Paura, amore ed emarginazione: la storia di una bambina albina in Tanzania

Ti temo perché sei diverso. Ti perseguito perché ti temo. Sei diverso, siete in pochi, e per gli Spiriti del lago tu sei soprannaturale. Molto più simile a loro che a noi. Sospeso tra due mondi sfuggi al mio controllo e, proprio come gli Dei, puoi essere disgrazia nera o fortuna color oro. Eppure come me piangi e ridi. Sei o non sei un essere umano? Questo mi domando io. Ma… Io chi?

La bellezza dell’Africa, selvaggia e misteriosa, arida o rigogliosa, sempre vitale e pulsante, è come una maledizione che assale chi ci abita e chi la visita. Un incantesimo da cui non ci si può liberare e che perseguita le persone che si allontanano dal continente che è stato la culla dell’umanità intera. Un bellezza resa ancor più atroce e inarrestabile dalle infinite tradizioni, culture, credenze e visioni che si sovrappongono in ogni angolo del continente. Tradizioni talvolta spietate, che si riversano su chi meno di tutti può difendersi dalla violenza generata dalla paura e dall’ignoranza degli altri esseri umani.

È il caso, tra gli altri, degli albini africani. Queste persone, nate senza melanina, il pigmento in grado di sviluppare il colore naturale della pelle e dei capelli, sono visti con timore e fastidio dalle comunità in cui nascono. Sono le ombre bianche. Vengono allontanati dalla famiglia e dalla tribù, rimangono soli ed emarginati, senza nome, senza diritti, marchiati senza averne colpa dal colore della loro pelle. Nei casi più tragici, i genitori arrivano persino ad abbandonarli e a ucciderli appena nati, convinti che in questo modo allontaneranno dalla propria casa il potere degli spiriti maligni.

É proprio in Tanzania, nel cuore dell’Africa, che Cristiano Gentili ha ambientato il suo romanzo, “Ombra Bianca”, un’opera di fantasia che però attinge a una realtà concreta e che, forse meglio di molti altri reportage, fotografa la situazione nella sua struggente drammaticità. Il libro, disponibile sia in formato cartaceo che come ebook, entra nelle paure e nelle angosce dei suoi personaggi senza velleità giustizialiste, concedendo a ognuno di essi il tempo e lo spazio per esprimere il proprio turbamento, per confermare di essere – prima che carnefici – vittime di sé stessi e della propria paura.

Ukerewe, un’isola nel Lago Vittoria a pochi chilometri dalla costa tanzanese, è come molte altre zone rurali dell’Africa una terra in cui si sovrappongono progresso e povertà, modernità e tradizione, credenze ancestrali e nuove fedi monoteiste. La nascita della propria figlia, celebrata con gioia da tutta la comunità di pescatori e allevatori, si trasforma in un dramma familiare per Sefu e Juma, rispettivamente il padre e la madre di una creatura indifesa la cui unica colpa è di essere venuta al mondo senza pigmentazione cutanea. Un’albina. Un’ombra bianca.

Proprio come il suo concepimento, anche la sua sorte dopo la nascita coinvolge l’intera isola, portando ciascuno degli abitanti e confrontarsi con le conseguenze di questo evento secondo le proprie credenze e la propria storia personale. Ogni voce è un lato della sfaccettata cultura tanzanese, ogni gesto è un’espressione della continua sovrapposizione di tradizione africana e recenti contaminazioni occidentali.

La varietà dei personaggi esprime compiutamente queste sovrapposizioni. C’è l’anziana Nkamba, madre di Sefu e nonna della bambina, portatrice di un’istinto genitoriale profondamente radicato nella storia dell’Africa. Ci sono le autorità locali, il capovillaggio Kondo, custode dell’ordine e dell’equilibrio, e il guaritore Zuberi, difensore delle antiche credenze e della tradizione. C’è un giovane contadino diventato prete e il suo saggio padre, e c’è anche una coppia di africani di origine britannica, concretizzazione dell’ondata colonialista e dell’eredità sociale ed economica che essa ha lasciato.

Ma più che i singoli elementi del racconto, ad indagare il fenomeno – e soprattutto le evoluzioni emotive che esso genera in che ne è testimone – è la prosa attenta e sensibile dell’autore. La narrazione permea ogni scena in ogni singolo dettaglio, restituendo al lettore un’immagine definita che non sarebbe stato possibile creare senza la profonda esperienza personale di Cristiano Guidetti. Un’immagine definita, ma non rigida, che consente al lettore di essere guidato sulle riflessioni dei singoli personaggi senza che gli venga tolta l’autonomia nel soppesarle e valutarle.

Con questa straordinaria capacità narrativa – sensibile ma decisa, completa ma aperta – Cristiano Guidetti fa luce su uno degli aspetti più drammatici e crudeli dell’Africa, convinto che la consapevolezza e la lotta all’indifferenza siano il primo passo verso un cambiamento condiviso. Un’opera che, non a caso, l’autore dedica “alle persone invisibili”.

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