Nimble fingers: la storia delle operaie vietnamite nelle fabbriche straniere

In un mondo in cui il capitalismo e la ricerca del profitto si traducono spesso in sfruttamento e privazione dei diritti personali, i paesi in via di sviluppo si mostrano con drammatica durezza come il volto più oscuro e perverso di questo sistema nato in Occidente.

Per indagarne i meandri più intimi e nascosti, Parsifal Reparato, antropologo e film maker napoletano, è andato in Vietnam, dove sta girando un film documentario sulla vita delle lavoratrici locali impiegate nelle fabbriche straniere. Il titolo del film è Nimble fingers e si tratta di un lavoro interamente prodotto dall’autore, che si è avvalso anche della pratica del crowdfunding per reperire le risorse necessarie.

Parsifal, cresciuto con il mito di Che Guevara e Ho Chi Minh, è sempre stato affascinato dal Vietnam, dalla sua storia combattiva e dalla sua tenace resistenza alle grandi potenze straniere. Da ottobre si è trasferito ad Hanoi per dedicarsi alla ricerca sul campo e alle riprese di Nimble fingers. Ha messo insieme una piccola troupe e un workshop di disegno con le giovani operaie vietnamite.

“Quello che mi ha spinto ad andare in Vietnam – ci racconta Parsifal – è la volontà di sviscerare i miei miti, di analizzare i miei sogni. Il Vietnam deve fare fronte a scelte non facili, la crescita e l’ingresso nell’economia globale richiede dei sacrifici. Attraverso il mio lavoro ho la possibilità di avere una chiave d’accesso differente per leggere la mutevolezza degli eventi, per capire cosa sopravvive dell’economia e delle idee socialiste e cosa invece cambia.”

Attraverso l’incontro con le operaie, Parsifal innesca un percorso di conoscenza dell’altro, una ricerca di un linguaggio comune per comprendere le contraddizioni del Vietnam odierno. Queste contraddizioni sono il riflesso di un mondo che cambia, “di un mondo che ha scelto il suo modello di sviluppo e che vede tutti omologati sotto l’egida delle grandi multinazionali, che la fanno da padrone a discapito di chi, ogni giorno, lotta per uscire dalla povertà e si sforza di costruire un futuro migliore”.

In questo contesto, le giovani operaie vietnamite, sebbene escluse dal potere, si rivelano il cuore produttivo del miracolo economico che sta avendo luogo in Asia, un miracolo costato profonde contraddizioni e dure lotte.

Per raccontare la storia di queste lotte il film maker napoletano ha scelto una protagonista, Bay, una giovane donna che ha abbandonato il suo villaggio in montagna per consegnarsi all’industrializzazione della città, simbolo di vizio e caos, di un’alienazione che consente il sostentamento, ma consuma le sue aspirazioni e i suoi sogni di ragazza.

Ma perché proprio le donne? Perché sono loro le protagoniste delle fabbriche vietnamite?

“Il lavoro è stato preceduto da un’intensa ricerca da cui emergeva sempre lo stesso tipo di risposte legate a un’insormontabile immagine stereotipata: ‘Le donne hanno le dita più agili, sono più pazienti, più mansuete, più facili da gestire, danno meno problemi…’.

Raccontare la storia delle operaie vietnamite è stato per Parsifal anche il culmine di un percorso personale.

“Per due anni ho avuto un lavoro in una grande multinazionale con un buon stipendio, cosa non facile per un giovane antropologo, ma mi stavo allontanando dai miei sogni. Poi con le ferie accumulate sono andato in viaggio in Vietnam. Rimasi tremendamente affascinato da questo Paese, dalla sua natura meravigliosa ed anche dal forte contrasto tra la città e la campagna, così ho iniziato a documentarmi sui miei coetanei che dall’altra parte del mondo svolgono i lavori più duri e la ricerca mi ha portato al cuore della produzione industriale del Paese: le operaie vietnamite.”

Le operaie sono il motore che ha portato il Vietnam nel mercato globale, una traguardo che ha comportato molti cambiamenti, pochi dei quali riflettono un reale miglioramento delle condizioni di vita degli abitanti.

“Quello che accade non è ancora un reale arricchimento del Paese. Per adesso gli investitori stranieri installano le proprie fabbriche e sfruttano la manodopera a basso costo.  Il Paese deve garantire salari bassi per attirare i capitali stranieri e contemporaneamente deve contenere l’arroganza delle grandi multinazionali. Per ora, come in tutti gli altri paesi adeguati all’economia di mercato, in realtà sono in pochi che si arricchiscono   e gli operai sono sempre gli ultimi a godere dell’arrivo di nuovi capitali.”

Quello che il film di Parsifal cerca di veicolare è un messaggio che trascende i limiti geografici e culturali, un messaggio di speranza e di conforto a chi in tutto il mondo è costantemente spinto ai margini della società. Un messaggio che riporta in luce le affinità storiche del progresso di tutti i popoli, ma anche la differente distanza dai propri obiettivi.

“La rapidissima industrializzazione in Vietnam ha portato un’enorme migrazione dalle campagna, così come avvenne in Italia, anzi ancora più intensa. Ma qui non possiamo ancora parlare di classe operaia, perché ancora non ci sono le condizioni: una classe diventa tale solo quando prende coscienza di sé.”

“Qui coscienza di sé, come classe, non ce n’è. La ragione credo che sia che il capitale arrivato qui sia un capitale molto più preparato, molto più imbarbarito rispetto a quello degli anni Cinquanta. Ciò che accade qui, ciò che accade oggi, è diverso perché i padroni hanno individuato delle dinamiche per impedire lo sviluppo del conflitto tra capitale e lavoro. Le operaie vengono assunte molto giovani per periodi molto brevi. Solitamente un’operaia resiste al lavoro in fabbrica al massimo dieci anni, poi vengono rispedite a casa, nei propri villaggi.”

“La triste verità è mentre in italia il conflitto tra capitale e lavoro ha permesso al capitale di apportare anche ricchezza al Paese, oggi invece, avendo eliminato il conflitto – che ha sempre avuto una funzione positiva anche nello sviluppo del capitalismo – il capitale non è in grado di apportare una reale ricchezza al paese, ma è solo in grado di rigenerarsi su se stesso. A discapito di un’intera generazione di lavoratori.”

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