Londra dalla colazione alla cena: come cambiare idea sulla cucina della capitale inglese

Ho perso il conto delle volte in cui sono stata a Londra, ma non mi stancherò mai di ritornarci e vedere cosa è cambiato dall’ultimo viaggio. Di certo non cambia la sensazione che provo quando riemergo dalle viscere della metropolitana e vengo assalita dall’odore che associo con questa città: gas di scarico, cipolla e umidità. È poco poetico, ma se mi fermo ad aspettare il verde al semaforo di Sussex Gardens e chiudo gli occhi, quel misto di odori mi riporta a quando avevo sedici anni, alla mia prima vacanza trascorsa qui.

Sussex Gardens Road - Londra - cucina inglese

Ma i miei sogni sono interrotti da una famiglia di turisti italiani. Il figlio mi passa sui piedi con la ruota del trolley senza chiedermi scusa, mentre la madre urla di fare attenzione perché le macchine vanno al contrario. Il padre è qualche passo avanti, intento a studiare una cartina. Mi tengo poco distante mentre aspetto di incamminarmi lungo la Bayswater Road. Passa qualche secondo, quando finalmente il ragazzino dice la frase che aspettavo da un po’: “C’è un McDonald?” Mi auguro che i genitori abbiano il buon senso di dirgli che non capisce niente. Invece no. “Da qualche parte ci sarà” dice il padre facendo un gesto vago con la mano. “Altrimenti ci sono tanti ristoranti italiani.”  Con sei parole mi sferra un colpo mortale. Vorrei strattonarlo e chiedergli per quale motivo dovrebbero mangiare in un locale di una catena internazionale o in un ristorante che riproporrà in maniera approssimativa i gusti della cucina italiana. Perché, perché? vorrei domandargli. Ma non posso. Allora mi limito a fare un viaggio con la fantasia, pensando di invitare mamma papà figlio a trascorrere una giornata con me per rendersi conto che Londra ha molto di più da offrire rispetto un McDonald a Piccadilly Circus o a un Giovanni’s a Leicester Square.

Così immagino di incontrare il mattino successivo la famiglia Rovere – nella mia testa si chiamano così – e di accompagnarli in un viaggio che ho fatto innumerevoli volte e che spero non li deluderà. Ci diamo appuntamento alla fermata di Bond Street e prendiamo la Jubilee Line fino a London Bridge. Usciti dalla stazione, attraversiamo la strada verso Borough Market, ma procediamo oltre perché temo che sarebbe troppo per un giorno solo. In un attimo siamo a Park Street, ed ecco Monmouth Coffee davanti a noi. Qui i Rovere imparano la lezione numero uno: colazione non significa solo Starbucks.

Monmouth Coffee - Londra - cucina inglese

Individuo un posto libero e li invito a sedersi a uno dei tavoli di legno grezzo, mentre ordino espresso per gli adulti e un cappuccino per il ragazzino. Prendo anche qualcosa da mangiare: pain au chocolat e croissant e, visto che manca poco a Pasqua, qualche hot cross bun e del raisin bread. Temo che i miei amici storceranno il naso: forse si alzeranno facendo volare via tazze e piatti per fiondarsi da Costa Coffee. Respiro sollevata mentre li guardo sorseggiare le loro bevande senza scappare. Anzi, in pochi minuti spazzolano tutto quello che ho messo sul tavolo. Rincuorata, mi lascio convincere ad accompagnarli da Hamley’s a Regent Street.

Dopo qualche ora nel paradiso dei giocattoli i tre sono nuovamente affamati. Guardano con bramosia la vetrina di un Prêt à Manger e sento lo stomaco di papà Rovere gorgogliare davanti a una bancarella di hot dog. Ma niente fermerà la mia missione: saltiamo su un taxi e ci facciamo portare a Audley Street, in un piccolo locale dal pavimento a scacchi e i tavoli di maiolica uno diverso dall’altro. La specialità del Mayfair Chippy è il fish and chips, e il mio secondo obiettivo è convincere i Rovere della bontà di questo piatto. Troviamo posto al bancone lungo la parete e chiediamo subito le quattro varianti di fish and chips: merluzzo, eglefino, scampi e platessa. Il ragazzino si lecca addirittura le dita, mentre i genitori chiedono altre due pinte di birra.

Fish and chips - Londra - cucina inglese

Soddisfatta del risultato, alzo il bicchiere verso la mia immagine riflessa allo specchio. Dopo pranzo i Rovere sono stanchi e io ho del lavoro da fare, per cui le nostre strade si dividono momentaneamente. Ci diamo appuntamento per l’ultima volta e quando arrivo loro sono già lì ad aspettarmi. Il viaggio richiede circa mezz’ora perché dobbiamo cambiare a Earl’s Court.

Quando scendiamo a Parson’s Green non mi sfugge la punta di delusione sui volti dei Rovere. Le case basse di mattoni potrebbero far pensare a un paese di provincia: non è certo quello che si aspettano da Londra. Non mi lascio scoraggiare, e cammino a passo spedito verso l’ultima destinazione: il White Horse. Quando varcano la soglia rimangono a bocca aperta, colpiti dal bancone di legno sulla sinistra, dalle poltrone e i divani di pelle consunta, dai vecchi tavoli e dalla boiserie tutt’intorno.

“Ma è un pub inglese!”, esclama papà Rovere. Sì, l’idea era questa. Ordino tre pinte al bancone: la lista tra cui scegliere è veramente estesa. Scegliamo un tagliere con formaggio, salmone, prosciutto, pane e olive. Ordiniamo poi i piatti principali: l’hamburger con Cheddar, il filetto di salmone, la bistecca, il pollo, ognuno servito con una birra diversa. Tranne che per il piccolo Rovere, che ne assaggia un sorso dalla madre e strizza gli occhi per il gusto amaro. Alla fine della cena i miei nuovi amici sono stanchi ma soddisfatti. E lo sono anche io.

White Horse - Londra - cucina inglese

Riapro gli occhi quando il semaforo diventa verde: vedo i Rovere poco più avanti, che si allontanano lungo la Bayswater. Forse il mio viaggio con la fantasia non avrà fatto cambiare idea su Londra ai miei amici immaginari, ma magari avrà fatto venire voglia a voi di seguire almeno uno dei miei consigli.

Foto di copertina: street food a Soho, Londra, di Garry Knight

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