Timiou Stavrou: un viaggio nella Grecia più verde

Piuttosto che fare altri gradini su e giù per le Meteore, nel corso del nostro viaggio in Grecia mia moglie ha accettato di andare alla ricerca di una chiesa sperduta sulle montagne di fronte a Kalambaka. Subito il primo problema: il nostro navigatore non riconosce Krania, il paese verso cui dovremmo puntare. Programmiamo come riferimento quello che pensiamo sia un paese vicino e dopo tre ore su e giù per monti e valli, su strade utilizzate solo dalle tartarughe di terra, tre ne ho dovuto spostare sul prato di fianco, torniamo a Kalambaka sotto un temporale.

Riproviamo il pomeriggio successivo e ci affidiamo, più che al navigatore, ai cartelli stradali e alle indicazioni della gente del posto, quando la troviamo. A Kastania un contadino con moglie sorridente al fianco e forcone in spalla ci indica più a gesti che a parole la strada per il paese successivo. Ad Amaranto il gestore di un bar, cucchiaio in mano perché giustamente alle tre del pomeriggio sta mangiando, ci fa capire di tornare un po’ indietro e di prendere un’altra strada. Da qui in poi più nulla e nessuno, solo tornanti che inesorabilmente salgono tra prati e boschi verso una specie di passo che si intuisce tra le montagne coperte dalle ultime chiazze di neve. Finalmente in cima, saremo a circa 1500 metri di altezza.

Posso dire che siamo rimasti a bocca aperta? Davanti a noi una valle sommersa dai boschi, un mare dove le onde cupe degli abeti sono rotte dal verde tenero dei faggi, nessun prato, nessuna schiarita, nessuna casa, solo una luna azzurra sopra le cime. Siamo nella Valle dell’Aspropotamos – scavata dal Fiume Bianco o White River, che fa più effetto – tra le propaggini meridionali del Pindo, in una valle che, ho scoperto poi, è proprio famosa per la sua bellezza. Così come ho scoperto poi che gli abitanti della valle sono sì greci, ma di antica lingua neolatina, come altre popolazioni distribuite un po’ in tutta l’area balcanica e conosciute come Valacchi.

Il fatto di parlare una lingua neolatina non ci permette comunque di capire una sola parola di quelle che ci dice il vecchietto col bastone seduto sulla panca davanti a casa sua. Siamo a Doliana, tre case sparse, cinque trattori abbandonati, una ventina di mucche stupite e capiamo per l’ennesima volta che dobbiamo tornare indietro.

Un cartello stradale ci salva: Ierà Monì Timiou Stravou, aperta del 1° aprile al 30 ottobre. Ancora un paio di chilometri lungo l’Aspropotamos, un gagliardo torrente alpino in questo tratto, alcuni tornanti sulla sinistra nel bosco e siamo alla chiesa finalmente.

Dall’ingresso del cancello sul limite del bosco si vede l’abside ma lo sguardo è subito attratto dalla dozzina di cupole di varie dimensioni che spuntano dal tetto di beole, sembra una chiesa russa progettata da un architetto romanico. Il trentenne che fa da guardiano e che parla solo greco si precipita ad aprirci le porte e ad accendere le luci, non sembra che arrivino tanti turisti da queste parti.

L’interno è spoglio se confrontato con le cappelle dei monasteri delle Meteore, nessun mosaico sulla volta delle cupole né affreschi sulle pareti, solo i dipinti dell’iconostasi brillano sul fondo d’oro, sembra una chiesa appena finita. In effetti la chiesa risale alla fine del Settecento, costruita vicino a un monastero andato in rovina, ma è stata ricostruita nel secondo dopoguerra dopo che era stata distrutta assieme ai villaggi circostanti dai tedeschi nel 1943 per rappresaglia contro gli attacchi dei partigiani, una delle tante tragedie che tutti i monti d’Europa hanno vissuto.

Bella? Interessante direi. Belli di una bellezza selvaggia sono i boschi e le montagne che la circondano e la nascondono, ma solo chi la cerca li trova.

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