Cosa vedere a Udaipur, la città blu del Rajastan

Alcune città si imprimono nella mente grazie alle persone che ci hanno guidato alla loro scoperta, regalando alla memoria una storia e una gamma di emozioni tutte personali. Così sono i miei ricordi legati a Udaipur, la città blu del Rajastan, definita da alcuni ‘la Venezia d’Oriente’, dove Uma (la nostra guida locale) ci ha accompagnato per due giorni aprendoci un po’ di più la fessura della porta verso la comprensione di quel grande caos sociale che è l’India.

Occhi di nocciola dentro laghi di latte, fisico muscoloso per lo standard indiano e sorriso accattivante di denti bianchi e puliti, Uma si faceva chiamare con l’abbreviazione al femminile del proprio nome, per rimarcare una ribellione verso gli stereotipi indiani e verso le regole cui deve sottostare il primogenito maschio di un’abbiente famiglia. Ricco anche di fantasia e con una gran voglia di giocare, questo giovane uomo è riuscito a rompere lo schema tra guida e visitatore, rallegrando in maniera esemplare il nostro breve passaggio nella sua affascinante città.

Sulla terrazza dell’imponente City Palace, la residenza di maharaja più vasta della regione, egli ci chiede senza preavviso: “Sapete che Udaipur è chiamata la città blu?”. Lo sappiamo, come siamo a conoscenza che Jaipur è la rossa e Jaisalmer è dorata. “Ok: guardate qui” taglia corto e indica dei vetri colorati con quel suo dito dall’unghia divorata. “Prima il blu”, e attraverso di esso la parte bassa della città, composta da case dal tetto piatto incastrate come forme del tetris, si colora del filtro scuro. “Se ora guardate in quello rosso vedrete Jaipur e in quello giallo c’è Jaisalmer” spiega ridendo, soddisfatto della sua trovata semplice e geniale, perché la vista non cambia ma la mente gioca con la realtà, suggerendo che i confini sono anche i limiti posti dalla nostra mente.

Passando accanto allo Shiv Niwas Palace Hotel – un’ala del City Palace – Uma ci informa che in quell’ambiente girarono nel 1983 diverse scene del film “Octopussy – Operazione Piovra” della serie “007”, quando ancora Roger Moore era in carica come spia per la corona inglese. Non solo il Palazzo, ma anche il Lake Pichola, cuore romantico della città, fece da sfondo spettacolare alle riprese, approdando fino all’isola Jagniwas dove si trova un hotel davvero esclusivo. E se queste informazioni poco ci avessero interessato, Uma aggiunge che quel film l’aveva visto al cinema accompagnato da suo padre perché le pellicole occidentali, in India, sono considerate pornografiche. “Troppi baci”, spiega mentre la radio in sottofondo passa la canzone di un film di Bollywood.

“Chiudete gli occhi”. Gli ubbidiamo tra il verde curato del Sajjan Niwas Garden e improvvisamente la giornata serena si anima col rumore della pioggia, ma quando torniamo a guardarci non c’è acqua su di noi. “Una doccia secca”, dice ridendo e avanzando sicuro tra le specie di alberi tropicali, sotto i quali famiglie e innamorati cercano riparo dall’afa monsonica. Davanti a un’altra fontana il suo batter di mani provoca solo un debole zampillio. “Non ho abbastanza energia”, confessa sconsolato. “Provate voi”. Allora gli zampilli si animano baldanzosi e l’acqua s’intreccia ad altra acqua, creando uno spettacolo che di magico ha solo il modo in cui si è generato. Poco importa sapere che un messo, pagato poche rupie, apre i rubinetti a comando: è lo spettacolo regalatoci da Uma ad averci conquistato.

È il suo approccio poco convenzionale che ci spinge a chiedergli di non portarci nei tanti – troppi – negozi dove i turisti sono solo delle carte di credito ambulanti. “Cosa volete?”. Ci accontenta anche se così dovrà rinunciare alla percentuale sulle vendite. A pochi passi da casa sua cado in un’estasi mistica dentro un negozio piccolo ed elegante, stracolmo di quaderni d’ogni formato, ricoperti da tessuti in seta dai colori e dalle lavorazioni diverse: ciascuno ha il proprio paradiso e io, lì, avevo trovato il mio. Dalla parte opposta della strada, un bazaar ci attende con le sue bambole e i giochi d’intelligenza: trascorriamo abbondanti decine di minuti in compagnia del proprietario e di passanti attirati dalle nostre risate.

Momenti indimenticabili di un viaggio lungo e a tratti faticoso. Forse a Udaipur non avremo visto tutto, ma quel che abbiamo vissuto resterà fisso nel nostro cuore per sempre, come qualcosa di unico. Come quella ragazza alla fontana avvolta in un sari rosso che Uma ci indica. “Mia moglie” dice, mentre lei scompare dentro un uscio aperto e ci pare l’essenza stessa dell’India: bella e inafferrabile. Lei è l’ultima suggestione, la più intima, che questo ragazzo vivace e pieno d’inventiva ci porge prima di riaccompagnarci in hotel e riprendere ciascuno la propria strada. La propria vita.

1 commento su “Cosa vedere a Udaipur, la città blu del Rajastan”

  1. ho vissuto un’esperienza simile a Jaipur, quando trovi qualcuno che sa portarti nel suo mondo, in quel modo, il viaggio prende una piega inaspettata e quello che non stavi cercando ,trovi!

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