Viaggio in Nepal, un paese che insegna a prendere la vita come viene

Ci sono viaggi che restano nel cuore e altri da cui porti a casa il sorriso, quello che rimane stampato per giorni e che nella vita reale sembra un sogghigno beffardo. Questo sorriso io lo chiamo Effetto Nepal.

Paese conosciuto per la maestosità delle sue montagne – non a caso il tetto del mondo è qui – che ne sono anche elemento trainante dell’economia, il Nepal è uno dei paesi più poveri al mondo e forse uno dei più felici. Perché quando torni da qui, riesci a dare la dimensione giusta alle cose, ai gesti quotidiani. Dura poco, ma non si cancella mai del tutto.

L’ho imparato nel mio viaggio per trovare nuova linfa per la mia attività artistica, lungo questo paese pieno di contraddizioni, segnato dalla evidente cicatrice che ha lasciato lo spaventoso terremoto dell’aprile 2015 di cui ancora si sente l’eco. Ma i volti sorridenti, l’accoglienza calorosa non hanno intaccato un popolo la cui quotidianità è scandita dai riti religiosi e che a fine giornata, anche se solo di una scodella di riso, può dormire senza i morsi della fame.

Le tre città imperiali, Kathmandu, Patan e Bhaktapur hanno subìto dei danni, è innegabile. La macchina della ricostruzione non è ancora partita, tuttavia i monumenti più importanti sono ancora lì, pronti per essere visitati dai turisti provenienti da tutto il mondo, tra cui moltissimi dall’Italia. Le Durbar Square, il centro storico di queste città imperiali, raccolgono i più bei templi induisti del paese ed è facile capire perché da decenni siano sotto la tutela dell’UNESCO.

A Kathmandu, capitale più trafficata (e inquinata) d’Asia, va dedicato del tempo, almeno tre giorni. Dopo aver perso qualche ora a capire come districarsi agevolmente tra la folla, tappa obbligata è il centro storico patrimonio dell’UNESCO dal 1979. Qui il terremoto ha lasciato i segni più evidenti sul patrimonio culturale (su quello umano ne ha lasciati di devastanti nei villaggi più poveri a diversi chilometri dalla capitale, dove ora si tenta gradatamente di far arrivare nuovamente acqua corrente e luce).

Bodinath, Nepal

Kathmandu è un’esperienza difficile da descrivere in poche righe. Va vissuta con calma passeggiando per le sue strade polverose, oppure a bordo di un risciò, aspettando con pazienza che la Dea Bambina, la Kumari, si avvicini al balcone per un breve saluto, per poi perdersi nei negozi di pietre semipreziose o respirare l’aria di tempi passati lungo Freak Street.

Oltre alla valle, appena fuori Kathmandu, a circa quattro ore di autobus, vale la pena scoprire i rilievi più dolci di questo paese godendo della bella vista sulla valle e le montagne circostanti da Bandipur. Qui il tempo scorre lento, lo si prova passeggiando per le vie del piccolo centro abitato, circondati da bambini che chiedono un po’ di cioccolato. Uno scorcio perfetto per il mio taccuino.

Il mio viaggio è proseguito verso Pokhara. Qui la musica, è proprio il caso di dirlo, cambia completamente. Animata cittadina lacustre ai piedi della spettacolare catena dell’Annapurna, con il suo svettante 8000, è stata tra gli anni Sessanta e Settanta meta privilegiata degli hyppie. Oggi di questa comunità non rimane che la spensieratezza che si respira e le band che suonano dal vivo in ogni locale del paese, dalle nove a mezzanotte, propongono canzoni popolari alternate ai grandi classici della musica internazionale. Una band ha catturato la mia attenzione con una cover eseguita alla perfezione di Sweet Child O’ Mine dei Guns N’ Roses!

A Pokhara, se non si ha il preciso scopo di fare trekking non ci si annoia, anzi, ci si rilassa in riva al lago in uno dei tanti bar sorseggiando un lassi, dissetante bevanda indiana a base di yogurt aromatizzata con un pizzico di sale e limone. E lasciata alle spalle la città si ritorna verso sud, per un volo che mi ha riportata a malincuore in Europa.

Il Nepal ha tante anime, quella gloriosa delle scalate dei suoi avventurieri, quella di chi cerca se stesso e quella di un popolo che, davanti alla sua casa distrutta, ti sorride e ti insegna senza arroganza a prendere la vita come viene.

Foto di copertina: Mike Behnken

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