L’Oceano Pacifico sta morendo: una traversata in yacht tra rifiuti e detriti

Ivan Macfadyen è quel che si dice un uomo di mare. Cittadino di Newcastle, Inghilterra, dieci anni fa Ivan ha attraversato sul suo yacht l’Oceano Pacifico da Melbourn a Osaka, fendendo le onde e assaporando l’energia vitale trasmessa dal grande blu. Ha ripetuto l’esperienza quest’anno, tra marzo e aprile, ma lo spettacolo che gli si è presentato davanti questa volta lo ha lasciato atterrito e mortificato: l’Oceano Pacifico sta morendo e si sta trasformando nella discarica dei rifiuti industriali di tutti il pianeta.

Nel suo racconto ai media, il lupo di mare britannico ha ricordato che nel corso della sua esperienza passata “non passava mai un giorno senza che catturassimo un bel pesce da cucinare e mangiare con un po’ di riso”, mentre il suono degli uccelli era una costante a cui occorreva abituarsi. “Li vedevamo seguire la barca, fermarsi sull’albero prima di riprendere il volo, sorvolare in stormi la superficie del mare per pescare le sardine.”

Quest’anno invece le uniche costanti del suo viaggio in mare sono state il silenzio e la desolazione.

Poco oltre l’equatore, al largo della Nuova Guinea, Ivan e il suo compagno di viaggio avvistano un enorme peschereccio al lavoro. Le operazioni di pesca proseguono senza sosta, giorno e notte. Il mattino seguente una scialuppa raggiunge lo yacht di Ivan, che teme un’aggressione pirata, ma i pescatori malesiani che si trovano a bordo gli offrono invece frutta e conserve, oltre a cinque grossi sacchi pieni di pesci di ogni tipo.

“Ci hanno spiegato che si trattava solo di una piccola porzione del pescato di un giorno, che a loro interessavano solo i tonni e tutto il resto era spazzatura da ributtare in mare. Praticamente setacciavano i fondali giorno e notte e li spogliavano di ogni forma di vita.”

Dopo aver superato il Giappone, l’Oceano Pacifico si presenta davanti agli occhi di Ivan come un’enorme discarica: migliaia di boe di plastica, cavi, reti e lenze da pesca, macchie di petrolio e carburante, banchi di schiuma chimica, bottiglie, sacchetti e pezzi di mobili di ogni genere. Molti di questi materiali erano stati trascinati in mare aperto dallo tsunami che colpì il Giappone nel 2011. L’imbarcazione di Ivan si muove con fatica in mezzo a questa distesa di rifiuti e la navigazione notturna diventa impensabile. Inoltre il giallo brillante che ricopriva lo scafo, che ha resistito per anni al sole e alle intemperie, per la prima volta mostra segni inusuali di scolorimento.

Tornato a Newcastle, Ivan Macfayden si è rivolto inutilmente a governi e istituzioni. Ora spera di coinvolgere gli organizzatori delle principali gare oceaniche australiane in un progetto per il monitoraggio delle acque e spera di riuscire a esercitare pressioni sufficienti sulle autorità affinché qualcuno finalmente intervenga. Mentre era negli Stati Uniti si è anche rivolto ad alcuni accademici americani per avere un parere sulla questione: “Ho chiesto loro perché non richiediamo l’invio una flotta per fare pulizia, ma mi hanno detto che il danno ambientale dovuto al consumo di carburante per svolgere un simile lavoro sarebbe stato più grave del lasciare lì quei detriti.”

I mari e gli oceani che ci circondano non sono solamente una distesa di onde in cui rinfrescarsi durante la stagione calda, o una cornice incantevole da immortalare nelle nostre foto delle vacanze. Sono fonte di vita e di sostentamento, il motore imprescindibile dell’ecosistema globale da cui tutti dipendiamo. Questo vale sia per l’immenso Oceano Pacifico, come per il nostro circoscritto Mar Mediterraneo. Una ricerca condotta da Greenpeace e dall’organizzazione ambientalista spagnola Oceana nel 2009 ha stabilito che il Mediterraneo è il mare più inquinato al mondo. Tra le cause di questo disastro ci sono gli scarichi industriali dei paesi che vi si affacciano, le rotte mercantili che lo attraversano e lo sviluppo urbano incontrollato, spesso alimentato dal turismo di massa. Oceana ha calcolato che ogni anno vengono riversati illegalmente nelle sue acque 400 mila tonnellate di idrocarburi, mentre nei fondali sarebbero depositati in media 1935 rifiuti per chilometro quadrato, che è la densità più alta di tutti i fondali oceanici del pianeta.

L’educazione al rispetto dell’ambiente marino è un dovere civico e morale per ciascuno di noi. Spero solo che nell’insegnare ai nostri figli quale bene essenziale costituisca il mare potremo continuare a usare i libri di geografia, e non quelli di storia…

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