzco ha la forma di un puma, la testa è proprio Saqsawamán e le pietre allineate sono i suoi poderosi denti.

Un breve viaggio ci conduce a Q’enqo, che in lingua quechua significa semplicemente “zigzag”. Gli Inca forse erano dotati di senso dell’umorismo, oppure i canali scavati come una serpentina nella grande roccia calcarea ne hanno ispirato il nome. A prima vista il luogo ha poca attrattiva, ma è il suo uso passato ad accrescerne il fascino: i canali infatti venivano usati per i sacrifici umani, normalmente accompagnati dalla chicha (birra di mais fermentato) come anestetico, mentre una superficie piatta in cima alla roccia – oltre a delle grotte sotterranee, con altari ricavati nella pietra – servivano per le cerimonie religiose.

Lasciato l’autobus poco più a valle, raggiungiamo l’isolato Tambomachay inoltrandoci in un sentiero e scopriamo che El Baño del Inca è una fontana ancora funzionante. L’acqua vi sgorga copiosa e compie due salti a partire da una vasca cerimoniale in pietra lavorata, lasciando supporre che il sito fosse dedicato al culto dell’acqua.

Pisac

Attraversando la strada principale ci addentriamo nell’imponente struttura che domina la Valle di Cuzco. Osservando il panorama da lontano essa risulta invisibile perché perfettamente mimetizzata con la terra e la natura, ed è solo quando la luce si sofferma sulla pietra che emergono le sfumature rosate e giustificano il nome di Pukapukara, ovvero “forte rosso”. Ridotto a poco più di un tracciato perimetrale, con muri che si alzano solitari e impavidi, probabilmente era un casotto di caccia e un punto di sosta per i viaggiatori: gli studi hanno stimato che fosse composto da magazzini nella parte inferiore e sopra avesse dalle camere, da cui si godeva di una bella vista sulla vallata.

Per raggiungere Pisac ci inerpichiamo a piedi fino allo sperone di roccia dove la vecchia cittadella è incastrata. Una sosta, anche per tirare il fiato, consente di ammirare le gole sottostanti dove le coltivazioni a terrazzamenti, antiche di secoli e ancora in uso per la coltivazione delle tantissime varietà di patata, modellano la montagna con curve sinuose. A dominarle, un centro cerimoniale raggiungibile attraverso un sentiero e scalinate ricavate nella montagna. Da lassù la vista sulla Valle del Rio Urubamba merita lo sforzo e il senso di vertigini. La struttura è ben conservata e si intuiscono con facilità i templi e gli altri ambienti.

Rovine di Ollantaytambo

Anche le rovine di Ollantaytambo, le più lontane, sono spettacolari. Il loro fascino nasce dal fatto che fu uno dei pochi luoghi in cui i Conquistadores vennero temporaneamente sconfitti e la struttura del luogo è già una spiegazione eloquente di come fu possibile. I ripidi terrazzamenti, ricavati in una gola concava, furono il teatro dell’ispanica disfatta: gli Inca difesero il proprio territorio lanciando una pioggia di frecce, lance e massi. Lentamente risaliamo quello spazio impervio, calibrando le energie e il fiato, soffermandoci con nonchalance sul panorama. Come le centinaia di altri turisti che abbondano su quel fazzoletto di terra, veniamo indotti a osservare l’alta montagna di fronte: il volto di un antico guerriero scolpito dalle ere geologiche ci osserva; sulla testa porta una corona, ovvero un edificio ricavato nella pietra così come quello accanto, più grande.

Ollantaytambo non era una fortezza, sebbene la posizione induca a pensarlo, bensì un tempio. In cima, appoggiato al crinale troviamo mura diroccate e già incomplete al momento della Conquista; restiamo interdetti davanti alla mole di pietroni usati per la costruzione e – come per tutte le grandi architetture di cui non v’è carteggio – ci chiediamo quale entità abbia trasportato e costruito edifici con materiale tanto possente. La risposta arriva schietta dalla guida, che stigmatizza ogni incursione aliena e mostra la cava sottostante, sulla riva opposta del Rio Urubamba: con una sorta di diga che deviava il corso del fiume, i grossi blocchi venivano spostati da una riva all’altra e poi issati con funi e infine rotolati; la loro forma perfetta e la precisione d’incastro era ottenuta attraverso la lavorazione con acqua, argilla e minerali. Niente di misterioso o fantastico, se non i limiti mai finiti dell’intelligenza umana.

Chinchero

Sulla via che ci riporta a Cuzco sostiamo infine a Chinchero. Gli Incas lo definivano “il posto dove nasce l’arcobaleno”, ma sul far della sera le rovine del massiccio muro non hanno la poesia che ci si aspetta dal nome. Appena superato lo sbarramento si apre un mercato: nel buio conclamato, la merce si distingue appena ma i venditori si premurano di inseguirci e metter sotto i nostri occhi i beni in vendita, proclamando grandi sconti di fine giornata. Tralasciamo l’ennesimo ninnolo – di cui abbiamo le borse già piene – e subito siamo davanti alla chiesa coloniale costruita sulle fondamenta di un edificio inca usandone le pietre. Oltre la facciata bianca spagnoleggiante è un tripudio di motivi floreali e religiosi, colorati e intrisi d’oro per impressionare e quindi cancellare le credenze ancestrali.

Una giornata intensa e inebriante, con la testa pesante per le molte attrattive viste e per le escursioni di altezza. Bellezze particolari, dove sia il tempo sia gli uomini hanno infierito. Luoghi pacifici che si visitano con piacere, come preludio della vera grande eccellenza: Machu Picchu, la città perduta.

Informazioni utili

Alle rovine si accede solo col Boleto Turístico – il permesso rilasciato ai turisti – acquistabile esclusivamente a Cuzco, perciò portatelo sempre con voi. I siti sono visitabili in una giornata, affiancandosi a un’agenzia locale che fa risparmiare tempo negli spostamenti, garantisce la sicurezza durante le visite e fornisce guide molto preparate e professionali.

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