Un viaggio immobile #1: ritorno in Islanda

È un giorno di primavera del 1999, non ho ancora compiuto 12 anni. Un inserto del Corriere della Sera è lì, sul divano del salotto. In copertina c’è una casetta di legno colorata di blu scuro, con il tetto rosso, che sembra trovarsi per caso sulla punta di uno dei lembi di terra che danno vita ad innumerevoli piccole baie, luogo di attracco del peschereccio “Glaður” colorato di un giallo acceso, sopra un mare di un blu profondo. Se ogni cosa ha il suo inizio in un momento preciso, quel giorno del millennio scorso è stato, senza saperlo, il momento in cui è scoccato l’amore per una terra magica. L’Islanda.

Per dieci anni quelle pagine, che mi sono entrate nel cuore, sono rimaste lì. Quasi dimenticate. Poi quasi per caso riapro quell’inserto e poche settimane dopo sono seduto su un volo Icelandexpress. Di fianco a me Giuditta. Sono e siamo a dir poco eccitati. Ci attende una terra che immagino estrema e magnifica come nessuna. Ho avuto più di dieci anni per costruirmela in testa. Una terra ricoperta di ghiaccio, spaccata da vulcani continuamente attivi e da geyser che eruttano sotto i piedi. Una terra battuta da un vento senza sosta dove le donne sono tutte bionde e gli uomini sfoggiano tipici baffi e barba da vichingo. Qualcuno con l’elmo con i due cornetti in testa, magari. Una terra con baie nere e scogliere a picco sul mare in tempesta solcato da minuscoli pescherecci che vengono sbattuti in ogni direzione mentre decine di balene saltano tra i flutti ed i pescatori, tranquilli e sereni, mangiano squalo putrefatto e sorseggiano Brennivin, un liquore soprannominato “la morte nera”. Una terra inondata di muschio verde a perdita d’occhio, popolata da elfi e da troll. Una terra che ho immaginato di vedere tante volte e che adesso è lì.

Sono stati, tutti questi, pensieri ricorrenti all’inizio di ogni viaggio successivo in Islanda. Questa volta non è un’eccezione. Sono all’aeroporto domestico di Reykjavík, in attesa del volo per Húsavík. Di fianco a me c’è sempre Giuditta. Non siamo eccitati come la prima volta. Sono passati diversi anni e quattro viaggi che mi hanno fatto vedere come non tutto quello che immaginavo corrispondesse esattamente alla realtà. La sensazione è però quella della prima volta. Mi è sembrato di aver vissuto questa terra da molto prima che ci arrivassi. Ogni luogo nuovo mi si è mostrato con una naturalezza disarmante, come se l’avessi conosciuto da sempre. Ogni volta che arrivo mi sento quasi come quando torno nella mia città, nella mia Jesi.

Come la scorsa estate, quest’inverno resterò e resteremo per tre mesi. Sarà il quinto soggiorno in Islanda, il secondo viaggio immobile. Di nuovo a poche decine di chilometri dal circolo polare artico, nell’estremo Nord del paese. Ad Húsavík, che in islandese significa “baia della casa”. Casa dei primi abitanti dell’isola. Il paesino più bello d’Islanda. Un po’ anche casa nostra.

Leggi la puntata successiva: l’aurora boreale di Húsavík

1 commento su “Un viaggio immobile #1: ritorno in Islanda”

  1. Ho provato la stessa emozione durante il volo che mi portava in Islanda. L’Islanda è talmente bella che è difficile da descrivere a parole, anche le foto non rendono le sensazioni avvolgenti che si impossessano di chiunque metta piede in quella terra così unica. Buona permanenza a Husavik.

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