Perù: un barlume di speranza

Viaggiare è anche, e sopratutto, conoscere le realtà locali del paese visitato: quanti viaggiatori partono per il Peru ogni anno per ammirare la bellezza incontaminata e misteriosa di Macchu Pichu o per vedere dall’alto le linee di Nazca? Eppure in questa nazione del sud America ci sono molti problemi e difficoltà che molti di noi ignorano o semplicemente non conoscono.

Per questo motivo abbiamo deciso di pubblicare il post di Giangi Milesi – presidente Cesvi nel quale ci spiega brevemente cosa vuole dire vivere (o sopravvivere) in Peru quando si fa parte di classi sociali povere e disagiate.

Sono tornato in Perù nel novembre 2011, a 17 anni dalla mia prima missione, nel 1994.

Fin dall’arrivo a Lima ho percepito vitalità e speranza. Nel 94 la città era spaventata e piegata sotto l’incubo del terrorismo: Sendero Luminoso cominciava a perdere colpi ma il terrorismo era ancora forte (nel 1996, nel centro di Lima, i Tupac Amaru sequestrarono per oltre quattro mesi centinaia di ospiti dell’ambasciatore del Giappone).

Proprio la fuga dalla Cordigliera sotto il tallone del terrorismo ha concorso a fare di Lima una megalopoli di 8, forse 9 milioni di abitanti, su 30 che vivono in Perù. Un milione sono accampati sui cierros del Cono Sur di Lima, colline desertiche e polverose fatte di sabbia, sassi e baracche.

Qui Cono Sur

Qui opera la Casa del Sorriso del Cesvi. Quando nacque, nel 2005, offriva protezione all’infanzia e all’adolescenza: assistenza medica, psicologica, legale e scolastica soprattutto per le adolescenti abusate e sfruttate sessualmente. Oggi è un punto di riferimento per tutto il Cono Sur dove fa le stesse cose in collegamento con altre organizzazioni di base, con le autorità – in particolare con la polizia –, con le scuole delle comunità.

Proprio l’incontro con una di queste scuole poverissime che la Casa del Sorriso sostiene, dà prova di quanto stia cambiando il Perù e quanta strada abbia fatto dal 94: l’incontro con i piccoli rappresentanti degli allievi, i metodi didattici fra i più avanzati, l’orto scolastico e i laboratori i cui ricavi vengono reinvestiti nella scuola…

Per strappare le ragazze alla prostituzione non basta sottrarle al controllo dei magnaccia, bisogna dare loro lavoro. E così, insieme con la Casa, Cesvi ha avviato il programma di inserimento lavorativo dei giovani. All’inizio, per realizzarlo, Cesvi creò direttamente alcune imprese sociali. Artytex, Yoper, Mystica hanno avuto successo tant’è che sono state vendute a imprenditori che hanno fatto proprio l’obbligo di assumere giovani svantaggiati o a rischio.

Cesvi da sempre ha operato perché economia e dono si incontrassero. Unirsi per realizzare al meglio obiettivi comuni è un bene e una necessità, ma senza perdere la propria speciKcità. Anzi, proprio per realizzare su scala più vasta l’obiettivo dell’inserimento lavorativo dei giovani emarginati si sta rafforzando la cooperazione fra Cesvi e mondo delle imprese peruviane con il progetto “Jes Empleo”, un complesso programma formativo che coinvolge 30 imprese for profit – interessate a coniugare business e responsabilità sociale – e 20 organizzazioni sociali che collaborano con il Cesvi nel reclutamento dei beneficiari.

Risultato: quasi 900 giovani formati e oltre 200 già inseriti. Un Paese che cresce – si stima che il Pil del Perù nel 2011 sia cresciuto quasi dell’8% – viene abbandonato dai classici donatori anche quando le sacche di povertà e sottosviluppo restano enormi. Cesvi cosa può fare per le masse bisognose del Cono Sur? Trovare strade alternative come il progetto “Jes Empleo”, con donatori alternativi come il Bid – Banco Interamericano di Sviluppo, puntando proprio sui cambiamenti: mobilitando risorse locali e facendo leva sulla scelta del neo presidente Ollanta Humala di inserire l’inclusione sociale nel proprio programma.

Qui foresta amazzonica

Dobbiamo continuare a operare in Perù per loro e per noi stessi. Un recente servizio fotografico da Puerto Maldonado (Antonio Escalade, Internazionale, 30 dicembre 2011) denuncia l’estrazione dell’oro e il contrabbando del legname, nemici mortali della foresta amazzonica e delle comunità native. Supportare le comunità native nel loro sviluppo significa proteggere un ecosistema con i maggiori indici di biodiversità del pianeta.

Nel 94 intitolai “Custodi dell’Amazzonia” il resoconto dei progetti del Cesvi nella regione di Puerto Maldonado, a favore di comunità a rischio di estinzione per la pressione predatoria esterna sulle risorse della foresta. Allora era poco più che un auspicio. C’erano i parchi, ma il governo stesso ne metteva in discussione l’integrità. C’era l’idea che intorno ai parchi fossero assegnate “zone tampone” alle comunità native per uno sfruttamento esclusivo e sostenibile. I collaboratori del Cesvi imparavano ad utilizzare l’allora sconosciuto Gps per le prime mappature del territorio.

Nel 2011 sono stato in un’altra regione della selva, Iquitos, dove la devastazione della foresta è cominciata molto tempo prima che a Puerto Maldonado. Ho visitato una comunità lungo il Rio delle Amazzoni che, grazie al Cesvi, si è fatta riconoscere sulla base delle nuove leggi; ha ottenuto l’assegnazione diun territorio che controlla; ne ha censito le risorse (legname pregiato, camu camu –un arbusto dai frutti ricchi di vitamina C –, mammiferi, pesci ecc.); ne ha definito le aree e i limiti di prelievo.

Insomma, quello che nel 94 era una speranza oggi è una realtà concreta che coinvolge decine di comunità native in tutto il Perù e nelle regioni di confine con il Brasile e la Bolivia.

Anche se il saccheggio continua, oggi si intravede un barlume di speranza.

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