Viaggiare con le parole tra l’Italia e la Grecia: intervista al poeta Damaggio

Abbiamo intervistato Massimiliano Damaggio, poeta brianzolo (classe ’69) che vive tra l’Italia e la Grecia. All’età di ventitré anni, ha partecipato alla Biennale dei Giovani Artisti dell’Europa e del Mediterraneo, selezionato per la città di Milano da Giancarlo Majorino. Fino alla fine degli anni novanta ha frequentato la vita culturale milanese, per poi abbandonarla agli inizi del nuovo millennio e trasferirsi in Grecia. Per dieci anni ha quasi cessato di scrivere. Nel 2011 ha pubblicato il libro “Poesia come pietra” (Edizioni Ensemble), con prefazione di Carlo Bordini. Diversi suoi testi sono stati pubblicati su riviste cartacee ed on-line, in Italia, in Francia e in Grecia. Scrive e traduce dal greco moderno. Ha appena pubblicato in formato e-book il libro “L’illusione del bipede” con Clepsydra Edizioni. Dalle sue riposte, è emersa tutta la sua vis poetica e l’amore per una terra, la Grecia, dai forti contrasti e dalla difficile situazione socio-economica.

Da quanti anni vivi in Grecia? Com’è cambiata negli ultimi anni la situazione nel Paese?

Sono andato e tornato, e poi andato ancora, e poi tornato. Da poco vivo di nuovo in Italia. E’ come una difficile storia d’amore. E come i coniugi si guardano invecchiare, io vedo Atene cambiare e mi specchio nelle sue vetrine, cambiato. E’ normale. E’ purtroppo anche normale che la Grecia si stia lentamente trasformando in un paese europeo, smarrendo via via il suo carattere levantino, diventando banalmente piatta, prevedibile e adagiata in un letto di lattuga come gli altri paesi, banalmente europei. Ma lentamente. Per fortuna, la trasformazione non è ancora avvenuta e la grecità insiste, profonda, come una radice, resiste.

Quali sono i problemi contingenti della popolazione greca? E qual è la percezione che secondo te si ha all’estero (per esempio in Italia, tuo paese natale) della reale situazione del paese?

Le manovre della Troika hanno portato alla distruzione del tessuto economico e produttivo, alla perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro, al dimezzamento di stipendi e pensioni e ad altre devastazioni. Risultato: non solo una crisi economico-finanziaria ma, soprattutto, un’emergenza sociale poiché in molti hanno seri problemi di sopravvivenza. Il mio paese natale ha dato una grande dimostrazione di ipocrisia e visione stereotipata degli avvenimenti: frasi fatte, ignoranza e poca e cattiva informazione. Non mi sono sorpreso. Sono abituato alla provincialità degli italiani.

Quando ti sei avvicinato al mondo della poesia e cosa rappresenta per te l’espressione poetica?

Ho cominciato quando avevo circa 16 anni. Ho galleggiato a lungo nello stagno poetico europeo, che mi ha portato alla non-evoluzione. Sono anche sopravvissuto alla distruzione sistematica della letteratura praticata a scuola. A 19 anni, ho scoperto la poesia latino-americana, e in particolare quella brasiliana; un universo vitale, profondamente innovativo, multiforme, libero da condizionamenti intellettuali, stereotipi e da un certo manierismo noioso che caratterizza gli europei. Soprattutto, una poesia con i piedi piantati per terra, scritta da esseri umani per altri esseri umani. Che poi è comunicazione. Questo è per me la poesia.

Hai scritto “Oggi la poesia deve essere una preghiera. / Nient’altro che una preghiera / in forma di pietra / scagliata con la mano”. Cosa intendevi esprimere con questi versi? Qual è, secondo te, oggi il ruolo dei poeti?

Oggi è più facile definire il poeta un costruttore di case di carta in equilibrio su un falò. Ma non perché non ci siano i mattoni o il cemento armato. Perché non sa utilizzarli. Troppo rivolto verso la propria tranquilla banalità piccolo borghese, se ci fai caso, eccede in un “io” che non tange mai il “noi” o altri pronomi. Sono troppi quelli ripiegati su se stessi. Non comunicano nulla a nessuno. Molti sono dei semplici grafomani. Se la poesia avesse l’impatto psichico della preghiera, allora potrebbe diventare un’arma di comunicazione di massa. Allora sarebbe letta.

Spesso abbini reading di tue poesie alla musica. Secondo te, esiste un filo conduttore che lega queste due forme espressive? Quale potrebbe essere la colonna sonora ideale per le tue poesie?

La poesia “da sola” è una deformazione intellettuale. In tutte le società antiche, e in quelle che oggi sono rimaste tali, la poesia “da sola” non esiste: è intrecciata alla creazione musicale e/o ritmica: le parole si ricordano meglio in questo modo. Poesia e musica non sono due arti sorelle ma la stessa forma comunicativa, purtroppo smembrata. Se fossi capace di creare musica, molto probabilmente preferirei fare il cantautore.

Ne “L’illusione del bipede” definisci le parole “pallottole”. Vedi forse la poesia come un’arma metaforica per colpire il lettore e fargli acquisire maggiore consapevolezza di sé e del reale?

Sì. La poesia è comunicazione, almeno per me. Non voglio propriamente colpire il lettore. Ciò che m’interessa è provocare un foro nel muro di gomma asettico che avvolge l’uomo contemporaneo, per lo meno quello economicamente evoluto. Se poi la poesia ha “fiato”, il foro si allargherà fino a diventare squarcio. Oltre, c’è la realtà comune.

Atene (foto di Visit Greece)

Nel tuo ultimo libro si respira un certo pessimismo sulla natura e sulla condizione umana. Quali sono per te le illusioni più forti e le relative disillusioni dell’uomo moderno da te definito “bipede”?

Io parlo del disfacimento dell’uomo contemporaneo: nella sua schiavitù economica; nella sua incomunicabilità con l’altro (si comunica solo per quanto concerne la sfera più innocua dei rapporti fra le persone); nella sua semplificazione a consumatore; nel suo allontanamento convinto dalla natura e nella sua supposta deificazione; nella vacuità del suo considerarsi universocentrico. Mi preme demistificare la presunta bellezza di tutto ciò che è e che fa perché, semplicemente, tutto ciò non è vero. Non so se da questo salta fuori che, comunque, io, sempre, lancio un grido affinché l’uomo possa liberarsi da tutto ciò e diventare ciò che potrebbe essere: una creatura qualsiasi del pianeta in pace con tutte le altre, e quindi con se stessa. Allora sì, forse, avrebbe un significato. Essere altro: è l’illusione del bipede.

Se volessi o potessi scegliere un altro paese dove vivere che non sia la Grecia, dove vivresti e perché? E quali invece potrebbero essere le mete di prossimi tuoi viaggi?

Amo molto viaggiare e ho viaggiato molto. Una volta cercavo la bellezza, l’arte, la curiosità, la differenza. La sorpresa. Ero un semplice turista. Ora mi affascina riscontrare che dovunque c’è un’unità profonda che prima mi sfuggiva, negli uomini, nelle cose, nella natura. Il resto, non ha più nessuna importanza. Di conseguenza, qualsiasi meta va bene. Mi piacerebbe andare a vivere in un luogo bollente, polveroso, disorganizzato e senza supermercati.

3 commenti su “Viaggiare con le parole tra l’Italia e la Grecia: intervista al poeta Damaggio”

  1. Ringrazio Mara e tutta la redazione di Nonsoloturisti, queste bellissima rivista elettronica di altro/viaggio.
    L’ebook L’illusione dei bipede lo si può leggere qui

    Un caro saluto

  2. Grazie a te, Massimiliano, della dsiponibilità e degli ottimi spunti che hai dato nelle tue risposte.
    Buon inizio settimana, Mara

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