Il solitario di Providence: un maestro dell’horror (in)dimenticato

Giugno 1995. Sono in  un elegante, superstrafico hotel di Boston. Come ci sono finito? Semplice: siamo in viaggio di nozze.

Ma l’antiviaggiatore che è in me preme affinché questo pomeriggio da vip prenda una piega diversa: intanto ho fatto venire in camera due megapizze all included, una guarnita di tutte le carni possibili – pezzi di salsiccia, prosciutto, bacon, tacchino, pastrami (una sorta di pasticciatissimo e dolciastro paté a fette) e bocconcini di pollo… basta così, mi pare – ed una vegetariana, dove sotto lo strato di pomodoro e di pessimo formaggio fuso si celano – misti ad una selva di lattuga – cetrioli, melanzane, zucchine, carote, ravanelli, patate, spinaci e soprattutto tanta, ma tanta cipolla.

E così è già successa la prima storia. Per me sono deliziose, Giuliana dice che fanno schifo. E al dissenso sul pranzo somma un ulteriore motivo polemico: una giovane donna cui a sentir lei mi sarei troppo interessato in mattinata, ma della quale ricordo a stento il paio di lunghe gambe confinanti con i minipants a nord e gli zatteroni a sud. Tutto qua. Insomma, siamo impantanati nel classico battibecco da freschi sposi. Qui bisogna assolutamente dare una svolta… e allora ecco la soluzione: a meno di sessanta miglia c’è Providence, città natale di Howard Phillips Lovecraft, conosciuto anche come il solitario di Providence.

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Lo scrittore ispirato dai propri incubi, il creatore della mitologia di Chtulhu, l’Edgar Allan Poe dei poveri, la pietra miliare dell’educazione letteraria di noi malati di horror e fantascienza… Io me le sono divorate tutte, quelle storie da cagarsi addosso dalla paura, e adesso siamo praticamente lì: non possiamo non andarci.

Mi faccio approvare il piano – forse perché lo presento bene, forse per quieto vivere – ed eccoci subito in strada, perché il tempo a disposizione è pochissimo. Naufraga la trattativa con il primo taxista, un truce energumeno che non si fida di me, vuole la bellezza di cento dollari e tutti anticipati. Il secondo cab driver – un ometto di colore tale e quale a Spike Lee, occhialoni e ciabatte comprese – è più simpatico. Sono sempre cento dollari, ma almeno metà adesso e metà al rientro.

Un’ora e mezza di trafficate tangenziali e Providence ci accoglie. Sembra deserta ed anonima, ma non lasciamoci fuorviare dalle apparenze. Basterà chiedere un po’ in giro e vedrete, quante reliquie salteranno fuori! Uno scrittore famoso e osannato oltreoceano, ci sarà un monumento, una piazza, la casa natale… Intanto però i primi tre o quattro radi passanti non sanno neppure chi sia. Uno mi indirizza alla biblioteca comunale. Mi sembra un’ottima idea, ora sì che ne veniamo a capo. Ci andiamo io e Spike Lee. Giuliana rimane in taxi sola e infuriata. Ma nel catalogo della biblioteca non ci sono libri di H. P. Lovecraft, l’impiegata dice che nessuno li ha mai chiesti.

Vabbè, ho capito: nemo propheta in patria. A dir la verità uno straccio di libro ci sarebbe, ma è davvero una cavolata, un testo comico che inventa stupide storie di fantasmi nella case abitate da HPL a Providence. Una fesseria inutile, concludo dopo uno sguardo veloce. Ma non ho fatto i conti con il fido Spike, che pur avendo capito poco o nulla di quello che devo fare – o anzi forse proprio per quello, visto che gli ho genericamente parlato di uno scrittore che mi interessa e basta – mentre io valutavo il da farsi si è seduto a leggere sillabando, con l’idea di darmi una mano. E dopo un po’ si alza preoccupato e cinereo – i neri quando impallidiscono diventano… grigi, è logico –  per bisbigliarmi all’orecchio: “C’è scritto che sono case maledette, che ci sono i fantasmi!”

Incerto se ridere o piangere, ma soprattutto temendo che la paura lo induca a mollarci qui a Providence – ci mancherebbe solo questa, e Giuliana poi chi la sente?! – con suo grande sollievo batto precipitosamente in ritirata. Sulla via del ritorno non mi parlerà più, come prudenza esige. Anche Giuliana tace, come incazzatura esige. Me la sono meritata. Per poco non sono stato mollato sia dall’autore del cuore che dalla neomoglie che dal tassista. Lo sarei diventato io, il nuovo solitario di Providence!

Come ogni storia macabra che si rispetti, anche questa ha un finale aperto.

Tempo dopo, a vicenda chiusa – e pubblicizzata con quattro sghignazzi ad ogni ingenuo nuovo fan che incontravo – mi imbatto nei contenuti speciali di un dvd horror in cui sono scansite le pagine malconce di un manoscritto originale inedito, databile anni Venti del Novecento e forse attribuibile alla penna di Howard Phillis Lovecraft. È il diario di un viaggio giovanile nel delta del Po di cui tutto torna, tutto è possibile, realistico, probabilmente vero. Vi si parla di indizi dell’esistenza di misteriosi mostri anfibi, descritti in maniera assai simile a quelle che saranno le divinità aliene dei racconti classici di HPL: al pari dei loro parenti di fantasia del New England, essi terrebbero come schiavi i miseri villici tra segreti ricatti ed odiosi, inconfessabili, innominabili commerci. Nello stesso dvd c’è il documentario di una troupe di coraggiosi quanto incoscienti studiosi andati a investigare, che rischia una gran brutta fine, come nel film Blair Witch Project… ricordate? Ma quello era una bufala americana, qui invece abbiamo le prove.

Il paesino della laguna di Comacchio si chiama Loreo. Forse varrebbe la pena farci un salto…

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