Ultimo giorno in Amazzonia: Rio delle Amazzoni e il respiro della foresta – Diario di viaggio in Amazzonia #8

26 Aprile – Il post precedente qui > Topi a pranzo e serpenti a cena – Diario di viaggio in Amazzonia # 7 – Ultimo giorno, cielo grigio e acqua nera, un po’ come il nostro umore.

Sul ramo di fronte alla finestra del nostro bungalow un uccellino giallo porta un bruco ai suoi pulcini in un nido costruito con strani fili biancastri, sembrano di plastica ma è impossibile perché in otto giorni in giro sul Tahuayo e dintorni non abbiamo visto un solo pezzo di plastica o di carta galleggiare sull’acqua, incredibile ma vero.

In barca, si parte, sulla veranda a salutarci c’è anche il fratello maggiore del Gato, ovviamente lo chiamano el Gato Major, lui si occupa di pulizie e manutenzione del centro ricerche, un lavoro nascosto ma indispensabile.

Un paio di anse sul fiume e – scimmie! – virata a sinistra, motore spento, accostamento sul filo della corrente. Sono quattro o cinque, pelo scuro, muso nero, una coda grigia sproporzionata, ci osserviamo, la curiosità supera la paura, dopo un po’si allontanano dalla riva saltando da un ramo all’altro – sono titi – dice Marco che sta tornando con noi a Iquitos.

Sono sei in totale le specie di scimmie che abbiamo visto: il primo giorno alcune cappuccino di sfuggita tra i rami, poi Dorilla, la scimmia in castigo, poi le scimmie pigmee, i mostriciattoli sui tronchi neri, poi la saki, quella brutta col codone enorme, ma più brutte ancora le uakari, con quella faccia rossa da avvinazzate, e oggi queste, le titi, abbiamo anche sentito le scimmie urlatrici, alla fine abbiamo visto quasi la metà delle scimmie della riserva, niente male per una settimana di Amazzonia.

Dobbiamo uscire dal Tahuayo verso una laguna all’interno della selva, la prof che ha accompagnato gli studenti americani vuole andare ancora a cercare il serpente che ieri hanno visto su un  albero – boa o pitone? – no, ferro di lancia – dice Marco – una specie di vipera, il più velenoso della foresta. Niente serpente, pazienza, evidentemente non è un bradipo sonnacchioso, in compenso ci sono degli hoatzin sugli alberi li attorno, questi li conosco anch’io, sono colorati come dei galli ma svolazzano tra i rami come delle galline.

Al Tahuayo Lodge salutiamo la prof e i suoi ragazzi in partenza sulla prima speed-boat, quanti in Italia, prof e studenti, sarebbero disposti a fare una simile incredibile esperienza? Noi sul secondo con tre ragazze e due uomini dello staff del lodge che tornano a Iquitos, hanno finito il loro turno di lavoro.

Sosta al villaggio inondato di el Chino per acquistare dei souvenir. Stiamo coinvolgendo la gente di qui nella gestione della riserva cercando per loro alternative alla caccia – ci dice uno degli accompagnatori – le donne fanno qualche collana, oggetti di artigianato locale, è importante che capiscano che il turismo può essere una fonte di guadagno anche per la loro comunità.

Che siano alle prime armi lo si capisce subito dalla poca varietà degli oggetti in vendita ma, soprattutto, dal fatto che nessuna donna insista per farci acquistare qualcosa. Fuori, sul fiume, i bambini vanno in giro su piccole canoe come se fossero in bici per strada. Marco fa provviste per il suo viaggio a Lima, un pesce secco di un paio di chili, Gigi insiste per comprare arco e frecce anche se all’aeroporto lo fermeranno, lui spera di no.

A Buena Vista sosta per salutare il comandante della polizia locale – com’è andata? – bene, bene, grazie – lui si lamenta che la famiglia è a Iquitos, che c’è l’inondazione, che ha poca gente, insomma i soliti convenevoli.

Ultimi chilometri sul Tahuayo poi il Rio delle Amazzoni, non un fiume, un mondo di acqua infinita, l’altra riva si perde lontana segnata da una sottile striscia verde, il cielo è finalmente azzurro e carico di nuvole pomeridiane, il respiro della foresta, le chiamano gli indios, poesia e verità.

Incrociamo un vaporetto che sembra uscire dal film Fitzcarraldo, sulla prua Selva Viva, una barca per turisti danarosi; poco dopo superiamo due uomini su una zattera di enormi tronchi di legno che fluitano a valle, una soluzione per turisti avventurosi.

Sul nostro motoscafo tutti in silenzio, assorti ognuno nei propri pensieri, una ragazza più avanti ha un tatuaggio sul collo “Nosce te ipsum”, una volta per questo scopo si andava in India, chissà se lei ci è riuscita in Amazzonia. A Iquitos gli avvoltoi allineati sui tetti delle case osservano il tramonto d’oro. Ultima cena in un ristorante locale, non posso dire cosa abbiamo ordinato.

Alba splendida sopra le acque, inutile negarlo, un po’ siamo tristi, dal finestrino dell’aereo solo acqua e foresta, arrivederci Amazzonia.

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