7 mila miglia intorno al mondo #6: rotta nel deserto del Taklamakan

La prima fase del viaggio ha visto i partecipanti arrivare dall’Italia al Kazakistan. Il 15 luglio è iniziato il percorso che li porterà fino in Cina, e poi ci saranno le tratte Canada-Panama, Colombia-Bolivia, Bolivia-Argentina, Sudafrica-Etiopia, Etiopia-Italia, per giungere finalmente a Milano il Primo Maggio 2015 in concomitanza con l’apertura dell’EXPO 2015.

7MML Around The World 2014-2015 - Cina

Dal diario di Luca Rizzotti

20 luglio

In the desert you can’t remembar your name…diceva una canzone. Non pensavamo fosse vero. Questi giorni passati nel deserto del Takamaklan ci hanno letteralmente ipnotizzato e talvolta ci siamo davvero scordati che giorno e quale ora fossero inseguendo un’infinita linea retta d’asfalto ai bordi della quale una sequenza ininterrotta di arbusti talvolta a file di due o tre è posta a barriera all’avanzare della sabbia e presidiata da operai addetti alla perenne irrigazione di questa esigua ma necessaria barriera verde.

La nostra meta è Otan, a sud della via della seta, città nella quale approdiamo qualche ora dopo in cerca di un hotel che troviamo con facilità. La voglia di toglierci la sabbia dalle scarpe è tanta e ci infiliamo sotto la doccia convinti possa essere l’ultimo atto prima di una meritata cena. Ma siamo in Cina naturalmente e nulla è mai come sembra. La polizia è in qualche modo a conoscenza del nostro arrivo in città e ci fa sapere che non siamo graditi nell’albergo a loro dire abitabile solo da cittadini cinesi. Dobbiamo cercare un’altra sistemazione ma, la doccia, quella almeno l’abbiamo fatta.

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21 luglio

La nostra meta ora è Luntai, una città sorta dal nulla nel deserto, piena di palazzi enormi affastellati di luci e una piazza di persone in festa intente in un ballo di gruppo alle quali ci uniamo mentre Alessandro riprende una bancarella di cibo di strada dalla quale proviene un buon odore di calamaro ai ferri.

22 luglio

L’arrivo in un villaggio uiguro situato nel mezzo dell’oasi di Turpan, la città nella quale passeremo la notte prima della tappa di avvicinamento nella zona est della regione, rappresenta per gli abitanti un momento di curiosità e svago dalla monotonia di una vita non semplice e immersa in una calura che oggi sfiora i cinquanta gradi. Il nome del villaggio è Toxkun. Scesi al volo dalle macchine ci immergiamo nella sua quotidianità dividendoci chi in una casa di mattoni posizionati in modo da far passare la maggior quantità possibile di aria, chi in una sorta di trattoria improvvisata, chi per la strada per incontrare alcuni degli abitanti di rientro dai campi di angurie. Poi ci ritroviamo tutti nella casa di coloro che si sono mostrati i più risoluti nel volerci ospitare. Il padrone di casa, un uomo magro quanto energico ci mostra centinaia di radici di anguria accatastati nell’aia, svelandone le proprietà terapeutiche mentre la sua signora, paziente e forse vanitosa nel concedersi lungamente ai ritratti di Ottavio, Paolo Domenico e Antonio ci prepara una merenda a base di meloni gialli, angurie e té caldo costantemente seguita dalla pecorella di famiglia addomesticata al pari di un nostro cagnolino. I bambini come sempre ci seguono ovunque ridendo tra di loro e di certo ridendo di noi.

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23 luglio

Giornata campale quella di oggi che ci ha visto lasciare lo Xing Yang per dirigerci verso est nell’affascinante regione che sfiora il confine con la Mongolia. Tutto cambia nuovamente. Il deserto scompare inghiottito da montagne sempre più alte. Al termine di un’imponente collina rocciosa scendiamo lentamente verso una valle che non è che il preludio a ciò che più tardi incontreremo. Pozze di acqua salata dai cangianti colori rossastri fanno pensare a una superficie marziana, cosa che puntualmente commentiamo una volta risaliti in macchina. Tuttavia non c’è mai davvero troppo tempo per riflettere su un passaggio mentre già nuove immagini richiedono la nostra attenzione. Su una strada che ha ripreso a salire di quota si alternano scenari che ci entusiasmano. Sterminati campi coltivati a grano si alternano a zone più brulle e a campi da pascolo. Cavalli, mucche e persino cammelli incorniciano un lato e l’altro di una strada che ancor di più ci sembra un nastro che pare svolgersi senza fine.

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Nel pomeriggio decidiamo una deviazione alternativa alla ricerca di Barkol, un lago salato nel territorio dei nomadi cazachi da tempo immemore transfughi dalle terre che ci siamo lasciati alle spalle solo qualche giorno fa. Ci arriviamo nel tardo pomeriggio, lasciamo i mezzi in prossimità delle sponde del lago e ci inoltriamo a piedi sulla lingua di terra che divide in due le acque. Sul lato destro l’acqua intrappolata è ormai del tutto evaporata e ha lasciato spazio a una leggera coltre di sale che ricorda un campo innevato. Ma il sole è invece implacabile e si riflette sulle acque di destra dove lo scenario davanti ai nostri occhi ci emoziona e al tempo stesso intristisce. Il luogo è di memorabile bellezza ma utilizzato dalla gente del posto esclusivamente per lavorare. Un mestiere durissimo. Le gambe avvolte in braghe da pescatore immerse fino a sopra le ginocchia, coloro che ci sembrano in un primo momento semplici pescatori sono invece rastrellatori di acque intenti nel filtraggio di una schiuma bianca e salata dalla quale sarà poi estratta la magnelite, un metallo utilizzato per un non meglio precisato scopo industriale. Intrisi di sale, uomini e donne, armati di spatole rudimentali alle quali sono appese sacche per la raccolta, lavorano per ore sotto il sole nella speranza di raccoglierne qualche chilo e guadagnare una somma dignitosa. Si lasciano fotografare e tranne qualche eccezione la loro curiosità nei nostri confronti non è eccessiva. Li lasciamo mentre il sole del tardo pomeriggio illumina la valle verso la quale siamo diretti e presso la quale passeremo la notte accolti nelle suggestive camerette di un ‘cottage’ in stile mongolo.

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