La musicalità dei viaggi e delle parole: intervista a Vanni Spagnoli

Era notte
Quando ti portai sul molo
Scendemmo i gradini
Tenendoci per mano
Attenti a non profanare
Il respiro delle agavi

Questo l’incipit di una suggestiva poesia scritta da Vanni Spagnoli e intitolata “Isola del Giglio”. Amante dei viaggi, degli animali e della natura, Vanni Spagnoli è nato a La Maddalena. Di professione medico, è presente in riviste di poesia, critica, fantascienza ed in numerose antologie letterarie. Nel 1981 ha pubblicato “Prigioniero dell’alba“, la sua prima silloge di poesie edita da Forum/Quinta Generazione di Forlì. Sono seguiti sette libri tramite il sito ilmiolibro.it. Quando viene contattato per questa intervista, esprime tutto il suo entusiasmo e la sua passione per la poesia e per i viaggi.

Quando ti sei avvicinato al mondo della poesia e cosa rappresenta per te l’espressione poetica?

Non ricordo l’epoca precisa, anche se la poesia mi affascina da sempre e conservo ancora mie composizioni scritte, rigorosamente in rima, già all’età di dieci anni, naturalmente di argomento scherzoso e per particolari circostanze. Da allora non ho mai smesso, anche se, per fortuna, ho variato un po’ lo stile. “Espressione poetica” significa saper corteggiare emozioni e sensazioni, ricercando ciò che le accomuna con quanto provato dall’uomo, nei millenni, fino ad oggi, e renderle con dolcezza e musicalità di tratto, come una melodia leggera che rimanga impressa senza diventare un “tormentone”.

Come nascono le tue composizioni poetiche? Sono frutto di un lungo “labor limae”?

Sono per lo più scritte a mente, prima, a volte a partire da un improvviso ricordo, un profumo, un’emozione, e poi trovano, con calma, spazio sulla carta, con qualche cambiamento, in momenti successivi, finché non trovo l’espressione o la musicalità che mi soddisfa.

Quali sono i tuoi poeti ed autori preferiti?

Non leggo mai poesia contemporanea per non venirne, sia pure involontariamente, condizionato. Faccio una eccezione per il solo Hölderlin, il cui livello è tale da non far correre rischi di “parassitaggio”, anche involontario.

Cosa consiglieresti ad un giovane che si cimenta nello scrivere poesie?

Di non limitarsi a scrivere ciò che gli passa per la testa, magari andando a capo o scrivendo parole in rima. Ma di imparare prima la metrica, poi cercare un ritmo in quello che scrive, quindi di filtrare le emozioni, in modo che quanto scrive non appaia un lamento ma una lirica rivisitazione di una emozione. E naturalmente evitare errori di grammatica e sintassi, cosa più frequente di quanto non si creda.

Tramite il sito ilmiolibro.it hai pubblicato sette libri. Qual è la raccolta di poesie che esprime meglio il tuo sentire o a cui sei più affezionato?

Son tutte mie creature. Potrei dirti, alla maniera di Hikmet, che il più bello è quello che devo ancora scrivere. Ma, più seriamente, amo il primo, “Prigioniero dell’alba”, per il suo respiro universale, “Anime in transito” perché ha rappresentato una tappa importante della mia vita personale e “Isole”, l’ultimo, perché vi ritrovo tutta la musicalità e l’amore di cui sono capace.

Hai dedicato il libro “Isole” a tua moglie e alle isole amate: Creta, Ile De Ré, Isola del Giglio, Isola Palmaria, Itaca, La Maddalena, Lefkas, Lipsos, Milos, Paxos, Mont Saint Michel. A quali sei maggiormente legato? Cosa rappresentano per te queste isole come uomo e come poeta?

A parte mia moglie, naturalmente, vista come “prima isola”, forse Creta, per le emozioni che mi ha dato e perché solo in lei si può trovare tutta la Grecia ed il suo spirito, nel bene e nel male (penso al pessimo rapporto dei greci con gli animali, per me intollerabile). Come uomo rappresentano la libertà della solitudine, il carattere schivo, i sentimenti duri ma quasi sempre autentici, tramonti ed albe aperte, musica lontana sotto agli ulivi, fiorire di vele. Come poeta le stesse cose, non posso scindere l’essere uomo e poeta.

Sei un amante dei viaggi e della natura. Ci sono “viaggi interiori” che sono avvenuti in concomitanza o successivamente a tuoi viaggi esteriori ed hanno particolarmente ispirato la tua vis poetica?

Ogni viaggio per il mondo è per me strettamente legato a viaggi interiori, mentre lo sto vivendo, per le emozioni improvvise ed intense che mi suscita, e dopo, per la rivisitazione nella memoria, che me lo restituisce addolcito dal ricordo e foriero di stimoli di meditazione.

Hai scritto “I sogni non muoiono all’alba”, ironiche memorie dei tuoi viaggi tra Londra, le Highlands, la Bretagna, il Peloponneso e Creta. Si tratta di itinerari casuali o c’è un filo conduttore che lega per te questi luoghi così differenti?

Si, c’è una componente casuale, a volte una foto, una musica, un quadro, un film, un attimo che mi prende e mi fa desiderare di “verificarne” la consistenza. Ma c’è anche un filo conduttore, che è il desiderio di conoscere culture diverse, genti diversi e a volte (nei frequenti ritorni), ricercare emozioni differenti da quelle provate la prima volta. Su tutto, l’amore per la natura e le sue manifestazioni.

C’è qualche luogo che vorresti visitare o qualche viaggio che vorresti fare e che non hai ancora fatto?

Tantissimi. Tra i “fattibili”: Islanda, Irlanda e Repubbliche Baltiche.

Per concludere, che posto occupa la poesia nella società attuale? Qual è oggi secondo te il ruolo dei “poeti”?

Occupa un posto molto marginale, purtroppo, anche se ciò accade prevalentemente in Italia, a dispetto del nostro passato, anche recente (mi riferisco a Montale, Quasimodo ed Ungaretti): da noi, da sempre, il pubblico dei poeti è rappresentato solo da poeti o aspiranti tali. Il ruolo dei poeti, se di questo si vuole parlare, è di rendere migliore chi legge, facendogli riscoprire emozioni, sensazioni, riflessioni, che valgano a convincerlo che quanto ci unisce è sempre più di quanto ci divida e che, a dispetto di latitudini, razze ed epoche storiche, siamo tutti, da sempre, a dividere lo stesso cielo.

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