Escursione dall’Alta via di Forni al Cammino delle Pievi

Il mio trekking di sei giorni sull’Alta via di Forni, un anello tra le Dolomiti friulane e le Alpi Carniche. Il racconto è cominciato la settimana scorsa con le prime tre giornate, ed ecco come si è conclusa la nostra avventura.

Quarto giorno

Oggi passiamo dalle Dolomiti friulane alle Alpi Carniche, giù fino al Passo della Mauria poi su fino alla Casera Tartoi (1711 metri). Previsioni meteorologiche: pioggia dopo mezzogiorno, temporali nel pomeriggio, a Milano già diluvia. Sol che tenga, diceva un mio amico, ma le nebbie che salgono e si disperdono tra i boschi non promettono nulla di buono.

Dopo i primi costoni e l’ultimo sguardo alla Cime Urtisiel cercando di capire come abbiamo fatto a scendere da là sopra, ci immergiamo nella faggeta. È tutto un su e giù che non finisce mai, anzi finisce al Passo della Mauria. Un caffè? Tutto chiuso, solo il rombo di motociclisti tedeschi in Harley Davidson, via in fretta, comincia a piovere.

Lungo la stradina qualche baita silenziosa, poi un cartello stile ranch “… al mè tabià”. Di sicuro è un bar visto che un signore si sbraccia sulla porta chiedendo “volete un caffè?”. Dentro camino con fuoco acceso, porcini appena raccolti e scatola di biscotti in attesa del caffè.

Ci impieghiamo un po’ a capire che non è un bar ma la baita di un gentile signore che si è impietosito nel vederci passare intabarrati nelle mantelle. È un interista sfegatato che ha dipinto i pini dietro la baita di nerazzurro quando l’Inter ha vinto l’ultimo scudetto, ci fa vedere le foto come prova, ci mostra anche la foto di una impronta di orso sulla neve davanti alla baita e le foto degli ultimi due papi. Perché? Sia papa Wojtyla che papa Ratzinger si sono fermati in questa baita durante le loro brevi camminate in Cadore. Che li abbia chiamati urlando “volete un caffè”? “Voi siete matti ad andare avanti”, ci dice e guai a chiedere il conto, “mi offendereste a morte”. Grazie.

Fuori piove, il bosco è cupo, sotto la mantella gli zaini ci fanno la gobba, sembriamo personaggi di un racconto noir. Unico segno di vita una rana temporaria in posa sul sentiero per farsi fotografare. Un torrente ci blocca la strada, per superarlo si sale, poi lo si attraversa e si sale di nuovo su tracce ripidissime in mezzo alla pineta. Sulla guida c’è scritto “si guadagna rapidamente quota”. E piove sempre più forte. “Vista sulle Tre Cime di Lavaredo”, indica più avanti un segnale di legno tra i larici  gocciolanti. Scatto una foto alla nebbia di fronte prima in orizzontale e poi in verticale, non so quanto sono alte da qui.

Finalmente la Casera Varmost, punto d’arrivo della funivia che sale (e scende) da Forni di Sopra. Piove forte e fa freddo… che facciamo? In qualità di anziano saggio dico che sta per smettere e quindi si va avanti.

Appena i cani che stanno scortando un gregge di capre, nessun pastore in vista, ci lasciano uscire dal recinto della casera affrontiamo di lena un sentiero che sale tra i prati e qui comincia il diluvio, tra tuoni, fulmini e raffiche di vento corriamo verso il bosco, tra mille punte proprio noi dovrebbero fulminare? Paura tanta, mai andato così forte in questi giorni, in 45 minuti invece dell’ora segnata sulla guida arriviamo alla Casera Tartoi con l’acqua che esce dagli scarponi come fossero secchi troppo pieni. Passerò la serata coi piedi sulla stufa.

Quinto giorno

Questa notte abbiamo sentito il vento. Sibila ancora a raffiche e sta pulendo il cielo, finalmente vediamo le Dolomiti di fronte a noi. Sarò sincero, bello, ma starci dentro è un’altra cosa. Andare fino alla Casera Tragonia (1760 metri) è una passeggiata tra i prati ci dice Mirko, il giovane gestore del rifugio, non aggiunge che dovremo salire di altri 600 metri dietro il Monte Tiarfin. E ripartiamo ovviamente in salita attraversando un luminoso lariceto, prati di alte erbe, fioriture tra le rocce e vento freddo che scende a folate dalla cresta soprastante. Il cielo in compenso è sempre più blu.

Il sentiero si perde in un vallone pieno di massi scaricati dai due versanti, non può che essere la Busas di Tiarfin segnalata dalla guida, bisogna seguire gli ometti di pietra che sbucano un po’ qui un po’ là e i miei due amici ormai ometti anche loro che come al solito si allontanano verso l’alto. Davanti solo sfasciumi rocciosi, dietro cominci a vedere le Dolomiti al di là del Piave, quelle con le Tre Cime di Lavaredo per intenderci.

Non si vede nient’altro ma lo sai, lo aspetti, appena in cima vedrai. La cima è la Forcella Rossa (2300 metri) e il “vedrai” sono a sud le Dolomiti Friulane, più belle adesso di quelle viste dal rifugio, a est l’Alta valle di Sauris tutta pascoli e pinete, a nord una lunga bastionata di cime, dietro c’è Sappada, a ovest le Dolomiti del Cadore, non so quali cime stiamo vedendo, mea culpa.

Il sentiero scende attraversando un ripido ghiaione, ma dopo quello dell’Urtisiel questo non è niente. Però sui sassi si rotola di brutto, ormai seduto scatto una foto alle campanule che crescono delicate tra i sassi in continuo movimento. Tutto sommato Mirko aveva ragione, da qui in giù fino alla Forcella Risumiela è tutto un mare di freschissima erba in cui affogano cespugli di rododendro e larici isolati, una volta erano pascoli.

I due sono già alla forcella e si sdraiano al sole, sanno che devono aspettare. Sotto il crinale si stende il verde della Valle di Sauris, in fondo si vede un angolo azzurro di lago, il cielo blu è percorso da nuvole bianche, mancano solo Belle e Sebastien.

Il sentiero è trafficato. Prima incrociamo una decina di persone, un uomo con una croce in cima al bastone, un altro che porta sulle spalle una Madonna invece della gerla, i ragazzi corrono, un paio di signore sono paonazze in viso. Stanno percorrendo la decima tappa del Cammino delle Pievi, una specie di Cammino di Santiago tra monti e valli della Carnia, tradizione credo ai più sconosciuta (e difatti a noi lo ho spiegato Daniele, il gestore della Casera Tragonia). Poi ci superano in discesa tre in mountain bike, non so da dove sono sbucati, ma soprattutto non so come hanno fatto ad arrivare là in cima.

Alla Casera Tragonia ci siamo solo noi, Daniele dice che deve arrivare una donna, poi ne arrivano due ma nessuna delle due è quella attesa… non sarà mica l’americana del Rifugio Flaiban? In attesa della cena Daniele ci spiega come veniva fatto il formaggio nella enorme pentola – “cjaldera” ci corregge – da 500 litri ancora appesa sopra il focolare, non si chiama casera per caso, una fatica che nessuno di noi farebbe più.

Sesto giorno

Il mio programma era di salire al Clapsavon prima di scendere a Forni, ma i miei due compagni, conti alla mano, dicono che faremmo troppo tardi. Faccio finta di accettare a malincuore, in realtà è da un paio di giorni che l’alluce sinistro mi dà problemi. Sta scritto dovunque: in montagna le calzature sono fondamentali, di nuovo mea culpa.

Il sentiero verso malga Montemaggiore è ancora in ombra e sale lentamente, l’erba alta lo nasconde, pare di capire che è poco frequentato, forse perché passa dal Plan di Plaron dove le streghe tenevano i loro sabba. Noi non vediamo neanche un fungo di quelli col cappello rosso a pois bianchi usati negli intrugli delle streghe, per la verità non vediamo neanche porcini, magari ci fossero.

Con passo tranquillo arriviamo alla malga Montemaggiore, in rovina, e saliamo al vicino Ricovero Francescutto dove troviamo quasi una folla, bambini, giovani e non più giovani tutti affaccendati a preparare qualcosa. Stanno aspettando un gruppo di scout se non si perdono lungo la salita. Volete un tè? Non si disturbi signora, macché disturbo e tutti e tre ci troviamo con un bicchiere in mano.

Ci aspettano 850 metri di discesa su Forni di Sopra, anche il mio alluce li aspetta e già si lamenta. Incrocio i boy scout che stanno salendo, zaini enormi sulle spalle, il capogruppo si ostina a trascinarli sui sentierini che tagliano i tornanti. Buona gita dico io, altro che buona gita borbotta una ragazza mentre si allontana. La capisco. In paese i due hanno trovato il benzinaio-meccanico-gommista che se ne sta andando in macchina ma riapre l’officina apposta per noi. La macchina è a posto.

Montagne dal cuore di pietra e persone dal cuore d’oro.

Leggi il racconto delle prime tre giornate nell’articolo precedente!

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.