Il Carnevale irpino: benvenuti alla festa dei folli

No preotë e no monachë e no secolarë puro
 e pe questo l’aggio fatto pè sapè ca ieri tu (bis)
 Parà parà ah parà parà ah parà parà ah parà parà ah
 E a mascarata nosta non si mmisca co’ la vosta (bis)
 Parà parà ah parà parà ah parà parà ah parà parà ah
 Cómpa zì Ntonio ha fatta a féssarië
 s’è pigghiatë a vecchiarella e s’a purtatë a massaria
(Una delle tante versioni della Tarantella Montemaranese di Carnevale)
Mi è difficile immaginare come deve sembrare ai “forestieri” la mia provincia in questo periodo dell’anno. L’Irpinia, in provincia di Avellino, normalmente conosciuta come una terra di tranquillità e pace, dove le montagne, i boschi e le valli cullano stretti i suoni dei fiumi che scorrono tra i ciottoli, della pioggia che tamburella sulla foglie delle selve, del maturarsi del grano sotto le carezze del vento… la verde e serena Irpinia, che improvvisamente si riempie di gente dai vestiti più strani che salta, balla e canta a squarciagola.
Tutti sembrano contagiati da una sorta di collegiale ubriacatura e la pazzia pare farla da padrona. Sono i giorni in cui, come dicevano i Romani, è lecito impazzire, “Semel in anno licet insanire”, sono i giorni del Carnevale. Una festa che qui trascende il concetto di “tradizione” inteso nel senso moderno del temine. Il Carnevale in Irpinia è un rituale sacro e antico di cui ogni paese, e a volte persino ogni borgo, ha la sua personalissima versione, Zeza, mascherata, squacqualacchiun, ognuna con le sue peculiarità e con il suo cerimoniale, le quali si riuniscono e si ritrovano nei grandi giorni di Carnevale Princeps, Carnevale Principe.
In onore del signore della follia viene organizzata una grande e imponente sfilata in cui tutti i gruppi dei balli e delle parate dei vari carnevali irpini sfilano per un paese ogni anno diverso. E se da un parte c’è il ben conosciuto e familiare Pulcinella con sua moglie Zeza (Lucrezia), dall’altra vi sono personaggi dall’origine antichissima, probabilmente preromana, come “Gran Turco” o “l’Orso”.
Ma non aspettatevi il solito semplice Carnevale con carri e sfilate. Qui, a farla da padrone, sono le maschere, i balli, le commedie e le musiche che come una corrente impetuosa invadono i paesi trascinando con sé tutto quello che incontrano. Provate a resistere se vi riesce… è inutile, anzi, quasi dannoso direi, questo non è un Carnevale da guardare in disparte spersi tra la folla, dimenticate affanni e insicurezze, lasciatevi andare, dietro ogni costume e ogni trucco troverete gente pronta ad accogliervi a braccia aperte in questa follia collettiva. Lasciate che lo spirito della festa dei folli vi scorra un po’ addosso, il nostro non è un Carnevale da guardare, è un rito da vivere.
Ogni maschera parla a uno spirito arcaico, tribale, insito in ognuno di noi. Esse purificano da miserie e guai passati, rigenerano e aboliscono il tempo trascorso. Sulle note di queste tarantelle e fisarmoniche si ripercorrono rituali di rinascita con millenni di storia, baccanali, antesterie dionisiache, saturnali romani, è un richiamo ancestrale che non può passare inascoltato. Anche Pierpaolo Pasolini, venuto ad assistere a uno dei nostri carnevali, se ne innamorò a tal punto da usarne le musiche per la sua pellicola “Il Decameron” del 1971.
Persino chi ormai vive lontano e conserva del paese natio soltanto sbiaditi ricordi di gioventù sente l’imperativo bisogno di far ritorno alla propria terra per partecipare al rituale sacro. Il mondo si guarda allo specchio, lo oltrepassa e si capovolge, l’ordine delle cose si sovverte ed il principe diviene null’altro che un povero diavolo, mentre il povero diavolo si ritrova principe. Grandi luminari e semplici contadini, anziani canuti e bambini dai vestiti sgargianti, tutti ballano in questo calderone ribollente dove musica, danze e colori si mischiano e si rimescolano in un’esplosione di ebbrezza pura, ed anch’io, spostandomi tra una foto e l’altra, mi ritrovo quasi inconsapevolmente ad inscenare un breve balletto sulle ritmiche percussioni dei tamburelli in processione che si allontanano.
In questi giorni la realtà, finalmente, si mostra per quello che è: null’altro che una sottilissima maschera.

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