In solitaria nella Lapponia svedese

Dopo aver letto e presentato il libro di Mirna non potevamo non farle alcune domande sulla sua avventura in solitaria nella Lapponia Svedese.

Mi chiamo Mirna Fornasier, abito a Trichiana in provincia di Belluno. Ho 47 anni, sposata con un figlio ventenne, lavoro come impiegata – ossia produttrice di carte, il più delle volte inutili – nel piccolo Comune di Lentiai, all’ufficio tecnico. Nonostante viva ai piedi delle Dolomiti, solo da pochi anni ho cominciato a frequentare la montagna, e questa è diventata la mia fonte di pace, irrinunciabile.

Nel giugno del 2008 parto con il mio enorme zaino -25 chili circa – contenente tutto l’occorrente per sopravvivere per una dozzina di giorni nella wilderness della Lapponia svedese, oltre il Circolo Polare Artico. Rigorosamente in autonomia, rigorosamente da sola. Il contenuto dello zaino è esattamente quello che mi serviva, niente di più, niente di meno, “l’essenziale”, appunto.

L’obbiettivo è l’attraversamento a piedi del parco nazionale del Padjelanta, una zona montuosa che si trova nella Lapponia Svedese a ridosso del confine con la Norvegia. Il territorio fa parte di una più ampia area, denominata con il termine “Laponia”, che è stata insignita del titolo di Patrimonio naturale dell’Umanità da parte dell’Unesco. Questa Terra è patria ancestrale del popolo dei Sami, da noi conosciuti come Lapponi (termine da evitare, dal momento che è un dispregiativo, suona come “straccioni”).

Il percorso si sviluppa su circa 160 chilometri ed è segnalato sia sulla mappa che sul terreno. E’ facilitato dalla presenza di ponti nei tratti di fiumi più pericolosi – ma non si evitano di certo molti guadi a piedi scalzi – e di bivacchi, che si trovano a distanza di un giorno di cammino l’uno dall’altro. La cosa più importante è la presenza del telefono di emergenza all’interno di questi bivacchi, importante perchè dalla partenza all’arrivo non c’è nessuna copertura telefonica.

1) Quale e’ stato il motivo che ti ha spinto ad una così difficile ed insolita avventura?

Sono partita senza un vero motivo, quello che mi ha spinta ad andare è stato un desiderio assoluto, istintivo, di farmi avvolgere da quegli spazi immensi, ma soprattutto da quel silenzio che sapevo avrei trovato: sapevo però che avrei dovuto essere sola. Credo che qualcosa di inconscio e nascosto profondamente dentro di me sapesse di cosa avevo bisogno in quel momento: solo dopo avrei scoperto quanto importante sarebbe stata questa esperienza per la mia vita. Per questo ora penso che dentro di noi abbiamo tante risposte, oltre che tante risorse, che non conosciamo.

2) Perché hai scelto proprio la Lapponia?

Ho cominciato a frequentare le Dolomiti dopo aver passato le vacanze – quasi per caso – in Norvegia. Avevamo accompagnato il gruppo scout di cui faceva parte nostro figlio ed io li avevo seguiti, molto scettica sul fatto che avrei potuto sopportare le scomodità di una tenda (sebbene in un campo fisso) e del freddo. Invece mi sono subito sentita a casa, accolta dagli spazi infiniti del Grande Nord. Quello che mi ha affascinato di più, e che tuttora continuo a ricercare, è stato il silenzio. La Lapponia – o Sapmi, per i Sami – mi è rimasta nel cuore, come una seconda casa.

 3) Da dove ha avuto inizio questo viaggio e dove si e’ concluso?

Il trekking ha avuto inizio a Ritsem, un  villaggio a 180 km da Gällivare ed è terminato 160 km a sud-ovest, a Kvikkjokk, un altro villaggio di 19 abitati a 120 km da Jokkmokk

 4) Avevi mai fatto esperienze di questo tipo in passato? 

Prima di questa esperienza avevo percorso altri trekking, sia in Scandinavia che nelle nostre Alpi, ma mai da sola. Andare da soli cambia tutto, amplifica i problemi:  bisogna essere preparati a risolvere da soli le difficoltà. Sebbene il percorso da me scelto non sia tecnicamente difficile, si tratta in sostanza di camminare, è essenziale sapere affrontare le difficoltà che possono arrivare. Il maltempo, i guadi da fare, il peso da portare per molte ore, il sapersi orientare, specialmente se – come nel mio caso – trovi ancora molta neve sul terreno. In parole povere, non si può improvvisare. Andare da soli amplifica i problemi, ma allo stesso tempo amplifica le emozioni.

5) Come hanno preso tuo marito e tuo figlio questa tua decisione di partire in solitaria in un luogo così  sperduto ed arduo?

Mio figlio mi ha semplicemente augurato “buon viaggio”, invece con mio marito le cose non sono state così semplici. Prima mi ha detto che ero matta, poi, vista la mia decisione, ha finto di assecondarmi, nella speranza che cambiassi idea prima di partire. Cosa che non è avvenuta. Lui era naturalmente preoccupato – ci sarebbe stato un buco di una decina di giorni senza aver nessuna notizia ed io sono una persona normalissima, non sono né alpinista né sono mai stata una sportiva, quindi i suoi dubbi erano legittimi. Però al mio ritorno è stato felicissimo ed orgoglioso.

 6) A livello di cibo come ti sei organizzata? E per la notte?

Al mattino mangiavo “risengrot”, riso cotto nel latte, durante il giorno un po’ di muesli e cioccolata; alla sera pasta condita con burro. Ho notato che, nonostante la fatica, sentivo molto meno che a casa la necessità di mangiare. La notte la passavo in tenda, una tendina monoposto. Questo mi ha permesso di scegliere i posti migliori dove dormire e, soprattutto, mi ha permesso di essere davvero da sola. Solo una notte ho dormito in bivacco, perchè aveva piovuto tutto il giorno, ero bagnata fradicia e con me tutta la mia attrezzatura.

 7) Quale e’ stato il momento più bello dell’intero viaggio? E il più difficile?

La cosa più difficile è stata la partenza, il viaggio, la traversata del lago (il percorso inizia dalla sponda sud del lago Akkajaure), le prime ore di cammino per tutti i dubbi sulle mie capacità di affrontare da sola un luogo così isolato. Durante la traversata ci sono poi stati altri momenti di difficoltà, ma ormai ero in ballo e non c’era altro da fare che superarli.

Il momento più bello direi che è stato al terzo giorno di cammino, quando ho avuto la netta consapevolezza di essere davvero entrata nel Grande Nord, ero ormai isolata da tutto e da tutti ed ho avvertito il respiro intenso, antico, della Terra che mi stava accogliendo. Indimenticabile.

8) Hai mai avuto ripensamenti prima della partenza? Se si quali?

Assolutamente sì, man mano si avvicinava la data di partenza ero sempre più insicura, mi davo della presuntuosa e della irresponsabile. Fortunatamente avevo previsto queste difficoltà e quindi avevo prenotato con largo anticipo tutto, così da non potermi più tirare indietro. Poi un mese prima della partenza mio figlio aveva avuto un brutto incidente d’auto, senza conseguenze fisiche per fortuna, e a quel punto davvero stavo per rinunciare, ma ho pensato che dovevo reagire diversamente. Ho fatto bene.

9) Ti sei mai sentita in pericolo o avuto paura? 

Ti devi sempre sentire in pericolo, se sei solo e senza possibilità di comunicare, perchè non ti puoi permettere di farti male,. L’istinto lo sa, tutti i tuoi sensi sono attivi al 100%, ogni tuo passo è misurato, l’attenzione massima.

Ci sono stati momenti di maggiore difficoltà, con il brutto tempo, la pioggia continua e il terreno scivoloso; sono caduta con lo zaino pesante giù per un boschetto ripido, non riuscivo a fermarmi e poi non riuscivo più a risalire. E poi una sera mi è venuta una forte sciatalgia ad una gamba, ero lontana dal rifugio e temevo che il giorno seguente non sarei riuscita a raggiungerlo per farmi aiutare. Invece con un antinfiammatorio e una dormita il dolore è scemato ed ho potuto riprendere la marcia.

10) Cosa hai apprezzato di più di questa avventura? Cosa ti ha insegnato?

Sicuramente la cosa che ho apprezzato di più è il rapporto profondo, intimo, che si è venuto a creare con la Terra che attraversavo: mi sono sentita parte di questo luogo, soprattutto mi sono sentita accettata per quello che ero e non dovevo fingere di essere diversa, di essere conforme a quello che richiede la società.

Ecco, direi che mi ha insegnato questo, a non aver paura a mostrarmi per quello che sono. Questo significa aprire delle porte, dove altri come te, vedendo quello che c’è dentro possono entrare. E’ alla fine quello che è successo con il mio libro e anche con le serate che faccio per presentarlo.

Io sono una persona molto riservata, ma quando racconto questa mia avventura credo che le persone che ascoltano avvertano l’autenticità di quello che dico, credo molti si riconoscano, si crea una bella energia.

Questo viaggio e poi questo libro davvero mi hanno dato tanto.

 

11) Quale e’ stato il motivo che ti ha portato a scrivere un libro?

La condivisione. Mai avrei pensato di scrivere un libro, nemmeno mentre ero lì che camminavo o quando sono tornata. Ma con il passare dei mesi mi sentivo che avevo dentro qualcosa di forte da raccontare, che non riuscivo ad esternare a voce. Questa cosa mi faceva stare male, sentivo la necessità di condividere quanto avevo vissuto, la bellezza che avevo attraversato e le mie emozioni, quelle emozioni di una persona normale come sono tante altre come me. Mi sembrava anche un bel messaggio da dare: non serve essere persone superdotate per cercare di realizzare i nostri sogni e per cercare di vivere in maniera più autentica. Anche senza dover andare in Lapponia..

 12) Pensi di intraprendere altre avventure simili in futuro?

Avendo la fortuna di condividere questa passione con mio marito, continuiamo queste escursioni nel Grande Nord assieme, naturalmente. Mi piacerebbe andarci in inverno, con gli sci. Il grande freddo, la luce rada, le aurore boreali…

Spero di riuscirci il prossimo anno.

Si possono seguire le avventure di Mirna direttamente sul suo blog: http://mirnafornasier.blogspot.com

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