Nella splendida Irlanda: una giornata alle Isole Aran

C’è un mondo a parte, nella baia di Galway, e lo puoi raggiungere con i traghetti che partono dal paesino di Doolin. In effetti le puoi vedere già da lì, le tre minuscole e quasi piatte isolette adagiate nel mare. Si chiamano Inishmore, Inisheer ed Inismann: sono le Isole Aran. O forse dovrei dire Inis Mòr, Inis Oìrr, Inis Meàin, perché qui siamo in pieno Gaeltacht, Irlanda profonda.

E allora lasciamo Doolin – ed ahimé a malincuore anche il suo pittoresco Gus O’Connor’s Pub – per imbarcarci alla volta di Inishmore, la maggiore – si fa per dire – delle tre isole. Ad accoglierci, il villaggio di Kilronan, con i suoi negozi di maglioni di lana lavorati a mano. A proposito… lo sapevate che originariamente l’unicità di ciascuno dei differenti intrecci aveva lo scopo di agevolare l’identificazione delle salme dei marinai restituite dal mare? Già questo vi dà una prima idea di quella che doveva essere un tempo l’agghiacciante durezza della vita da queste parti…

La scena che ci si para innanzi alla spiaggia del porto, invece, ha molto il sapore dell’intrattenimento british: una partita di calcio in piena regola sul largo tratto di fondale emerso per la bassa marea!

Proseguendo nel cammino, un’altra spiaggia, deserta stavolta, e tanti muretti di pietra a secco. Sono i tristi walls of famine, il prodotto degli impieghi di manopera disposti per solidarietà a metà diciannovesimo secolo, nel vano tentativo di fronteggiare quella che sarebbe passata alla storia con il nome di Grande Carestia.

Cagionata dal crollo dei raccolti di patate, che erano praticamente l’unica risorsa e fonte di sostentamento dei contadini, la fame stava letteralmente decimando la popolazione dell’intera Irlanda, costringendo i superstiti ad emigrare verso gli Stati Uniti; e gli incarichi di costruzione di questi muretti avevano appunto la pietosa finalità di generare piccoli redditi di sopravvivenza.

Come anche altrove avrete occasione di verificare, questo paese ripresenta spesso ai nostri occhi ed alla nostra memoria i momenti più amari e drammatici della sua tormentata storia: ma accade sempre con composta dignità, senza autocommiserazione alcuna. E non ha forse l’immigrazione irlandese – tra le altre, compresa quella italiana – col suo duro lavoro, reso gli Stati Uniti ciò che sono oggi? Dalla disperazione può nascere la gloria, a volte…

Come a suo modo gloriosa è la destinazione finale della nostra passeggiata: il bastione neolitico di Dun Aengus, imponente anfiteatro a picco sulle vertiginose scogliere occidentali di Inishmore. Lo raggiungiamo attraversando una vasta area fortificata da sbarramenti di aguzze lastre basaltiche, ed all’arrivo lo spettacolo è letteralmente mozzafiato: nessuna barriera di protezione, se non un semplice avviso di prudenza, ci separa dall’abisso sul fondo del quale le onde si frangono contro la parete di roccia. A questo punto si dovrebbe aver compreso come il fronte di difesa e di combattimento fosse esclusivamente quello opposto.

E dopo questa suggestiva immersione nella preistoria, un salto a vedere il rientro pomeridiano dei pescatori, che scaricano sulla riva tappezzata di alghe le loro nasse colme dei grandi granchi e dei tozzi astici neri che popolano questi mari.

Il tempo di una Guinness – e per i più viziati e desiderosi di folklore da cartolina magari anche del classico giro in calesse trainato dai caratteristici enormi cavalli dalle zampe pelose – ed è di nuovo ora del ferry per Doolin e da lì del bus per Galway, con negli occhi e nel cuore il ricordo di una malinconica, poetica bellezza destinato a durare a lungo nella memoria.

Ed a rinnovarlo ogni volta che lo si desideri… le immagini raccolte in questo splendido viaggio.

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