Le Meteore: viaggio nel cuore sacro della Grecia ortodossa

In occasione del nostro ennesimo anniversario di matrimonio le figlie ci hanno regalato un biglietto low cost per Salonicco: “Così poi potete andare a vedere le Meteore!”

Ero tanto emozionato dal fatto che per andare alle Meteore avremmo dovuto percorrere un lungo tratto della Via Egnatia, la strada romana che da Durazzo in Albania arrivava a Bisanzio, che l’ho imboccata nella direzione sbagliata, verso Bisanzio/Istanbul appunto. Dopo una mezz’ora di tanti dubbi e nessuna uscita autostradale, un casellante ci spiega che dobbiamo tornare indietro. “Ma tu non hai studiato il greco?”, chiede mia moglie con aria inquisitoria. “Sì, Erodoto e Plutarco cinquant’anni fa”.

Nel tardo pomeriggio arriviamo finalmente a Kastraki, il paesino ai piedi delle Meteore, in un B&B a cento metri dall’Agias Mandhilas, una grotta nel mezzo di una parete verticale dove ogni anno i fedeli più avventurosi si arrampicano per esporre colorati teli votivi come auspicio di buona fortuna. Probabilmente siamo stanchi, ma la prima impressione non è granché: torrioni cupi con in cima casette grigie contro un cielo slavato.

Prima di cena facciamo un briefing per organizzare la visita. Per mia moglie ci sono due possibilità: “Le vediamo tutte al mattino e la facciamo finita oppure, meglio, ne vediamo una e basta tanto le ho già viste in internet e sono tutte uguali.”

Devo dire, col senno di poi, che un po’ di ragione ce l’aveva. I monasteri attualmente visitabili sono solo sei degli oltre venti che nel periodo di maggior fervore religioso coronavano le cime degli altipiani e sono tutti raggruppati in dieci minuti di macchina. Mettete poi insieme il fatto che lo spazio in testa ai monoliti non permette grandi costruzioni, che la tipologia è sempre la stessa, monastero, e che sono stati costruiti o ricostruiti per lo più nello stesso periodo, dal XIV al XVI secolo, e capirete come allo sguardo del turista frettoloso gli elementi di questo complesso monastico noto come “le Meteore” si assomiglino molto.

Quello che però rende unico ogni singolo monastero è la sua incredibile posizione: da lontano si osserva con perplessità, da sotto si guarda con stupore, in cima si resta incantati, a parte chi ci arriva boccheggiando e con la vista annebbiata. In effetti per arrivarci bisogna fare a piedi scale più o meno lunghe, ripide e a strapiombo sul vuoto, meglio però che essere imprigionati in reti sollevate da carrucole a mano come si usava una volta. Soprattutto se è vero l’aneddoto di quel monaco che alla domanda “ogni quanto cambiate le corde?” rispose: “Quando si rompono”. Al terzo monastero mia moglie dice che preferirebbe comunque correre il rischio piuttosto che fare ancora le scale a piedi.

Per gli amanti dell’arte le chiesette dei monasteri sono ognuna un piccolo gioiello con pareti e soffitti completamente affrescati, iconostasi – nelle chiese ortodosse la parete che divide i fedeli dall’aula dell’altare – e porte finemente intagliate, arredi sacri e manoscritti di valore. In effetti in passato i monasteri delle Meteore hanno avuto un ruolo chiave nella storia della Grecia mantenendo viva la lingua, la cultura e l’identità nazionale sotto la lunga dominazione turca, tutti motivi che hanno spinto l’UNESCO a dichiarare le Meteore Patrimonio dell’Umanità. Oggi però si ha l’impressione, forse sbagliata, che siano diventati più che altro attrazioni turistiche.

Il secondo giorno con il sole il panorama diventa per miracolo quello che ci aspettavamo: piloni neri che si alzano da boschi verdissimi, pareti verticali che a guardarle dal basso fanno girare la testa, fessure e grotte che recano ancora i segni di un antico utilizzo come quella usata un tempo come prigione sulla parete di fronte al Monastero di San Nicolao Anapavsa.

I sei monasteri alla fine li abbiamo visti tutti. Agiou Nicolaou Anapavsa è il primo che si incontra salendo da Kastraki e sembra il meno visitato anche se possiede affreschi di un famoso pittore cretese del Cinquecento. Il Megalou Meteorou è quello costruito più in alto – 615 metri – ed è anche il più antico, il più ricco e il più affollato. Noi ci siamo arrivati quindici minuti prima dell’apertura e c’era già un pullman di turisti francesi in attesa. Il Monastero di Varlaam è un po’ più in basso su un’altra guglia a cinquecento metri dalla Grande Meteora e visivamente ne sembra soffrire un po’, ma possiede un ricco patrimonio di manoscritti in quanto è stato sede del più importante scriptorium delle Meteore.

Il monastero dell’Agias Triadhos è sicuramente quello più scenografico, appollaiato com’è su un torrione isolato che sembra impossibile salire ma, arrivati in cima, il panorama è spettacolare come il suo minuscolo orto sospeso sull’abisso. Il più fotografato è sicuramente il Monastero di Rousanou perché sta più in basso ed è visibile da tutti gli altri monasteri e dalla strada che li collega. Al suo interno abbiamo trovato un gruppo di coreani che ancora sta ridendo della capocciata che ho dato a un’architrave troppo bassa.

Al monastero di Agiou Stefanou ho messo alla prova il mio greco antico con la monaca che vendeva souvenir. Tra una risata e l’altra ha sbagliato a darci il resto per un libro che abbiamo acquistato. Se n’è accorta mia moglie: “Ma quanto costa tutta questa cultura?!” Siamo tornati indietro e, un po’ meno sorridente, ci ha dato la differenza.

Il tramonto dalle rocce sovrastanti la valle è meno affollato e meno rumoroso, solo una dozzina di romantici, e riconcilia il visitatore con lo spirito che a fatica ancora aleggia tra queste rocce.

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.