Nella Valle dell’Omo: viaggiando in punta di piedi in Etiopia

Adoro andare in giro, vedere posti nuovi, scoprire quanti sono i luoghi in cui vorrei vivere. Questo però non è viaggiare.

Credo che viaggiare voglia dire andare, fare e vedere, ma anche farsi domande, cercare risposte, vivere situazioni e non sapere quale è il modo migliore per affrontarle. Come mi sarei dovuta comportare per entrare in punta di piedi nella quotidianità delle tribù della Valle dell’Omo, in Etiopia? Si rischia che il tutto risulti una sorta di safari nel quale si guardano persone anziché animali, e io volevo evitarlo a tutti i costi.

Valle dell'Omo, Etiopia

Gli Hamer ed i Banna camminavano sul ciglio della strada che da Konso porta a Jinka. Era pomeriggio e temevo non saremmo arrivati a Jinka prima del calar del sole. La strada asfaltata era deserta, neanche le mandrie che di solito si incontrano per le strade d’Etiopia calpestavano quel suolo. Guardando una donna Hamer e la bambina identica a lei mi sono sentita sciocca: di cosa mi preoccupavo, io, in una macchina che viaggiava da sola in pista mentre loro erano a piedi in un’area che sembrava essere lontana da tutto?

Camminano in tanti e ci si chiede dove vadano, ma sopratutto dove vadano armati. Più che curiosità è inquietudine, in mezzo al nulla si può incontrare un uomo Banna con un fucile più grande di lui. Eravamo noi, lui, il suo fucile e poi alberi, uccelli e babbuini. La stessa sensazione l’ho provata il giorno dopo a Key Afer, dove è possibile calarsi nel mondo degli Ari, Banna e Hamer grazie al mercato del giovedì. Molti uomini sono armati e questo realizza uno strano contrasto con l’aria pacifica data loro da bracciali, orecchini, panni e pettinature. La stessa aria controversa che hanno quelle donne bellissime dai capelli rossi vestite con poco.

Sapersi comportare non è facile. Non lo è stato quando siamo arrivati al di là del Mago National Park. Altissimi, bellissimi, dalla pelle d’ebano e i tratti somatici particolari, diversi da quelli etiopi, sudanesi e kenioti. Sul labbro le donne portano dei piatti di terracotta dipinti in vari modi, così pesanti che non mi spiego come facciano a stare su. Indosso gli uomini hanno stoffe annodate che lasciano scoperto gran parte del corpo. Le anziane preparano pasti a base di farina e acqua sedute sui piccoli sgabelli tradizionali.

Gli adolescenti sono incuriositi da quegli strani abiti che indossavamo. Sono i Mursi, la più affascinante delle tribù d’Etiopia, la più irrequieta e la più abituata ai turisti. Tra le numerose liti con le altre tribù e la giustizia che in quei giorni si sono fatti da soli a colpi di armi da fuoco, guide e polizia erano in allarme. Era sconsigliato proseguire, ma continuavano a ripeterci che turista è denaro, una foto sono cinque birr, non ci sarebbe successo niente. È proprio questo uno dei punti sui quali ero piu’ confusa: “non è giusto dare soldi per fare una foto”, ma è meno giusto “fare foto senza dare soldi”; “il lavoro è l’unica cosa che dovrebbe dar da mangiare”, “non si devono guadagnare soldi così facilmente”, “non si deve contribuire a tutto questo”…

Dopo riflessioni varie mi sono detta che quando si viaggia le convinzioni dettate dalla propria esperienza vanno lasciate a casa, perché lì c’è l’esperienza di altri. Quando si viaggia non si ha il tempo di vivere quello che si vede, lo si vede e basta. Non si saprà mai se dal proprio comportamento è nato qualcosa di positivo o negativo. Non va toccato nulla.

Per me, viaggiare vuol dire entrare in punta di piedi, senza intervenire, per non inquinare ciò che si sta per scoprire. È adeguarsi, non dare la propria opinione, non ribellarsi a ciò che è, non sentire che è tempo di cambiere le cose. Vuol dire vivere il momento così come si propone, da spettatore, facendo condurre il gioco a chi ne conosce le regole.

È questo che ho cercato di fare quando una ragazza Mursi si è infilata nella foto, all’improvviso, per poi chiedere cinque birr perché anche lei era nella foto. Quando mi sono lasciata toccare e ho lasciato scoprire ad un gruppo di ragazzine curiose che sotto i pantaloni porto le mutande. Ho cercato di avvicinarmi ad un’anziana e me ne sono allontanata quando ho capito che non gradiva. Non ho provato nessun imbarazzo a trovarmi in mezzo a ragazzini completamente nudi in cerca di foto. Ho pensato bene prima di fare ogni cosa.

Ho guardato. Ho apprezzato. Ho imparato… Finalmente ho viaggiato.

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