Muoversi alle Maldive: un paradiso costruito sulle spalle dei nativi

Le milleduecento isole a cavallo dell’Equatore che formano gli atolli da sogno delle Maldive, sono una “terra” sognata e ambita da molti. Il livello di servizio offerto e l’esclusività del posto fa si che il prezzo di un soggiorno, volo incluso, non sia dei più economici. Andare alle Maldive è sicuramente un’esperienza unica ma che a volte può risultare noiosa se non si è abituati alla crema solare, al lettino o alle immersioni. Io ci sono stato tre mesi e mezzo, con restrizioni ulteriori di spazio dove non potevo avere contatti con gli ospiti al di fuori del lavoro. Sono forse uno dei luoghi più difficili dove vivere ed essere rimasto in questo paradiso per quindici settimane mi ha aiutato ad aprire gli occhi su molti aspetti, uno di questi è stata la condizione dei residenti, soprattutto per quel che riguarda la mobilità.

Gran parte dei residenti abitano a Malè, la capitale, altri nei villaggi-isola dei vari atolli. Considerando che di centonovanta abitate, quasi la metà sono adibite a resort – e il numero è in costante crescita – . Se per spostarsi dentro ai villaggi si usano auto, bici e moto, per spostarsi tra i vari villaggi di pescatori si usano due alternative: il Dhoni, barca manovrata coi piedi, e l’idrovolante. Fin qui mi sembrava una cosa del tutto normale, quello che invece poi ho scoperto non essere normale e, anzi, direi paradossale è che la capacità di spostarsi dipendeva molto dalla condizione del viaggiatore.

Il turismo è una delle due fonti di reddito assieme alla pesca, pertanto il turista è assai prezioso per l’economia locale. Mai e poi mai ci si sognerebbe di dire a un vacanziere “il tuo volo è pieno” e quindi di rimbalzarlo dall’idrovolante, cosa che invece accadeva spesso e volentieri ai nativi del posto. Ebbene si, credo che i maldiviani siano l’unica popolazione di questa terra che a casa propria sono costretti a cedere il posto e rinunciare a tornare a casa per lasciarlo ai turisti, praticando una vita da immigrato che per alcuni arriva fino a trecento giorni all’anno .

Nei resort, per legge e per favorire l’impiego nel turismo, il 50 per cento del personale lavorativo deve essere locale, ma per molti di loro il luogo di lavoro non è sotto casa, anzi spesso questa si trova a centinaia di chilometri di distanza. Le famiglie vivono con quello che invia a casa il dipendente, il quale spera di potersi recare da loro il più possibile. A volte la buona sorte gli sorride, specie in bassa stagione, e il problema per tornare a casa non sussiste o è marginale. Ma in alta stagione quando gli idrovolanti sono pieni, sprovvisti di radar – e quindi non volano di notte – e sottoposti a dei limiti di peso, la possibilità di essere rimbalzati è alta. Per poter tornare a casa, va inoltrata richiesta alla compagnia aerea, si viene messi in lista e se la richiesta viene accettata si può per lo meno preparare il bagaglio.

Emblematico il caso a cui mi è capitato di assistere: un ragazzo di un resort vicino aveva presentato domanda per un posto in un idrovolante, per recarsi a casa a qualche centinaio di chilometri a sud di Malè. Lo vedo la prima volta alle nove del mattino, poi altre svariate volte durante il giorno. “Non è possibile!”, esclamarà più tardi. “Cinque volte mi hanno respinto, due per limiti di peso, due per mancanza di posto e una perchè l’aereo stasera non riparte. Non vedo i miei figli da un mese. Ora ho un’altro problema, tornare da dove sono venuto. Devo trovare una barca che mi riporti indietro. E sono ormai le cinque di sera.” Infatti, essere messi nella lista non significa per forza poter partire: si entra nella lista, poi si valutano le ulteriori richieste, dove turisti e lavoratori stranieri hanno la precedenza, poi i locali. Questo perché mentre il turista è “sacro”, il lavoratore straniero solitamente ha un volo in pertenza per l’estero.

Il problema, come accennato, non riguarda solo l’aria, ma anche l’acqua. Ci sono barche che collegano le isole per trasportare le persone, altre che riforniscono continuamente le isole di cibo per i loro ospiti, ma che spesso e volentieri caricano persone per riportarle a casa. In genere tali casi non sono così frequenti ma può capitare che a volte il capitano decida di non ripartire e dormire in barca, altre volte il mare non lo consente, altre ancora la destinazione non è quella sperata. E così urge trovare una sistemazione per la notte. Quando invece la barca parte, si va incontro a una enormi perdite di tempo: il viaggio generalmente dura da una a più ore a seconda della clemenza del mare, senza contare le ore per caricare la barca.

E come se non bastasse, a volte ci si mettono pure le compagnie aeree straniere: basti pensare ai bagagli smarriti o consegnati nel posto sbagliato. Sono fatti comuni che succedono in tutto il mondo, meno comune è il sentirsi dire “il volo è pieno di bagagli, non c’è più posto per te perchè siamo oltre il peso limite”. A volte capita anche questo: un collega, proveniente da Addu, proprio l’ultima isola a sud delle Maldive, era rimasto bloccato a Malè: i bagagli di alcuni turisti dovevano essere consegnati e non c’era altra soluzione che far scendere i locali per far recapitare le valige con due giorni di ritardo, cambiando il piano di volo. Oltre al danno, anche la beffa di doversi pagare la notte in un hotel della capitale.

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