A pesca di piranhas sul Rio delle Amazzoni: diario di viaggio in Amazzonia #3

21 aprile – Il viaggio continua dal post precedente > Zip line sul rio Tahuayo, Peru: diario di viaggio in Amazzonia #2

Sveglia alle sei – niente colazione? – mangeremo quando saremo arrivati al posto dei pesci piranha – e si parte con una barca a motore, alla guida el Gato, ne vedremo delle belle, poi noi due e Marco con la sua morosina, sì perché quello che sembra un ragazzino in realtà ha finito le superiori a Iquitos e tra una settimana andrà all’università di Lima, economia o qualcosa del genere, non sembra entusiasta.

Nuvole bianche e cielo azzurro cupo si specchiano nell’acqua immobile, aria fresca sul viso, sole ancora basso all’orizzonte, il muro verde della riva si allontana  quando il fiume si allarga, un viaggio incantato rotto dal Gato – delfini, là in fondo. Il fiume qui forma una specie di lago dalle acque profonde – eccoli là – tre o quattro volte si vedono emergere lontani, fotografarli è questione di fortuna e di velocità, qualche tentativo ma alla fine restano solo le increspature sull’acqua.

El Gato rompe gli indugi e per recuperare il tempo perduto si dirige a tutta velocità verso gli alberi della riva che in realtà non c’è perché l’acqua inonda tutta la selva, poi inizia uno slalom tra i tronchi finché qualcosa mi cade pesantemente su una spalla e poi in acqua, el Gato ride di gusto, Marco e la morosina pure, Gigi non si è accorto di nulla – era un’iguana – dice Marco, non mi sono fatto niente ma mi devo preparare, non c’è due senza tre.

Il posto dei piranhas è uno slargo nella selva allagata identico ad altre decine lì intorno, questo va bene gli altri no, misteri da pescatori.

Si pesca: per canna un bastone lungo un metro, filo senza galleggiante con un amo che da noi si userebbe per pescare trote da cinque chili, per esca pezzettini di pesce puzzolente che non fanno in tempo a entrare in acqua che già sono spariti ma non ricompaiono sotto forma di piranhas appesi all’amo, ci prendono in giro.

Alla fine ne prendiamo due, uno io piccolino e uno el Gato, più grosso ma non vale perché lui pesca con una canna vera col mulinello.

Colazione con le mani che puzzano di pesce, chi si fida a sciacquarle. La luce calda filtra di sbieco tra i rami e colora di giallo intenso l’acqua che qui corre veloce tra gli alberi verso il Rio delle Amazzoni da qualche parte lontano nella foresta.

Nel pomeriggio nuovo giro in canoa nella foresta allagata, silenzio rotto solo dallo sciabordio delle pagaie di  Marco e Gigi, andiamo a caso – ma poi ti ricordi come tornare? – sì, basta seguire i rami tagliati – adesso capisco perché tutti portano il machete, d’altra parte lasciare le briciole di pane come Pollicino qui non è possibile.

Un rumore, unghie sulla corteccia – su quell’albero – sottovoce, non vedo niente, la canoa scivola lenta verso il tronco, un uccellino giallo, un picchio, poi un altro e un altro ancora, sono controluce ma provo a scattare, qualcosa si vedrà.

I tronchi sono pieni di insetti che scappano dall’acqua, ragni, scorpioni, formiche e centopiedi corazzati – sono profumati – dice Marco e ne prende uno, annusare per credere.

Dopo cena tutti in barca – si va sul fiume – dice Manuel. Motore al minimo, torce che illuminano le rive, si dovrebbe vedere il riflesso degli occhi – caimani? – qui no, non hanno terra su cui riposarsi – solo uccelli e animali che vivono sugli alberi. Io vedo solo  festoni di licheni che penzolano dai rami e tronchi che emergono dall’acqua nera ma le due guide riescono a illuminare quattro o cinque uccelli che restano immobili anche se ci avviciniamo a pochi metri e una specie di topone gigante che fruga tra i rami a pelo d’acqua.

Motore spento, silenzio assoluto, luci spente, buio assoluto, la barca scivola nella corrente, poi alzi gli occhi e vedi milioni di stelle, la Via Lattea attraversa tutto il cielo dell’Amazzonia, una notte meravigliosa.

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