Cambogia, diario di un viaggio in solitaria in un libro tutto da leggere

Scrivere un diario di viaggio può sembrare una banalità e di questo tipo di letteratura ne sono state riempite le epoche. Un uomo alla ricerca è un uomo in viaggio. Non sono di certo la prima che ha vissuto il viaggio come una crescita personale; ma la verità è che anche il mio viaggio è nato per una necessità profonda ed intima. Avvenuto nell’unico momento possibile, nel punto di limite inferiore di una parabola tutta in discesa, per la prima volta, per me, non è stata una fuga dalla realtà.

Si viaggia per tanti motivi: per rilassarsi, per staccare la spina, perché quando si parla di ferie è automatico il binomio con aerei e vacanze, lo si fa anche per fuggire, sperando così di lasciarsi indietro dolori e problemi indesiderati che al nostro ritorno, ahimè, troveremo esattamente nello stesso posto. Quest’ultimo tipo di viaggiatore (e lo sono stata anche io), infatti, con l’inizio della sua vacanza, entra in una bolla di sapone, all’interno della quale tutto riluce; la sua superficie distorce tutto ciò che, partendo, ha deciso di non portare con sé, facendolo sembrare temporaneamente accettabile. Al ritorno si deve riemergere dalla bolla che scoppia con un “pop”, lasciando solo un vago profumo nell’aria.

No, non è stato un viaggiare per fuggire se non per trovarsi e ritrovarsi. Non c’è un viaggio uguale all’altro e i motivi per farlo sono davvero infiniti: nel mio caso, l’ho fatto per riconfermare ed accettare me stessa.

Il mio libro “Cambogia, diario di un viaggio in solitaria” è esattamente quello che suggerisce il titolo: per la prima volta ho fatto un viaggio completamente da sola e ne ho narrato le sensazioni in un quaderno che avevo portato con me. Qui, ho registrato a caldo sconvolgimenti emotivi quotidiani. Le sensazioni sono nitide, vivide. Non c’è niente di vago, di distorto e ingannevole. Nessun momento, nessun dettaglio ha i contorni sbiaditi o falsati. Questo è il grande lusso, ma anche il fardello, del viaggiatore solitario: il primo è di poter godere di attimi intensi e stravolgenti, il secondo di potersela sbrigare da solo. Da qui, la scelta di tenere un diario, unico interlocutore di questa esperienza tanto intima. I ricordi non sono rimasti imprigionati dentro la bolla di sapone, i cui riflessi arcobaleno, li tinteggiano di rosa. Non ho scritto a memoria, a posteriori; tutto era già stato vissuto e processato inequivocabilmente. E così, ora, lo condivido con voi.

É stato un viaggio voluto e inderogabile. Quando il desiderio è tanto forte da far dimenticare le paure, che ci sono state, sia prima della partenza che durante quei venticinque giorni in terre asiatiche. É stato un viaggio in risalita, di ricostruzione e riconferma. Ci sono stati capitomboli durante il percorso, ma ogni ripartenza è sempre stata inserendo una marcia in più, con la consapevolezza che ogni piccolo intoppo era semplicemente parte del cammino, e forse la più preziosa.

La Cambogia è la meta di questo viaggio. In realtà, una meta vera e propria non esiste. La meta è il cammino; è il viaggio della vita; è la crescita che mai si arresta; è un ingranaggio che ha messo in moto la macchina e il processo è irreversibile. Questo viaggio è iniziato molto prima del momento di atterraggio; prima anche dell’aver acquistato il biglietto.

É iniziato anni fa, quando per la prima volta mi sono trovata a parlare di Cambogia, un paese remoto nel mio mondo e nella mia conoscenza. Non sapevo niente, ma attraverso letture, spesso anche casuali, ho iniziato a interessarmi a questa terra. La “terra dei mille sorrisi” mi ha ammaliato prima sulla carta e poi sul campo.

Nel libro vi accompagno alla scoperta di questo paese, lungo due percorsi intrecciati che, nello spazio “fisico”, si è snodato da Siem Reap fino a Kep, dal nord al profondo sud della Cambogia; sulla sfera spirituale, ha dipanato una matassa emotiva lasciandomi in mano il bandolo per iniziare un grande progetto: la mia vita.

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