In Svizzera con il treno: efficienza elvetica contro confusione italica

Allora. Ecco qual era la situazione: Svizzera Turismo, l’ente del turismo della federazione elvetica, aveva consegnato nelle mie immeritevoli e impacciate mani uno Swiss Travel Pass, un biglietto che consente di utilizzare liberamente tutti i mezzi di trasporto pubblici sul territorio nazionale – autobus, treni e traghetti – oltre a permettere l’ingresso gratuito in 480 musei convenzionati e di usufruire di notevoli sconti per tratte panoramiche e funambolici collegamenti con le cime delle Alpi.

Questo mio pass aveva validità pari a otto giorni: si inserisce la data di inizio e quella conclusiva, nome, numero di passaporto e si è pronti per viaggiare. Inoltre il mio prezioso pass luccicava gloriosamente in virtù di una piccola ma per me sostanziale caratteristica: prima classe!

Per la cronaca: viaggiare in prima classe non è poi molto divertente, tutti sono maledettamente seri e parlare ad alta voce equivale più o meno a far squillare il cellulare durante un concerto sinfonico, ma la comodità dei posti è sconvolgente e… c’è la moquette. Proprio così. Moquette.

Per gli sgangherati viaggiatori del mio rango viaggiare liberamente in Svizzera significa fondamentalmente spostarsi in treno. La rete ferroviaria elvetica è capillare, funzionale, consistente e affidabile. E non serve certo la prima classe per viaggiare con agio e serenità, ma visto che la prossima volta che mi potrò permettere la prima classe in Svizzera i treni voleranno spinti da motori antigravitazionali attraverso corridoi che attraversano l’iperspazio, ne ho oziosamente approfittato.

Inoltre transitare per le stazioni ferroviarie della comunità elvetica è un’esperienza che mi ha sempre appagato e conturbato al tempo stesso. Chiamiamola pure un’invidia del pene transalpina: i treni svizzeri sono puliti, ordinati, efficienti, sempre puntuali e sempre attrezzati con schermi e altoparlanti che aggiornano i passeggeri riguardo al tragitto; i nostri sono vecchi, barcollanti, cronicamente in ritardo e quando qualcosa viene annunciato dagli altoparlanti segue sempre uno scambio di sguardi perplessi e smarriti tra passeggeri.

Al tempo stesso, però, muoversi tra i severi corridoi delle stazioni svizzere incute sempre un certo timore. I passeggeri si muovono frenetici e sicuri della loro direzione da un binario all’altro. C’è una corsia per ogni destinazione e talvolta persino una per ciascun grado di fretta. Sulle scale mobili si attende a destra, perché a sinistra continuano a correre. E se malauguratamente non vi siete addestrati a tutto ciò in un magazzino abbandonato dell’alto bresciano in cui è stata realizzata una ricostruzione della Stazione Centrale di Zurigo – Zürich Hauptbanhof, la Waterloo di tutti i viaggiatori improvvisati – allora non ci sarà pietà per voi e farete più o meno la figura di uno che voleva guidare un autobus pieno di bambini senza aver preso la patente.

Ma un giorno, del tutto per caso, la mia italianità ha potuto assaporare il giusto riscatto, una vendetta amara quanto meritata sulla baldanzosa superiorità svizzera. È stato il giorno in cui, nonostante le mie migliori intenzioni a sfruttare il mio pass fino all’ultimo minuto, inaspettati impegni di lavoro mi hanno costretto a casa fino a metà pomeriggio. Troppo tardi per inseguire una destinazione impegnativa, troppo presto per rinunciarvi del tutto. Forte del mio lasciapassare ho così deciso che sarei saltato da un treno all’altro, qualunque fosse il primo in partenza.

Ho cominciato da Affoltern am Albis, piccola cittadina ai margini di Zurigo che mi ha visto sgambettare nei miei primi anni di vita. In breve sono arrivato alla capitale del cantone, e fin qui era facile visto che dalla cittadina passa una sola linea ferroviaria.

Poi ho creduto di raggiungere la vicina Olten, prima di rendermi conto di essere su un treno diretto a Berna. Dalla capitale il numero di opzioni disponibili e l’estraneità della geografia locale mi ha fatto rimbalzare senza cognizione da un centro all’altro, per poi raggiungere l’anonima e sperduta Lyssach. Qui l’atmosfera remota e una stazione del tutto deserta mi hanno finalmente convinto a scegliere i miei successivi treni in modo più oculato per ritornare a casa prima di dover cominciare a cercare anche un albergo.

Risultato: tutto il rigore, la puntualità, la precisione e l’efficienza del sistema elvetico nulla hanno potuto contro la goffaggine, l’impreparazione e la sconsideratezza italiane. Il gol della bandiera.

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