Volontariato e cooperazione internazionale: opportunità, pericoli e illusioni

Sono molte le ragioni che spingono giovani e meno giovani di tutto il mondo a cercare esperienze di vario genere all’estero. Il desiderio di rendersi utili, coniugato con l’irrefrenabile desiderio di infilare la propria vita in un bagaglio e aprirsi la strada verso nuovi orizzonti, sfocia spesso negli ambiti del volontariato e del cooperativismo internazionale.

Innanzitutto qual è la differenza tra un volontario e un cooperante? Si tratta di due termini che spesso si sovrappongono nell’uso comune, ma tanto per capirci solitamente parliamo di volontariato nel caso ci si rivolga a un’organizzazione non governativa per svolgere mansioni legate ai progetti della struttura. Solitamente non si percepisce alcuna retribuzione e spesso è richiesto anche un contributo economico per sostenere le spese amministrative, contribuire al proprio vitto e alloggio e supportare i progetti in corso.

Il cooperativismo internazionale, invece, è un concetto che nasce dopo la Seconda Guerra Mondiale: per sostenere la ricostruzione degli stati europei, Stati Uniti e Unione Sovietica finanziarono i paesi che rientravano nelle rispettive sfere di influenza, ottenendone in cambio sudditanza economica e collaborazione politica. Il concetto si è poi esteso ai paesi europei, che hanno cominciato a rivolgere aiuti economici e strutturali ai paesi in via di sviluppo.

La gestione della cooperazione allo sviluppo è solitamente affidata a organismi interni al Ministero degli Esteri dei vari paesi. In Italia si tratta della Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo. Nel corso degli anni i progetti di queste agenzie hanno coinvolto anche ONG e altri istituti privati, alterando la concezione di cooperativismo, originariamente prerogativa dei governi statali. In ogni caso si tratta di politiche fondamentali per lo sviluppo delle nazioni, animate dall’umano sentimento di solidarietà e collaborazione. Almeno sulla carta.

La prima controversia sollevata dallo sviluppo della cooperazione internazionale riguarda il grado di influenza che il governo donatore può esercitare sullo stato beneficiario. Se un paese affetto da gravi carenze strutturali comincia a dipendere quasi totalmente dagli aiuti stranieri in ambiti come l’educazione, la sanità e lo sviluppo urbano, è evidente che lo stato donatore sarà in grado di esercitare forti pressioni sul suo sviluppo politico, sociale ed economico. È spesso il caso di USAID, accusata di interferire con le elezioni in Russia nel 2012 e in Venezuela nel 2010, mentre a maggio di quest’anno il presidente boliviano Evo Morales – fautore della legge sui diritti di Madre Terra – ha espulso l’agenzia americana dopo averla accusata di cospirare contro gli interessi del popolo boliviano.

Inoltre non si può fare a meno di notare che intorno alla cooperazione internazionale ruotano interessi molto forti, alimentati da appalti, contratti di consulenza e vendita di materiali. Sfogliando l’elenco di consulenti e collaboratori DGCS si incontrano contratti per 70.000 euro in un anno per attività di assistenza, monitoraggio e altri incarichi non ben definiti. Ma i compensi per i cosiddetti “esperti” possono salire anche fino a svariate centinaia di migliaia di euro, spesso percepiti in aree dove il reddito pro capite non supera i cinque dollari al giorno e valutati in base al “coefficiente di disagio” legato alla destinazione.

Il volontariato internazionale solitamente non comporta tutte queste implicazioni di natura politica e sociale, ma la scelta dell’organizzazione a cui dedicare il proprio intervento è cruciale per evitare delusioni. Anche in questo caso, strutture molto grandi comportano grandi spese, che talvolta si riducono a un sostentamento fine a sé stesso invece di contribuire a migliorare le condizione della comunità per cui l’organizzazione è stata istituita.

Alcune buone domande da farsi prima di partire con un’organizzazione che non si conosce a fondo sono: come vengono utilizzati i fondi raccolti, quanto percepiscono i quadri dirigenti della struttura, se l’organizzazione impiega lavoratori locali ogni volta che è possibile, se gli alloggi e i servizi a disposizione dei volontari stranieri sono in linea con gli standard locali o costituiscono un lusso superfluo.

Di recente ho partecipato a un incontro informativo promosso da Projects Abroad, un’organizzazione non governativa nata in Inghilterra nel 1992 e oggi attiva in 28 paesi in tutto il mondo. Ne sono emersi alcuni spunti interessanti, applicabili a qualunque progetto di volontariato si voglia seguire con qualsivoglia organizzazione.

Innanzitutto la preparazione che precede la partenza: un tempo adeguato per svolgere tutte le faccende del caso (visti, documentazioni, vaccinazioni, raccolta di informazioni…) si aggira intorno ai due mesi. Questo consente ai volontari di arrivare pronti a vivere al meglio la propria esperienza e alla struttura ospitante di predisporre i necessari preparativi al loro arrivo.

E poi c’è una dote personale che è stata ripetuta più volte come un mantra: spirito di adattamento. Spesso a inseguire chimere di avventure all’estero sono ragazzi molto giovani, con scarsa esperienza, desiderosi di cambiare il mondo in cinque giorni ma senza sporcarsi eccessivamente le mani. Il volontariato non è questo. È piuttosto una sfida continua con le piccole avversità del contesto ambientale in cui ci si trova ad operare, una raccolta di tante piccole sconfitte e poche sudatissime vittorie. E soprattutto è una sfida con sé stessi e con un ambiente molto diverso da quello a cui si è abituati.

È anche vero che molte delle organizzazioni che propongono attività di volontariato all’estero si sforzano di rendere l’esperienza quanto più piacevole e divertente. E questo è al tempo stesso il punto di forza e quello di maggior controversia di una grande organizzazione come Projects Abroad. Questo genere di enti è fortemente incentrato sulla persona del volontario: ogni passo è monitorato e assistito, c’è massima libertà di scelta su destinazione, tipo di attività e grado di impegno. Questo allarga naturalmente la portata del progetto a ogni grado di preparazione e inclinazione, ma il pericolo è che per accontentare tutti, talvolta si mini la potenzialità del progetto stesso. Ne consegue che l’esperienza potrebbe divergere dal contributo verso la comunità, indirizzandosi sull’arricchimento personale e professionale del volontariato. Questo, però, non è interamente un male.

Io stesso ho partecipato a un progetto di Projects Abroad mentre ero in Sudafrica, e ho capito una cosa fondamentale: chi parte con la ferrea convinzione che sta andando a salvare il pianeta spesso non resiste alle frustrazioni necessariamente legate all’esperienza di volontariato nel suo complesso. È invece un atteggiamento molto più sano quello di chi, pur facendo del suo meglio per contribuire positivamente ad un valido progetto umanitario, si concentra anche su sé stesso e sulla sua esperienza personale.

“Credo che forse un aspetto importante dell’approccio sia lo scambio, – spiega la responsabile di Projects Abroad Italia Simona Eco – partiamo con la voglia di dare e di ricevere, di spiegare e di capire, di raccontare e di ascoltare, imparare e insegnare, guardare ed essere guardati. Chi parte come volontario non deve dimenticare che il proprio soggiorno ha una durata più o meno limitata, per cui il proprio contributo si inserisce in un progetto più ampio e duraturo.”

“Ci sono ovviamente i progetti per cui sono richieste delle competenze, ma in generale la possibilità di partire anche senza esperienza è resa possibile dalla presenza dello staff locale che lavora al progetto in modo continuativo, segue il volontario e ne monitora le attività e la crescita professionale. La presenza di personale qualificato consente di pianificare il ruolo di ciascun volontario tenendo in considerazione le sue conoscenze, le sue aspettative e le esigenze del progetto.”

In conclusione, direi che qualunque sia il progetto a cui si decide di aderire, occorre sempre valutare attentamente la struttura con cui partire, confrontando le proprie aspettative con il focus dell’organizzazione. Gli approcci possibili sono molteplici, l’importante è capire che cosa ci si aspetti da questo viaggio e se l’ente prescelto è in grado di offrircelo.

2 commenti su “Volontariato e cooperazione internazionale: opportunità, pericoli e illusioni”

  1. Complimenti, tutti dovrebbero essere informati prima di partire. Ho fatto un’esperienza di viaggio deludente al massimo. Si imponevano culture e scelte occidentali.

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