Cosa fare in Irpinia: Lapio

Ci sono paesi che son solo paesi, ed altri invece in cui si può percepire un “qualcosa” che aleggia sui vicoli, davanti i gradini delle chiese, nelle piazze… È una sorta di spirito del luogo, un carattere, una personalità che si manifesta in quelle tante piccole cose, particolarità e sensazioni che sembrano venir catturate solo da un livello subconscio di noi stessi ma che finiscono per influenzarci, per renderci, seppur per qualche istante, parte di quel posto.

Mentre si è sulla via di Lapio – in provincia di Avellino – quando le campagne e i vigneti iniziano a far spazio alle abitazioni, non è raro imbattersi in qualche trattore o altro mezzo agricolo che si dirige o ritorna dai campi, o qualche anziana signora intenta a stendere i panni. Ma non importa con chi incrociate lo sguardo, ad attendervi vi sarà sempre un saluto ed un sorriso pieni d’ospitalità.

È così che Lapio si pone agli “stranieri”, invitandoli ad entrare come se fossero figli partiti da lungo tempo e finalmente ritornati a casa. Ad attenderci in piazza vi è un manipolo d’anziani signori, intento a giocare a carte e a chiacchierare tra loro.

Di fronte, imponente, il Castello dei Filangeri, ancora chiuso e ferito dopo l’abbattimento di una torretta da parte dell’impresa allora incaricata del restauro.

Fortunatamente i Lapiani e gli Irpini (grazie anche alla pronta segnalazione di Info Irpinia) si sono ribellati di fronte al pianto del gigante ferito e sono riusciti a far cambiare al comune impresa per il restauro. Ora l’antico castello aspetta paziente il finire della sua guarigione per poter aprire le sue porte e mostrare a tutti il tesoro di quadri e affreschi che nasconde al suo interno.

Pochi passi prima del castello spicca la Chiesa della Confraternita della Madonna della Neve, chiesa anch’essa che nasconde un tesoro, delle statue in cartapesta a grandezza naturale dette “tavolate” che raffigurano le scene più significative della passione di Cristo, purtroppo visibili al pubblico solo in rare occasioni come la processione del Venerdì Santo.

Ma quello che, a mio avviso, è più affascinante di Lapio è il perdersi tra i suoi vicoli, tra vecchi palazzi con archi decorati e stemmi nobiliari, vecchie botteghe abbandonate su cui spiccano grossi cartelli con la scritta “vendesi”, stretti passaggi che portano a splendide vedute delle colline circostanti o delle facciate laterali del castello, antiche ville che sembrano stregate, e misteriose porte dalla serratura a forma di cuore. Esplorando e perdendosi tra questi vicoli si fa presto a dimenticarsi del tempo, a dimenticarsi che si è nell’era di Facebook, degli smartphone e dei droni volanti radiocomandati. Basta poco e ci si ritrova in un tempo diverso, anzi, in tanti tempi diversi.

Tempi in cui i vecchi muli che trasportavano i carretti con le botti di vino venivano legati ai grandi anelli di pietra ai lati dei palazzi; tempi in cui le strade venivano illuminate dalla flebile luce di lanterne ad olio e candele; tempi in cui il castello risuonava la sera di balli e ricevimenti; tempi in cui, allora come oggi, i nonni di chi oggi è nonno si ritrovavano nella piazza a parlare ed a giocare a carte. E mi sembra di vederlo quando per quegli stretti vicoli è passata la prima automobile, quando il proprietario di quella misteriosa porta dalla serratura a forma di cuore ha girato la sua chiave per l’ultima volta, quando il castello ha aperto le sue porte al suo ultimo duca, conte o principe.

E poi, poco più in la, spersi nella campagna oltre Lapio e quasi introvabili per chi non sappia già dove siano, altri tempi, altri guardiani, ponti, tra le rive e le epoche. Ponte Principe, maestoso ponte della vecchia tratta ferroviaria Avellino-Rocchetta che quieto e solido nella sua dura struttura in ferro attende ancora speranzoso di sentire le sue travi risuonare al passaggio di un nuovo treno.

E più in là, nella campagna, il suo avo, Ponte Annibale, costruito dall’armata del comandante cartaginese che avanzava verso la Puglia. Benché questo ponte oggi sia alto solo dieci metri e senza un fiume di cui congiungere le rive (il fiume che gli scorreva sotto, il Calore, nei millenni ha cambiato corso) all’epoca esso era un’opera di pura magnificenza, un ponte in pietra che si ergeva nel suo punto di massima altezza a 60 metri sopra le acque del fiume tumultuoso, un’opera che doveva essere un vero affronto dei Cartaginesi ai Romani.

Due ponti, poco distanti, atti a ricongiungere le rive ed i millenni in modo che gli uomini possano attraversarli e gettarvi oltre la mente ed il cuore. Così finisce questo breve viaggio tra gli strappi del tempo, e ritornando al mondo di tutti i giorni sulle note di “Watching the Wheels” di John Lennon mi rendo conto che non è il mondo ad aver lasciato fuori Lapio, è Lapio che ha lasciato fuori il mondo… ed ha fatto dannatamente bene!

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