7 mila miglia intorno al mondo #20: il mercato di Santa Cruz in Bolivia

Le tappe precedenti:

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Dal diario di Gabriele Colleoni

Quasi alla fine del mondo

Sudamerica, Sudamerica, Sudamerica… Basta la parola, come nella canzone di Paolo Conte, per evocare le potenti suggestioni di un continente che a un certo punto della sua storia, per noi europei è diventato, suo malgrado, il Nuovo Mondo. Per il resto ci hanno pensato cinque secoli e passa di tragedie epocali, di sogni grandiosi quasi sempre drammaticamente naufragati, di rivoluzioni e controrivoluzioni, di inesauribili ricerche di un qualche Eldorado o Macondo che fosse,  ad avvincere il nostro immaginario a questa terra. E ad una simile suggestione non poteva sottrarsi un progetto come 7milamiglialontano con il suo carico di curiosità e di voglia di esplorare esperienze diverse, che per questo continente ha previsto ben due tappe. Di certo non potevamo sottrarci noi sei componenti del team che, mentre su Santa Cruz de la Sierra si  è scatenata una pioggia di proporzioni ovviamente tropicali, stiamo per prendere il largo verso le terre alla fine del mondo, attraversando prima il Sud della Bolivia e scendendo poi, costeggiando la Cordigliera andina tra Cile e Argentina, verso la Patagonia e la Terra del Fuoco.

C’è mercato e mercato

C’è il mondo delle patate declinate in tutte le possibili varietà e provenienze; attorno orbitano il pianeta delle banane piccole guineos, e quello delle giganti platanos.  E ancora più in là i continenti delle zucche e dei pomodori, poco oltre si approda nell’arcipelago dei cavoli giganti e delle arance, della papaye e degli ananas. Dentro, al coperto, si celebrano i fasti dell’impero del pollo, cotto e crudo, ma anche della carne di mucca, con contorno di quella di maiale e d’anatra…. Questo è l’Abasto, i mercati generali di frutta e verdura di Santa Cruz. Un esagerato labirinto, forse solo apparente, dove ogni alimento si sbraccia per trovare un posto il più possibile al sole e dove ciascuno recita la parte che gli tocca: venditore, cliente, facchino, e finanche borseggiatore (occhio…).
Poi, è ovvio: in Bolivia al mercato c’è anche l’angolo della coca, la foglia che qui si può vendere e masticare a volto scoperto, senza il timore che qualcuno ti porti in cella. La masticano, ad esempio, le centinaia di facchini scatenati fin dall’alba in frenetici gran premi nella bolgia dell’Abasto con cariole straripanti di carichi sovrumani. Con migliaia di clienti e i (pochi) turisti  che rischiano di essere investiti senza pietà se non obbediscono prontamente al secco richiamo del “Fatemi passare”, che qui diventa litania ininterrotta di un rito pagano come quello del comprare, e del comprare al miglior prezzo, quel che poche ore dopo finira’ su centinaia di migliaia di tavole, ricche e povere, in tutta Santa Cruz e dintorni.

Donne dei desideri

E’ stata letteralmente la fame a far incontrare il team tutto al maschile della quinta tappa, con le femministe di Santa Cruz. O meglio con il ristorante che una cooperativa di donne gestisce in calle Arenales, e che costituisce – il ristorante/comedor –la porta d’ingresso abituale del centro “Los deseos de la virgen-Mujeres creando”, I desideri della vergine-Donne che creano. Ed è talmente vero che l’affollato comedor è una delle attività principali del centro,  che Carolina Ottonello, la portavoce del gruppo, fatta l’intervista, ha messo i panni della addetta stampa per indossare quelli della cameriera servendo ai tavoli, per l’improvvisa defezione di una delle addette.
Un paradosso solo apparente , quello delle militanti femministe più radicali della Bolivia, che nei due centri di La Paz e Santa Cruz si impegnano al massimo per seguire le orme “scandalose” del movimento Femen, e poi fanno il pienone al comedor con le donne rimesse ai fornelli e a fare le cameriere. Il fatto è che alla lotta culturale per la depatriarcalizzazione della società e della famiglia, si affianca l’impegno concreto a sostenere con iniziative pratiche le donne.Un sostegno economico, giuridico e psicologico. Quindi: lavoro, con la cooperativa di donne del ristorante; l’assistenza giuridica a quelle in difficoltà, con un’avvocatessa a disposizione presso il centro, e infine la consulenza familiare con una psicologa. Perché se  come recita il motto dipinto sul frontone interno del ristorante, le donne “vogliono tutto il Paradiso”, per adesso è pur sempre opportuno tentare di alleviare le pene dell’inferno che qui sulla terra, tormentano ancora tante boliviane.

Leggi la puntata successiva: Bolivia, una storia ad ogni incontro

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