Messico: tortillas che ballano la salsa, iguane vanitose e gli antichi maya (1 parte)

Quando tocchi il suolo messicano vorresti non tornare più a casa.

I giorni trascorsi nella penisola dello Yucátan, affacciata sul mare dei Caraibi, mi hanno permesso di scoprire il suo popolo, il suo mare, il suo cibo, la sua storia… ed è incredibile come tutto cerchi di trattenermi dal mio volo di ritorno oltre oceano.

Quando, il primo giorno, arriviamo a Chichén Itzá, importante complesso archeologico maya del VI secolo d.C. dichiarato patrimonio dell’umanità UNESCO, non posso non sentirmi minuscola davanti a tanta grandezza.

Chichén Itzá

E a questa sensazione mi abituerò presto, provandola ad ogni visita archeologica alle principali rovine maya della penisola. In lontananza scorgo dei nuvoloni grigi che non tardano ad arrivare facendoci correre sotto il tetto in paglia di un mini-market vicino ad un cenote, un tipo di grotta con acqua dolce abbastanza comune da queste parti. Gli acquazzoni tropicali sono all’ordine del giorno qui: per fortuna dopo poco più di mezz’ora la pioggia cessa, ma solo per lasciare il posto a un’umidità incredibile.

cenote

A pranzo inizio la mia relazione d’amore con le tortillas (focacce di mais cotte sulla piastra), ma ve ne parlerò meglio alla fine di questo post. Mentre ci dirigiamo verso il prossimo sito archeologico facciamo tappa a Muna, che in maya yucateco significa “acqua tenera”. Facciamo due passi tra la gente del posto al mercato coperto: il soffitto dipinto che ritrae le donne con i costumi tipici è bellissimo, ma un’altra cosa che mi colpisce è il sentirmi altissima con il mio metro e sessantacinque. Qui, infatti, nessuno è più alto di un metro e quaranta.

Il mercato coperto di Muna

Risaliamo sul pulmino e arriviamo a Uxmal, altra città maya risalente al VI secolo d.C. e anch’essa patrimonio dell’UNESCO, sul cui centro troneggia la Piramide dell’Indovino. La guida ci conduce al campo da gioco della pelota ed in cima alla grande piramide, da cui si scorge un edificio semi-sommerso dalla vegetazione circostante, la Colombaia, e da cui godiamo di una visione più ampia dell’intero complesso. Facile scorgere decine di iguane intente a crogiolarsi al sole sulle pietre roventi: sembrano proprio mettersi in posa per le foto dei turisti, e da allora mi piace ricordarle come dei rettili piuttosto vanitosi.

Trascorriamo serata e notte a Merida, capitale dello Yucátan, e ceniamo da Amaro (calle 59, n.507), ristorante di cucina tipica yucateca. È qui che assaggio per la prima volta le enchiladas di pollo con formaggio: ricordo perfettamente il sapore di quella salsa che, quando ha incontrato le mie papille gustative, si è messa a ballare con loro. È per questo che, dopo la cucina italiana, io adoro quella messicana. E anche il portafoglio aveva di che essere felice: 7 euro a testa bevande incluse.

Ma il viaggio è ancora lungo… vi aspetto alla prossima puntata!

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