La Grecìa Salentina #1: l’arte e la cultura di un’isola danzante

L’hanno chiamato rooting: viaggiare in profondità, alla ricerca delle radici storiche e culturali del territorio. È un nuovo modo di intendere il turismo elaborato da Agrifeudi, la società di promozione territoriale fondata da Letizia Sinisi per rinnovare la proposta turistica del Salento. Si tratta di un’esplorazione partecipata e sostenibile, un viaggio esperienziale attraverso una narrazione del territorio che include tutti i tesori artistici e culturali del territorio, passando per i sapori, i profumi, i colori e i materiali che compongono il mosaico umano di cui il Salento è la cornice. Il tutto confezionato in un pacchetto a misura di rootista, per rispondere agli specifici interessi del gruppo che vi partecipa.

Per darci un assaggio di questa concezione del viaggio, Agrifeudi ci ha portati alla scoperta della Grecìa Salentina, un’isola linguistica nel cuore del Salento dove la Magna Grecia ha trasmesso nei secoli una lingua di derivazione greca oggi nota come griko. Una spedizione suddivisa in tre atti per esaltare i volti di una terra dal fascino straordinario e dei suoi abitanti.

Il primo capitolo del nostro viaggio si concentra sull’arte e la cultura. Al centro, i suoni di una lingua misteriosa riportati in vita dall’associazione teatrale culturale Itaca Min Fars Hus che ha animato i luoghi storici dove si sovrappongono da secoli miti e tradizioni ancestrali. Il punto di partenza è Martano, borgo storico del Salento e cornice degli sfarzi offerti dal Barocco Leccese a partire dal XVI secolo.

La Casa della Monica (cioè “monaca”), che oggi ospita l’elegante albergo diffuso Borgoterra ci cui siamo stati ospiti, era la residenza di una congrega di monache laiche che dedicavano la propria vita alla carità e da essa traevano al tempo stesso sostentamento. Poco distante, la Chiesa Matrice offre il primo esempio della predilezione per gli eccessi del Barocco Leccese, un gusto confermato dalla Chiesa dell’Immacolata, il cui vistoso altare sembra essere progettato con l’intento di ricreare l’atmosfera di un caffè barocco.

Tra chiese storiche e palazzi signorili, veniamo introdotti al fascino della cultura grika, di cui uno dei tesori più inestimabili è lo straordinario senso dell’ospitalità del suo popolo. I residenti ci aprono porte e cancelli di antichi chiostri e dimore, e persino le macchine si fermano per strada per consentire ai rootisti di scattare foto e ammirare le architetture.

Poi il trasferimento a Corigliano d’Otranto per ammirare il Castello de’ Monti in tutto il suo splendore. O almeno in gran parte, visto che i puntellamenti ancora sostengono alcuni ambienti inagibili dove splendidi affreschi sono tolti alla vista dei visitatori. “Speriamo nella sovrintendenza”, ci confessa la nostra guida con rammarico.

Il Castello è stato una roccaforte contro l’avanzata dell’Impero Ottomano del XIV secolo. A partire dal 1630 la famiglia De Monti lo ha adibito a residenza nobiliare, ma le strutture militari ancora gli conferiscono una certa marzialità. Impressionante è soprattutto la torre del mastio, ultimo baluardo di resistenza in caso di assedio, dove l’abile progettazione ha creato al suo interno stupefacenti effetti di amplificazione, molto utili a favorire la coordinazione del reggimento al suo interno.

Dopo Corigliano è la volta di Galatina, dove lo stile gotico-romanico della Basilica di Santa Caterina d’Alessandria ci concede una tregua dagli sfarzi del barocco. In questa cittadina di oltre 27.000 abitanti la storia ha dovuto cedere un po’ di spazio all’urbanizzazione, eppure è proprio qui che la narrazione partecipata di cui questo percorso si fa strumento si è espressa in tutta la sua potenza. Il tema: il tarantismo.

Negli ultimi anni il fenomeno culturale noto come tarantismo è stato all’origine di un notevole impeto musicale, portando all’elaborazione di varie sonorità ai margini tra la tradizione e la sperimentazione e dando vita a eventi di fama internazionale come il popolare festival itinerante La Notte della Taranta. In Salento il genere musicale di cui il fenomeno si fa veicolo è noto come pizzica, ed era praticato dai suonatori per guarire la malcapitata di turno dai febbrili disturbi attribuiti al morso della tarantola. In realtà le condizioni di malessere soggette a tale cura erano spesso legate a profondi drammi personali, quali delusioni sentimentali o lutti familiari. A Galatina, dopo che i suonatori avevano liberato la tarantata a ritmo di pizzica – una terapia che poteva anche durare giorni – questa si recava alla Cappella di San Paolo, dove per espellere le rimanenti tracce di veleno beveva l’acqua di un pozzo contenente delle anguille, e poi onorava il santo per la grazia ricevuta.

Di questo antico retaggio l’associazione teatrale culturale Itaca Min Fars Hus realizza una straordinaria esposizione scenica. Non una rappresentazione, tiene a sottolineare la regista Anna Stomeo, bensì una “presentazione” nuda e cruda. Una scena di tarantismo di forte intensità emotiva che consente di visualizzare con chiarezza quale profondo coinvolgimento collettivo comportasse questa antica usanza.

Il ritmo della pizzica riempie le strade del Salento e ne rievoca l’orgoglio, la storia e la cultura. Più che una danza, essa è la voce dei secoli che riecheggia in ogni gesto e in ogni passo. È gioia e liberazione e, oggi come allora, è uno straordinario momento di aggregazione e condivisione.

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Le foto di questo viaggio

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