Fara Filiorum Petri, una pinacoteca a cielo aperto

Fara Filiorum Petri significa solo farchie? No, o meglio non solo.

Vagabondando nel chietino mi sono imbattuto in questo paese situato ai piedi della Majella. Il nome strano, che sa di antico, di altri tempi, mi ha incuriosito e ho diretto la prua della macchina verso questo centro di circa 2000 anime e ben 13 contrade: Fara Centro, Giardino, Piane, Colli, Colle S. Donato, S. Antonio, Via Madonna, Mandrone, S. Eufemia, Colle Pagnotto, S. Nicola, Campo Lungo, Vicenne.

Attraverso un ponte sul fiume Foro e di fronte mi trovo un borgo medioevale inerpicato su una collinetta di una decina di chilometri quadrati. Mi metto a sondare visivamente il circondario alla ricerca di tracce romane, inutilmente. Parcheggio di fronte ad uno scalone moderno, sotto le mura, e penso che magari dall’alto la situazione sarà sicuramente più chiara. Salgo e la mia attenzione viene catturata da un murales che ovviamente fotografo.

Procedo, al momento non mi interessa, la mia indagine è volta a trovare qualcosa di romano, anche solo qualche scritta su una pietra. Nessuna traccia degli antichi eredi di Romolo e Remo. Tutto ciò che non è moderno ha un sapore tardo medioevale. Mah. Avanti. Mi intrufolo tra i vicoli e le vie. Altri murales. Sposto l’interesse su questo elemento anche perchè sono numerati, quindi li voglio vedere tutti.

Roma può aspettare, o meglio mi illudo ancora di trovare qualcosa in itinere.Un vicolo dopo l’altro, una piazzetta dopo l’altra svelano quasi tutti i 15 dipinti.

Si, quasi tutti perchè ne manca uno, il numero 1. “Possibile che oggi sia così sbadato?” mi dico.

Riparto infilandomi nei vicoli più stretti pur sapendo che è quasi impossibile che si trovi lì. Chi lo vedrebbe? Non lascio nulla di intentato, in fondo il paese è piccolo e si gira in fretta, più o meno. Scompaio e ricompaio più volte nelle stesse piazzette e qualche abitante mi guarda incuriosito, e anche divertito, tanto che uno più intraprendente degli altri mi si avvicina. Poche parole e siamo entrambi a nostro agio. Mi congedo dopo aver esaudito il suo desiderio di scattare qualche foto sua con un paio di signore fuori da un mini market. Che sia stato complice di un approccio? Magari!

Nel frattempo, dell’oramai epico numero 1 nessuna traccia.

Alla fine, mi arrendo ed entro in un bar vicino alla chiesa per chiedere dove poterlo trovare, sfruttando l’occasione per avere informazioni riguardo l’origine di un nome così antico. La mia ipotesi latina viene demolita dalla barista, la quale mi rivela che in realtà il borgo è LONGOBARDO! Non so se si è vista la faccia che cambiava colore assumendo tinte sempre più vicine alle fiamme dell’inferno e comunque, anche se l’avesse notata, sicuramente non avrebbe capito che sono stato miseramente ingannato dal nome: spocchiosamente, dentro di me mi ero già fatto la traduzione e scritto il canovaccio del film in cui un ipotetico figlio di un fantomatico Pietro, se non addirittura un figlio illegittimo del Pietro padre della chiesa, aveva fondato la sua personale città vicino ad una forra. Ringrazio, pago e me ne vado a fotografare l’ultimo dipinto che mi mancava ripromettendomi di approfondire la storia di questo paese. La cosa bella è che ho imparato un’altra lezione di storia, di geografia e di umiltà rispetto al fatto che le cose possono non essere come pensiamo come in un primo momento ci possonoapparire.

Poi, girovagando “in rete”, scopro che varie sono le tesi sulla successiva aggiunta di “Filiorum Petri”. Una delle più accreditate è quella che la fa risalire alla presenza dei monaci celestini nel convento di Sant’Eufemia, i quali si facevano chiamare “Figli di Pietro” in nome del proprio fondatore San Pietro Celestino. Per questo motivo, al fine di distinguere il paese dalle altre “Fare”, si iniziò a chiamarlo Fara dei Figli di Pietro, appunto Fara Filiorum Petri.

In fondo la mia intuizione non era lontanissima dal vero. Doveva solo essere ridimensionata alla realtà.

A proposito, l’opera che mancava alla mia lista si trova…. ALL’INGRESSO DEL PAESE!

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