Viaggio sul trenino rosso del Bernina tra le valli e i ghiacciai delle Alpi

Dai vigneti della Valtellina ai ghiacciai dell’Engadina fino a toccare il cielo, a 2.310 metri s.l.m., a bordo di un treno dalla storia centenaria. Impossibile? No, se si tratta del trenino rosso del Bernina, un capolavoro dell’ingegneria svizzera che l’Unesco ha dichiarato patrimonio dell’umanità nel 2008.

Il treno parte da Tirano, importante centro economico e culturale della Valtellina, e compie la traversata alpina più alta in Europa fino ad arrivare a Saint Moritz, meta di villeggiatura svizzera rinomata nel mondo.

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A Tirano, città di origine medioevale e antica via di passaggio, dove sono con la famiglia, in compagnia di amici, è una giornata estiva, calda e afosa. La voglia di godere delle temperature più fresche della quota alpina è tanta. La curiosità di fare questa esperienza, di cui ho letto recensioni entusiasmanti, stuzzica la mia fantasia. Sono incantato all’idea di viaggiare a bordo di un treno, non solo per il fascino che questo mezzo conserva nell’immaginario del viaggiatore, ma anche per la sua storia.

Una storia che risale alla fine del 1800 quando la ferrovia retica fu voluta e ideata per collegare tre zone alpine, Valtellina, Val Poschiavo ed Engadina, e sviluppare il turismo. Il suo ingegnoso sistema di funzionamento, privo di ruota dentata e basato sul principio fisico dell’adesione, è stato adottato anche per la ferrovia giapponese HTR.

Alla biglietteria c’è fila, nonostante il prezzo dei biglietti non sia proprio “popolare”. A bordo le carrozze sono quasi al completo, anche quelle all’aperto, più costose, affollate di passeggeri decisi a sfidare il vento e le temperature dei versanti alpini pur di godersi un’esperienza unica.

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Al momento della partenza guardo l’orologio: la puntualità svizzera non è soltanto un luogo comune.  Il convoglio supera, con un lento incedere, alcuni centri abitati. Al brusio cittadino subentra molto presto il silenzio dei boschi, mentre l’aria diventa più leggera e profuma di montagna. L’ingresso nella Val Poschiavo offre i primi panorami sul torrente Poschiavino e su alcuni piccoli paesi adagiati alle pendici dei monti.

Il percorso attraversa il confine di stato tra Italia e Svizzera e tre diverse zone naturali e linguistiche per un totale di sedici fermate e sessantuno chilometri, con pendenze fino al settanta per mille e un dislivello di 1.800 metri. La tratta è attiva tutti i giorni dell’anno e richiede circa tre ore per compierla.

A Brusio il convoglio ferroviario percorre un tratto ad anello: è il viadotto elicoidale, un’opera architettonica divenuta simbolo della linea ferroviaria. Mi ritrovo affacciato al finestrino, insieme a bambini e adulti, ad ammirare incuriosito il profilo curvilineo del ponte e le prime carrozze che lo attraversano. Nei pressi di Miralago, una piccola contrada, le acque del lago Poschiavo si tingono di sfumature dall’azzurro al verde nelle diverse ore della giornata.

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Il tempo trascorre piacevolmente a bordo, sarà merito dell’alternarsi d’impressioni che non annoiano mai l’animo. Ogni angolo, ogni tratto, ogni curva regala un nuovo scorcio su borghi, gallerie, ponti sospesi, boschi, laghi e, infine, ghiacciai. Lungo la parte alpina del tragitto che comprende cinque fermate il connubio tra gli elementi naturali e le opere dell’uomo è più evidente.

Sull’alpe di Grum, a quota 2.091 metri s.l.m., scendo per attimo dalla carrozza in sosta. L’atmosfera è alpina: l’afa è ormai un lontano ricordo e predomina un silenzio surreale, forse perché nessuna automobile può arrivare fin qui. Gli occhi spaziano tra il panorama del lago di Palu e l’edificio della stazione costruito in pietra di cava.

Prima di arrivare a Ospizio Bernina, la stazione più alta (2.310 metri s.l.m.), la ferrovia costeggia le sponde di un lago: è il Lago Bianco. Le sue acque, prodotte dallo scioglimento dei ghiacci del Cambrena, hanno una tonalità verde chiaro inconsueta dovuta in parte alla presenza di un fondale sabbioso e roccioso.

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Dietro una curva, incastonato tra le cime del Bernina, appare il ghiacciaio di Morteratsch : dovrebbe scendere con un dislivello di 2.000 metri per sette chilometri circa, ma non è così. I suoi strati si sono ridotti a causa dagli effetti del riscaldamento terrestre. Non posso fare a meno di avvertire una stretta al cuore per questa riflessione.

Il viaggio termina a Saint Moritz. Mentre guardo dall’alto il lago di questa lussuosa cittadina mi tornano in mente le impressioni dell’esperienza appena conclusa. La bellezza di un paesaggio vibrante e mutevole che in alcuni punti assume quasi i contorni di un’ambientazione fiabesca, la presenza di opere antropiche di valore e la diversità dei luoghi attraversati hanno saputo regalare immagini pittoresche ed emozioni profonde in una cornice dal sapore un po’ antico, come la storia di questo treno.

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