Dall’Italia a Malé, capitale delle Maldive

“Sei stato selezionato, puoi preparare la valigia.”

Queste, in sintesi, le parole che mi comunica la mia università quando mi dice che devo paritire per le Maldive, destinazione del mio tirocinio universitario che ha scatenato l’invidia di tutti i miei compagni. La destinazione è un’isola di un chilometro per duecento metri a quaranta minuti di volo verso nord dalla capitale Malé, nell’atollo Lhaviyani.

Ed è proprio per la capitale che dovrò passare al mio arrivo, tappa obbligata per le visite mediche di rito. Ad attendermi c’è Zakir, ragazzo dello Sri Lanka che incontro non senza difficoltà, dopo aver girovagato per circa dieci minuti lungo l’uscita del terminal. Sarà la mia guida durante la mia permanenza nella capitale.

Malé, Maldive

Per raggiungere Malé dall’aeroporto si sale su quello che sembra un barcone della speranza, sovraffollato di turisti e locali. La mia valigia viene messa nella stiva della barca, vicino a un rumorosissimo motore che non ci permette di sentirci mentre parliamo urlandoci nelle orecchie. Altre restano in centro dentro a una specie di recinto, pronte a volare nell’oceano alla prima onda più alta del normale. Il comandante, rigorosamente a piedi nudi – usanza comune per i comandanti di barche e navi alle Maldive – sembra un pescatore uscito da una cartone animato e non pare preoccuparsi molto dello stato sgangherato della barca.

Arrivati al porto passiamo tra barche e dhoni – le tipiche imbarcazioni maldiviane – che scaricano il risultato delle loro uscite in mare. Già inizio ad avere un’idea di come sarà la città, perché qui sembra non ci siano regole. Gente che urla, sbraita, che lancia casse di pesce in mezzo al marciapiede, disordine ovunque e macchine che sfrecciano a pochi passi dalla merce rischiando di travolgere pesci e marinai. Nessuno sembra preoccuparsene, è un caos organizzato in cui ognuno sa cosa fare o non fare in una routine che è comprensibile solo a è del luogo. L’unico posto dove regnano tranquillità e ordine è la zona del Parlamento, dove il verde dei giardini è color smeraldo e le palme dondolano placidamente al ritmo del vento.

“Lascia la valigia, dobbiamo andare!”

Neanche il tempo di fermarmi un secondo in camera, via di fretta, le visite mi attendono. Un taxi sprovvisto di qualunque segnalazione ci attende. L’autista si crede un pilota di formula uno e parte sgommando. Chi ha esperienza dell’Asia sa che la loro guida non ha nulla a che fare con quella europea. Io lo scopro solo ora.

Malé, Maldive

Veniamo affiancati da un’orda selvaggia di motorini che ci sorpassano a destra e a sinistra. Anche se siamo in una strada a doppio senso, corriamo nel centro della strada per dar loro modo di sorpassarci da ambo i lati, sfiorando chi ci viene in senso opposto. Riusciamo a liberarci dallo sciame dei due ruote ad un semaforo, ma dalla parte opposta ce n’è un’altro.

Scatta il verde, via alla gara: macchine che partono spingendo a fondo l’acceleratore, motorini con due o tre passeggeri o carichi di merce si lanciano all’inseguimento o alla fuga. Ai lati della strada, spettatori indifferenti sono i ragazzini che giocano e le loro madri in chador.

La sanità maldiviana mi stupisce per la sua efficienza ed igiene. Probabilmente godo di qualche privilegio di cui non sono a conoscenza, ma nel giro di qualche ora riesco a sbrigare tutto e a tornare in hotel, passando tre ospedali, diecimila ingorghi e rischiando come minimo quattro volte la pelle grazie ad autisti che guidano uno peggio dell’altro.

Malé, Maldive

La paura di volare non mi ha fatto dormire, riposo qualche ora, poi devo cercare un adattatore per la spina e ricaricare il mio PC. Chiamo Zakir che mi accompagnerà in qualche negozio di elettronica. La notte è buia, le strade principali poco illuminate. Noi ci addentriamo in quelle secondarie senza illuminazione, sporche, piene di buche e pozzanghere provocate dall’improvviso acquazzone pomeridiano che ha travolto Malé.

Sono un po’ preoccupato. Zakir, tranquillissimo, mi porta non so dove. Maldiviani che non ci degnano di uno sguardo e chiacchierano in una lingua che poi intenderò solo vagamente ci accompagnano lungo il percorso. Le uniche luci sono quelle delle insegne dei bar e dei pochi locali. Una porticina laterale si apre e raggiungo il mio scopo, ho il mio adattatore.

Torno in hotel, chiamo a casa e buonanotte, finalmente posso dormire. Il sonno mi porta via e io sto dormendo quando un urlo squarcia la notte. Mi sveglio di scatto, ascolto attentamente e quello che sembrava un urlo non è altro che il canto di preghiera del muezzin.

L’avevo dimenticato, nella società islamica si prega cinque volte al giorno, la prima alle quattro. Impreco, mi giro e testa sotto il cuscino. Buonanotte Malè, se la barca domani non affonda io sono sopravvissuto.

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