Montmartre, il cuore poetico e romantico di Parigi

Pioveva, un ottobre freddo ma non troppo rendeva Parigi ancora più sorprendente. O, forse, semplicemente più bella. Era l’ultimo giorno del nostro primo viaggio nella capitale francese. Cosa lasciare per ultimo in itinerario? Con che immagini lasciare quella meravigliosa città? Il mio animo romantico mi sussurrava che nessun quartiere, se non Montmartre, avrebbe potuto essere la giusta risposta. E così facciamo, lasciando al quartiere degli artisti – definizione, a posteriori, comunque riduttiva – l’onore e l’onere di darci l’ultima emozione parigina. L’impatto ultimo è spesso il primo nella cima dei ricordi che affiorano. A me spesso capita così e così è anche in questo caso.

Montmartre. Certo, al di là di ogni onirica aspettativa, c’era da immaginarsi che il quartiere forse più alternativo della città avesse perso qualcosa del suo fascino originario. Quel fascino che fece da calamita per gli artisti di grande fama degli ultimi del XIX secolo e dei primi del XX, come Toulouse-Lautrec, tanto per citarne uno. Quella patina di atemporalità che portava, appunto, letterati, filosofi, artisti a rifugiarsi su quell’altura, che, più che un quartiere, ha vissuto sempre come un microcosmo brillante di luce propria. In una città – la Ville Lumière – dove, peraltro, le luci non sono mai mancate. E così è, laddove i pullman turistici prendono il sopravvento un po’ ovunque, e dunque anche qui. Ma si può, comunque, cercare di astrarsi dalle flotte di gagliardi turisti, perlopiù giapponesi, schierate in modo da non perdersi neanche uno scorcio degno di fotografia. Si può, appunto, fingere di essere soli – non senza fatica e con una buona dose di immaginazione – e perdersi tra le vie in salita.

Il quartiere, negli ultimi anni, ha dovuto molta fama a diverse pellicole cinematografiche di registi ammaliati dall’aria melanconicamente retrò dei suoi vicoli, dei suoi café e, più semplicemente, delle facce che popolano le strade. “Il favoloso mondo di Amélie” è forse il film in cui si coglie maggiormente questa nota sentimentale. E proprio sulle note della sua colonna sonora, composte da Yann Tiersen, che ascoltiamo dal nostro lettore mp3 per sentirci ancora più parte del luogo, coperti da un ombrello ci addentriamo in Montmartre con l’animo di chi entra in un sogno. Pronti a respirare l’atmosfera a pieni polmoni, ma con lo sguardo un po’ annebbiato, quasi ebbro, dal coinvolgimento emotivo.

Ai piedi della collina ci imbattiamo immediatamente in un luogo che non può non attirare l’attenzione. È una casetta coperta da edera, sembra parlare, perché è impossibile non girarsi a guardarla. Ci avviciniamo e una targhetta affissa sulla facciata rivela che di lì passò Pablo Picasso. Per la precisione, che lì nacque il suo primo atelier di Parigi. Non male come inizio. Chissà quali e quanti dei suoi capolavori sono stati concepiti e, magari, creati qui.

Proseguiamo, saliamo scale strette e tortuose che separano palazzi datati e ornati, qua e là, da suggestivi pezzi di street art. La pioggia continua ad accompagnarci, regalando un tono poetico a ciò che ci circonda. Arriviamo alla meravigliosa Place du Tertre, una volta vero punto nevralgico di Montmartre, oggi più che altro luogo di culto per i turisti, ma pur sempre ricca di fascino. Qui gli artisti di strada sono i protagonisti. Si colorano ritratti in ogni angolo, bambini e adulti in posa cercano di fare catturare i tratti dei propri visi in un luogo tutt’altro che usuale. Molti café fanno da contorno, dove non mancano certo macaron di ogni gusto. Decidiamo di rimanere qualche minuto e vagare per la piazza così, un po’ casualmente, facendoci guidare dai volti, dai ritratti, da chi o cosa catturasse di più la nostra attenzione. La pioggia non cessa, l’atmosfera è unica, sospesa nel tempo.

Montmartre è anche un insieme di atelier di artigianato di vario tipo, antiche boulangèrie con prelibatezze di pane e derivati esposti in vetrina e librerie datate, dove avremmo passato mezza giornata a sfogliare i capolavori principali della letteratura francese. Perdendoci nell’osservare queste piccole semplici bellezze, arriviamo alla splendida Basilica del Sacro Cuore. Imponente, svetta sulla cima della collina – la Butte de Montmartre – rendendosi meta da agognare dopo la salita. Curiosa la storia della sua costruzione, che vide iniziare i lavori nel 1876, per mezzo del finanziamento autoctono ottenuto dalle offerte dei cattolici parigini, gesti di penitenza in seguito all’umiliazione bellica nella guerra franco-prussiana del 1870-1. Ottenne, infine, consacrazione soltanto nel 1919. Salendo 234 scalini, si raggiunge la cupola. Nel campanile, è ospitata la campana più grande di tutta la Francia, la Savoyarde, dal dolce peso di 19 tonnellate. Uno sguardo a Parigi dall’alto, sotto la pioggia che non ci ha lasciati un minuto, da un Sacro Cuore che batte e si sente. Questa è l’ultima immagine della nostra Parigi.

Quando parti, arrivi in un posto, lo vivi, per pochi o tanti giorni che sia, questi finirà per lasciare indelebilmente una traccia di sé. Parigi ci ha coinvolti e, ben oltre le nostre stesse aspettative, ammaliati. Infatuazione che sboccia ogni volta che riaffiora un ricordo. Impossibile non rivolgere un pensiero sentito a questa città, in questi giorni.

Impossibile non sentirsi un po’ parte di lei. Je suis Paris. E, prima o poi, ci rivedremo.

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