Visitare l’Irpinia tra cucina e tradizioni

Alcuni luoghi ti parlano delicatamente attraverso le forme della terra o del cielo, altri lo fanno nei luoghi più intimi, dentro castelli e chiese, altri ancora in modo più informale e un po’ chiassoso, quando ci si rilassa davanti ad un piatto caldo e un buon bicchiere di vino. I profumi di un semplice risotto, il tintinnio di un calice di rosso hanno molte cose da raccontare. Un territorio agricolo come l’Irpinia si mostra proprio laddove ci si ferma e ci si siede a tavola, quando dietro l’angolo spunta una fattoria o una piccola azienda.

Alle spalle di quella grande città, Napoli, che nel bene e nel male attira sguardi e passioni, dietro le coste e le isole conosciute dai tempi del mito, prima che i poeti greci o romani ne cantassero eroi e divinità, c’è questa terra di montagne e colline, regione dentro una regione, introversa pur trovandosi a Sud.

Sono i luoghi che preferisco, dove non sembra accadere nulla, dove tutto dipende ancora dalla stagione che ti accoglie, a differenza delle città dove puoi sempre nascondere il clima dietro una giacca o dentro un museo. Nelle terre dove ancora ci sono i contadini e i pastori, ti tocca ascoltare il vento o il silenzio dei piccoli borghi quando fa freddo, ti tocca osservare bene l’orizzonte con la sua erba secca e desiderare di tornarci quando sarà verde.

Forse però, la fine dell’autunno e l’inizio dell’inverno, sono i periodo migliori, perché c’è già stato il raccolto, di cui si possono godere i frutti. L’Irpinia non ha poi bisogno di mostrarli nascondendoli dietro parole ed etichette, perché sono quello che sono, semplici e gustosi, non hanno bisogno di additivi, nemmeno figurati.

Ti ho già parlato velocemente di alcuni di questi mondi nascosti, ora voglio dedicare loro la giusta attenzione, così che anche tu potrai percorre questa terra percependola nella sua essenza.

Base della dieta mediterranea e oro verde di ogni tavola del Sud, è l’olio d’oliva. Tra le colline dell’Ufita, vicino ad Ariano Irpino, si trovano frantoi ed aziende a conduzione familiare, che trasformano una varietà locale di olive in un liquido prezioso che è subito diventato un buon motivo per ritornare in Irpinia. Pochi lo conoscono fuori da questi monti ma l’olio extra vergine Ravece merita da solo un viaggio. Nella mia cucina ne serbo una piccola bottiglia, capace di rendere anche una semplice pastasciutta un pasto regale. Il suo sapore intenso e un po’ amaro, è più forte e sicuramente benefico di un sugo elaborato.

Se la mia pausa pranzo vuole diventare qualcosa di più di un semplice intervallo, oltre al Ravece, mi basta aggiungere del pecorino stagionato tre mesi, di quella varietà che viene lavorata solo tra Rocca San Felice e S. Angelo dei Lombardi.

Il pecorino di Carmasciano ha una storia antica come la transumanza in Irpinia e come il culto della dea Mefite, antica divinità dei Sanniti e degli Osci, che secondo molti continua ad esercitare la sua benevolenza sulle pecore e sui loro pastori. Il mito si è poi sposato con il desiderio, di tornare alla terra, di conservare e di rendere migliore. Ecco allora una piccola azienda, con il suo pastore che porta a pascolare le pecore, uno di quei giovani che non è emigrato dopo gli studi ma ha deciso di restare e di cercare la fortuna laddove è sempre stata, sotto i suoi piedi che ogni giorno camminano con il suo gregge.

Olio e formaggio si mescolano con il pane, che qui in Irpinia, come in tutto il Sud, ha ancora il sapore del grano e per chi viene come ma dal Nord diventa un alimento a sé stante. Il pasto è già pronto, manca solo un bicchiere di vino.

Tra le montagne ci sono vallate dove si intravvedono filari che dormono, piante che offrono sia bianchi che rossi, come il Greco di Tufo o l’Aglianico, che fatto maturare diventa il Taurasi, rosso corposo e forte che addomestica il palato, accompagnando le chiacchiere e i racconti. Anche qui ci vorrebbe più tempo o un’altra visita, perché i vini e le storie sono molte, molte le cantine e i paesi, che producono da secoli e che hanno tanto da dire, ampliando l’orizzonte, oltre i vini rinomati delle solite regioni.

Non servirebbe allora nemmeno andare in ristorante. Basterebbe un prato che guarda le montagne ed un cesto, con del pane di grano duro, un po’ di Ravece ed un pecorino, una bottiglia di questi vigneti ben piantata per terra.

Viste le premesse però, gli ingredienti che è riduttivo chiamare “di base”, vale la pena cercare un luogo dove tutto questo viene amalgamato e ricreato. Il mio ricordo va a quella che sembra una casa in mezzo agli ulivi, vicino all’anfiteatro di Avella, un ristorante dove si cucinano le erbe dell’orto e dei colli vicini, accompagnati dal pane di pasta madre e da tutto quel ben di dio, della terra e dell’uomo di cui ho parlato prima e di cui non mi stancherei di parlare.

Le parole però volano, a volte anche se sono scritte, meglio fissare l’attenzione con l’emozione di un grande piatto fatto di piccole e semplici cose. Non sto parlando poi di una terra lontana, l’Irpinia è tutto sommato vicina anche per me che vengo da nordest. I suoi sapori, che sbocceranno in primavera o in estate, possono diventare un’ottima scusa per ritornarci.

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.