Una storia di vento e surf

Ognuno di noi non è solo quello che appare agli altri, né, spesso, ciò che appare a se stesso. Questa è una storia di vento e surf, di emozioni e tribù, di scie e onde intorno a un lago che avete visto mille volte ma che adesso vi racconterò con altri occhi. I miei.

Una curva, altra curva… galleria.

Una luce forte e un lago accarezzato da mille farfalline impazzite. Stelle saettanti e coloratissime su un blu profondo e freddo danzavano come trasportate da una musica, come stregate in un gioco di intrecci. In lontananza, le colline, avvolte in una leggera foschia,]si tuffavano anche loro nell’acqua gelida.
Mi fermai ad ascoltare.

Mi parlava solo il rumore del vento… nessun motore a spingere e regolare quelle traiettorie, nessuna apparente energia ma una forza silenziosa… la stessa che mi ronzava nelle orecchie e mi faceva strizzare gli occhi.

Il lago, così avvolto nel silenzio, mi pareva diverso da quello che conoscevo. Si faceva accarezzare da piccole tavole e giocava con loro, mostrava di sé non tutta la forza, ma solo uno sfondo bluastro e brillante increspato dal vento.

Provai a entrare in quella tribù di pazzi che, azzerando ruoli e schemi sociali, si lanciavano all’impazzata nell’acqua invernale passando ore a guardare il vuoto, aspettando il vento, nell’osservazione attenta di rami e nubi, in attesa di un segno. La sola idea mi affascinava.

Il tentativo fu però una delusione. Un delirio di informazioni tecniche, attrezzatura difficile da trasportare e ingombrante, per attendere un vento che spesso non si faceva neppure vedere.

Svegliarsi la mattina presto, sacrifici su sacrifici e io che non riuscivo a capire. Fissavo incredulo la tribù alla quale ormai appartenevo, senza capire perché mai tanta testardaggine. Cosa li spingesse proprio non mi entrava in testa. E io che non riuscivo neppure a capire perché mi trovavo là a tentare movimenti che sentivo troppo goffi. Il lago sembrava regalare emozioni forti a tutti mentre riservava a me solo capricci.
Come una donna che non vuole farsi conquistare, semplicemente mi ignorava e così facendo cercava di farmi “mollare”.

Le sue piccole crudeltà, scoprii, vanno però amate. Spinto quasi soltanto da impegni presi andai avanti cercando di affascinare quella Circe che sembrava stregare tutti e con una grinta che riuscii a mantenere mi feci dire un piccolo grande sì.

Avevo tecnica e vento e l’acqua quel giorno premiò tutti i miei sforzi.
Capii che lasciarsi andare veramente non era soltanto arrendermi al lago ma ad una forza e finalmente planai. Il mio movimento da goffo divenne veloce e in sintonia, il vento mi sollevò, rimase sotto solo la piccola pinna, spaccava appena l’acqua tracciando un immaginario solco poco profondo che separava la mia incredulità da un incredibile volo.

Quel movimento che prima vedevo goffo adesso mi spingeva verso emozioni forti. Sentii l’adrenalina scorrere violentemente in tutto il corpo. Guardando gli altri sapevo che anche loro stavano provando le stesse sensazioni e percepii un senso di appartenenza e una leggerezza che mi stupì. Ero parte di una tribù di amanti di adrenalina, vento e emozioni.

La fisica che ci racconta, in tutta franchezza, i principi della planata, del mio “volare” sull’acqua, svanisce improvvisamente e tutto quello che sai rapidamente svanisce quando ti senti trasportare. La realtà viene offuscata quando ti senti in sintonia con la natura e ne percepisci e cavalchi la forza.

Subito dopo una nuova emozione: la paura. Paura di non saper gestire, guidare una forza così grande. E se non riuscissi a fermarmi in tempo? Ebbene… vi confesso… a volte proprio non ci si riesce a fermarsi in tempo.

I windsurfisti inseguono vento e onde, qualcosa più forte e grande di loro, e cercano di passarci attraverso. Attraversano con il corpo una forza e ci si cullano dentro per il tempo che dura.

Perché noi in fondo ci assomigliamo un po’ tutti. Lontani dai nostri copioni di vita “normale” si fanno previsioni, ci si sveglia con una sola domanda in testa all’alba ancora assonnati, ci si immerge nel traffico o si affrontano ore di strada deserta, chilometri e chilometri lontani dai comfort, vicini a quella scossa che ci solleva e ci fa volare.

Quando sull’acqua scorre la riga dell’increspamento e si annuncia imminente la possibilità di uscire, veniamo presi da una folle comune frenesia. Cominciano i preparativi.

Dopo, quando cala il vento o si è già troppo stanchi o infreddoliti, a volte doloranti, ci si riunisce intorno a un tavolo per raccontarsi aneddoti e progetti, limiti superati o da affrontare, dentro sensazioni di tranquillità e soddisfazione comune.
Condannati a questo delirio, stregati dalla natura, siamo quelli che trovate in silenzio a fissare l’acqua.

Nello sguardo limpido e libero si rispecchia la nudità dell’animo umano quando per un po’ si allontana da una coreografia che non ha scelto, quando si libra in volo.
Corriamo dietro a un momento, un attimo unico che spinge l’uomo a essere qualcosa più di se stesso.

 

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