Goa Trance in Marocco: cronaca di un’occasione perduta

La prima volta che partecipai ad un festival di musica goa trance avevo 18 anni e mi trovavo in Svizzera. Durante la festa vidi una cosa che ai rave capita raramente: la gente sorrideva, era gentile e sembrava impegnata affinché tutti si divertissero e trovassero il proprio spazio in armonia con gli altri. Un risultato non del tutto scontato nel turbinio di alcol, droghe e deliri personali che questo genere di eventi immancabilmente evoca.

Poi all’alba, mentre la console macinava ininterrottamente ritmi psichedelici da diciotto ore, alcuni festaioli abbandonavano la pista per scendere fino al fiume. Li vidi attendere il sorgere del sole, raccolti in meditazione o intenti a svolgere le abluzioni nel letto del corso d’acqua. La cornice delle Alpi svizzere era maestosa, la natura filtrava attraverso i nostri recettori almeno quanto l’incessante battito delle casse. Il mondo era un motore potente e inarrestabile, e io ero diventato incontrovertibilmente un goano.

La musica goa trance ha le sue origini nello stato del Goa, in India. Qui, a partire dagli anni Sessante, hippie e fricchettoni provenienti da Europa e America si sono accumulati sotto lo sguardo sbigottito di indiani e discendenti dei coloni portoghesi per ballare sotto la luna, praticare yoga e meditazione, sperimentare droghe psichedeliche e attuare nuove forme di convivenza. Al tempo stesso generarono una ricerca musicale che includeva sia la cultura psichedelica che i suoni ancestrali della tradizione, e al tempo stesso apriva le porte alla musica elettronica che avrebbe fatto il suo ingresso in India a partire dagli anni Novanta.

Proprio negli anni Novanta nasce la trance elettronica in Germania, e da allora sottogeneri e commistioni si sono propagate in tutto il mondo dando vita a festival ed eventi di rilevanza internazionale. In molti ambienti, però, le feste sono ancora chiamate goa party e i folli che si imbarcano per centinaia o migliaia di chilometri, vestiti spesso con colori sgargianti, pantaloni thai, felpe con lunghi cappucci appuntiti e mille accessori fosforescenti, sono ancora detti – almeno in Svizzera – goani.

Questo esercito di sorrisi eterei e sguardi sognanti – e io tra loro, un po’ imborghesito dal tempo e dalla professione – si sarebbe dovuto radunare il 13 agosto in Marocco per il Land Festival, su una spiaggia a pochi chilometri da Essaouira. Un esuberante programma di quattro giorni era stato preparato spaziando dalla musica alle tradizioni locali, con artisti provenienti dai quattro angoli del mondo, banchetti di cucina tradizionale, esibizioni di artisti di strada, esposizioni artistiche e l’idilliaco accompagnamento del paesaggio sahariano e atlantico.

Ma la festa non c’è stata. Questo per ragioni complesse, tra cui una che mi ha indotto a scrivere questo articolo: ignoranza.

Tarik Hkim, responsabile del progetto, non aveva lasciato nulla al caso: “Abbiamo lavorato al festival per un anno, procurandoci da subito tutte le autorizzazioni e i permessi necessari. C’era lavoro per almeno 200 persone, abbiamo ripulito la spiaggia, coinvolto cooperative artigianali locali che avrebbero avuto i loro spazi espositivi, migliaia di partecipanti avrebbero riempito alberghi e ristoranti per giorni.”

Sulla pagina Facebook dell’evento erano oltre tremila ad aver confermato la partecipazione, molti avevano già comprato il biglietto in prevendita e avevano organizzato viaggio e alloggio da mesi. Poi il caos: pochi giorni prima dell’inizio compare un articolo su un sito di informazione in lingua araba (l’articolo, ora rimosso, si trovava su MogadorPress.com) in cui il festival viene equiparato a foschi riti satanici e i partecipanti sono dipinti come una legione di pericolosi tossici dediti agli atti più turpi. La cultura tradizionalista di questa parte del Marocco, una delle regioni più povere e meno sviluppate del Paese, ha fatto il resto. In pochi giorni si sono succedute dichiarazioni allarmate di cittadini e autorità locali che in alcuni casi minacciavano addirittura di aggredire i partecipanti del festival se si fossero presentati per l’evento.

Gli organizzatori non si sono lasciati abbattere e sono corsi a discutere con la municipalità di Sidi Kaouki, la località a pochi chilometri da Essaouira in cui si sarebbe dovuto svolgere l’evento. Erano addirittura riusciti ottenere una dichiarazione di appoggio per il festival dalle autorità locali, ma la polizia marocchina, temendo di non poter garantire la sicurezza dei tanti turisti occidentali previsti per l’occasione, ha impedito all’ultimo momento che il Land cominciasse.

Tra amarezza e frustrazione, impegnati a rispondere ai collaboratori e ad agevolare il rimborso di tutti i biglietti già venduti, gli organizzatori del Land hanno trovato il tempo di occuparsi di tutti i festaioli che all’ultimo momento non hanno potuto o voluto cambiare i loro programmi.

“C’è gente che è venuta con solo i soldi per partecipare al festival, e adesso non sa dove dormire o cosa fare”, mi raccontava Tarik. Ed è vero: i goani sono fatti così.

Anch’io sono finito in questa corsia di festeggiamenti riciclati e sulla spiaggia di Sidi Kaouki sono stato prontamente raccolto dall’instancabile Siham Raï, co-produttrice dell’evento. Siham mi ha portato nella villa affittata per lo staff a pochi metri dal mare, dove gente di ogni provenienza e ruolo ha trovato rifugio nelle camere, sui divani o campeggiando in giardino.

Qui ho incontrato Cloe, arrivata da Montpellier con un’amica proprio per il Land Festival, e Giuseppe giunto da Roma con la sua compagna. Anche Giuseppe, in arte Tiburon, è stato fulminato dalla trance ad una festa in Salento e con i suoli sodali della Cromedrop realizza eventi e produzioni volte a fondere arti visive e musica.

Sul posto c’erano anche diversi artisti che si sono esibiti su un improvvisato palco a bordo piscina per tutti gli esuli del festival. Tra loro anche Julien Rodriguez, in arte DJ Profound, originario di Ibiza ma prestatosi da qualche tempo alla scena goa trance di Stoccolma: “In Svezia il movimento trance sta crescendo, ma fa ancora fatica a portare guadagni apprezzabili a chi lo produce.”

La scena trance, infatti, è caratterizzata da appassionati che raramente riescono a far coincidere esigenze commerciali con lo spirito più autentico del movimento. In Svizzera questo si sta traducendo con una progressiva commercializzazione degli eventi, che si aprono anche ad altri stili per allargarne il pubblico, mentre gli eventi per i “puri e duri” si ascrivono a piccole meteore di scarsa rilevanza economica.

In Marocco, invece, potrebbe essere diverso, perché il mercato è giovane, pieno di opportunità, e perché indipendentemente dal successo economico del singolo evento, il risvolto pubblicitario che interessa le località coinvolte sarebbe immenso. Tarik e compagni questo lo sanno bene e l’anno prossimo ci riproveranno, forti di questa bruciante lezione appena appresa.

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