La Sony Tower di Manhattan

Philip Johnson nel 1978 è chiamato dalla società AT&T a progettare la loro sede di Manhattan, posta al 550 di Madison Avenue. La richiesta del committente è molto chiara: basta coi soliti grattacieli tutti di vetro ed acciaio, tutti uguali. Per l’edificio serve il materiale più monumentale e solenne: la pietra.

Johnson studia le opere della Scuola di Chicago, quel gruppo di architetti che a fine Ottocento progettarono i primi grattacieli moderni cercando di attualizzare e reinterpretare tutte le soluzioni accademiche dell’architettura neoclassica e storicistica.

L’AT&T Building – poi diventato Sony Tower – è tripartito in basamento, fusto e coronamento, come le trabeazioni classiche ed i primi grattacieli. La struttura portante in acciaio è nascosta da 13.000 tonnellate di granito rosa del Connecticut, operazione che ha segnato il ritorno, dopo tanto tempo, del lapideo come pelle di un edificio. 

Non avendo abbastanza spazio per aprire una piazza davanti al palazzo, pratica comune per i grandi complessi immobiliari (Twin Towers, Rockfeller Center) Johnson apre al piano terra una loggia alta diciotto metri che ricorda per l’impostazione della facciata la Cappella Pazzi di Brunelleschi, mentre l’arco centrale si ispira agli archi romani, per la presenza nella volta di una cassettonatura. Questo grande spazio dalla funzione di filtro raccorda la strada con l’interno dell’edificio per la presenza di una scintillante scultura in bronzo dorato, il “Spirito della comunicazione” opera del 1916 alta quasi sette metri.

Se la loggia basamentale e l’arco d’ingresso sono principalmente di impronta rinascimentale, il fusto è una griglia sobria e rigorosa in cui la scansione modulare delle finestre accentua il verticalismo della costruzione, come già faceva Raymond Hood, punto di riferimento per l’architettura Art Decò negli Stati Uniti. Questa chiarezza compositiva del prospetto ha il pregio, con la sua composta neutralità, di guidare lo sguardo fino al coronamento, che doveva necessariamente assumere forme rilevanti e immediatamente riconoscibile, per spiccare nello skyline di Manhattan.

La soluzione adottata è quella di un timpano spezzato che ricorda, a detta di tutti i critici, la fronte degli armadi chippendale, stile predominante nei mobili della borghesia inglese (e poi statunitense) della metà del Settecento. Johnson negò sempre questo influsso, sostenendo che in fase di progettazione si erano ispirati a forme ellenistiche e romane.

Fin dalla inaugurazione l’AT&T Building divenne il simbolo dell’architettura Post-Modern, lo stile che voleva superare l’International Style riprendendo e componendo in maniera nuova gli stilemi di tutte le architetture del passato. Questo naturalmente volle dire per Johnson essere considerato il padre del Post-Modern, definizione che egli rifiutò sempre, sostenendo che il suo grattacielo in fase di progettazione era nato seguendo le regole del funzionalismo care all’International Style.

Sarà anche vero, ma nella realizzazione pratica l’edificio dalle sembianze di un gigantesco tromeau chippendale, ricco di riferimenti storici che vanno da Brunelleschi all’Art Decò, è diventato il manifesto e l’emblema del Post-Modern, lo volesse o meno l’autore.

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