Il mio Perù in solitaria: parte 2 – La valle sacra  

La seconda parte del viaggio (la prima parte la trovate qui) inizia nella valle sacra che in epoca coloniale venne chiamata “Valle di Yucay”. Comincio piacevolmente nel mercato di Chinchero, un posto che tra le proposte dei suoi commercianti e gli abiti tradizionali di chi lo popola, esprime chiaramente l’anima del paese.

Chinchero la domenica ospita infatti questo mercato ancora autentico raggiunto dagli abitanti delle zone limitrofe per barattare i loro prodotti con i locali. Da questo villaggio si gode di una vista spettacolare sulle montagne della Valle Sacra e si trova una piccola ma interessante chiesa coloniale (non sempre aperta al pubblico). Questo è l’ultimo posto che precede la tanto attesa valle sacra nel mio percorso.

Torno quindi a Cuzco a riposare con tanta adrenalina. La valle sacra la riconosci inevitabilmente non appena ci metti piede. Arrivando, le sue montagne verdi accarezzate dalle nuvole si ergono nel loro antico splendore. Si respira un’aria fresca e decisamente pulita.

Il mercato di Cinchero

La prima tappa è presso le saline di Maras

Questa miniera di sale è una delle piú antiche del Perú, si sa che fu sfruttata prima dell’arrivo degli Inca nella regione. Ancora oggi, con una tecnica primordiale si estrae il sale dalle pozze che contiene acqua proveniente dal mare attraverso la valle. L’acqua sale dal sottosuolo tramite un pozzo chiamato Qoripujio e viene condotta da un complesso sistema idraulico.

Toccando con mano le pozze, si vede e si sente nettamente la quantità di sale che viene prodotto: è straordinario. L’acqua del mare che arriva nella valle finisce in queste pozze (più di 3000) dove viene estratto il sale.

La vista dall’alto sulla valle con la mappatura delle pozze sottostante è meravigliosa. Sembra quasi di vedere una sorta di tetris reale con le pozze di varie forme e misure incastonate tra loro.

Le saline di Maras

le saline di Maras

Successivamente mi reco a Ollantaytambo, una città inca che rappresenta un vero e proprio assaggio di Machu Pichu. Pachacutec, uno dei protagonisti più rappresentativi dell’epoca Inca (il nono re), conquistó la regione e fece costruire il villaggio ed un grande centro cerimoniale che durante l’epoca della conquista spagnola servì come forte per la resistenza.

È incastonato nella valle e la precisione simmetrica delle linee che separano le pietre immense assemblate tra loro è una di quelle cose che vi lascia senza risposte in questo paese. L’architettura del luogo resta ad oggi ancora un antico mistero. Machu Picchu è senz’altro il piatto forte ma non perdetevi per nessuna ragione questo posto, non fate questo errore.

Ollantaytambo è l’ultima cittadina da vedere prima di arrivare nella cittadella nelle Ande.

 

Ollantaytambo – La porta del sole

Dopo il riposo ad Aguas Calientes, chiamata così per le sue acque termali, anche se il vero nome del posto è “Machu Picchu pueblo”, è una cittadina di una bellezza unica. Molti la dipingono però come trappola per turisti per i suoi prezzi alti rispetto alla media. Considerando però i prezzi bassi della maggior parte del Perù, direi onestamente che ci può stare e che i prezzi non sono poi così esagerati, sia per quanto concerne il cibo sia per i souvenirs.

Bellissimo il percorso in treno da percorrere per arrivarci, si passa attraverso la valle e si respira la tipica atmosfera della confinante Amazzonia.

Da questo posto, la cui piazza esibisce una fontana con una recente rappresentazione di Pachacutec (il posto è fatto su misura per turisti ormai), si prende la navetta la mattina presto per raggiungere una delle sette meraviglie del mondo.

Machu Picchu

Qui le folle di turisti sono sempre molto corpose: consiglio di venire la mattina presto, io nella fattispecie sono stato davvero fortunato, alle 07:00 ho preso la navetta tanto desiderata e non c’era troppa gente. In trenta minuti di guida da cardiopalma sulle curve a strapiombo della valle (gli autisti non hanno nulla da invidiare a piloti professionisti in quanto a sangue freddo, ve lo assicuro!), si arriva all’ingresso del sito di Machu Picchu (2490 m). La folla al sito scorre bene, si entra rapidamente e dopo un percorso di circa 5 minuti a piedi cominciate a stropicciarvi gli occhi.

La montagna poco dopo l’ingresso, si palesa offrendo il fianco, s’intravede così la cittadella e le maestose rovine de ‘la città perduta degli Inca’, scoperta nel 1911 dall’antropologo americano Hiram Bingham.

Le rovine si trovano sulla cima del Machu Picchu (montagna vecchia in Quechua), ai piedi del Huayna Picchu (montagna giovane), circondate dai fiumi Urubamba e Vilcanota.

Il complesso è diviso in due grandi zone: la zona agricola, formata dai tipici terrazzamenti inca che si trova a sud e la zona urbana a nord, che era l’area dedicata alle attivitá quotidiane, civili e religiose.

È sorprendente come queste rovine siano orgogliosamente riuscite a sopravvivere all’inesorabile e progressivo scorrere del tempo. Personalmente, mi è mancato il fiato, finalmente c’ero!

Machu Picchu è sconvolgente, credo non ci sia altra parola più efficace e diretta per descriverla. Lo spettacolo della natura e lo stupore per questa straordinaria opera inca valgono ampiamente tutti gli sforzi fatti per arrivare fino a qui. La vista da tipica cartolina non rende, quel panorama lo si è visto tante volte in foto ma via assicuro che esserci è tutt’altra cosa. Semplicemente meraviglioso.

Passeggiare nella cittadella significa entrare prepotentemente nel mondo e nella storia inca. Si intuiscono molte cose qui. La sala delle tre finestre con i suoi significati astronomici (ad esempio quando il sole passa perfettamente nelle finestre significa che siamo nel solstizio d’inverno – espediente essenziale per l’organizzazione dell’agricoltura), vi aprono un mondo.

Huyana picchu

Per me la vera sfida era scalare l’Huyana picchu (il giovane picco), la montagna che sovrasta la cittadella. Esiste infatti un percorso che si effettua duecento alla volta firmando un registro in entrata e in uscita (va prenotato con largo anticipo), che vi porta in cima da dove ammirare il fiume Urubamba e la valle sacra che ospita la cittadella. La vista dall’alto è mozzafiato ed è senza ombra di dubbio una delle cose più belle che i miei occhi hanno fortunatamente potuto ammirare.

La scalata non è per tutti, il percorso è audace e impervio, la quota è circa 2600m, il cammino in salita è ripidissimo fatto di scalini alti e stretti che ad ogni passo vi ricordano che non sarà una passeggiata arrivare in cima. Se soffrite di vertigini o se siete fumatori ve lo sconsiglio ampiamente. Tuttavia, con un bello sforzo alimentato dall’adrenalina e la gioia di esserci, tutto diventa più facile.

Personalmente sono abbastanza allenato facendo spesso trekking e regolarmente sport, tuttavia, non nascondo che lo sforzo da compiere è importante. In cima ero completamente sudato come se mi avessero letteralmente tirato una secchiata d’acqua proprio come i pochi che si trovavano con me sulla cima, il clima umido peraltro si fa sentire in questo senso.

Il panorama è la giusta ricompensa. Di fronte agli occhi vi si presenta la maestosità di un luogo sospeso nel tempo che orgogliosamente è ancora lì a testimonianza della gloriosa civiltà che l’ha edificata. Si dice che sia stata depredata dei suoi tesori prima dell’arrivo dei conquistadores e che gli abitanti che l’hanno lasciata, li abbiano portati nella leggendaria “Eldorado”. Affascinante congettura o mito? Resta una pista suggestiva ad oggi, senza fondamenta. Personalmente, non so perché ma mi piace pensarla così.

La vista mozzafiato dall’Huyana picchu (il giovane picco), la montagna che sovrasta la cittadella

Lascio questo posto per il quale ho compiuto tanti chilometri per soddisfare il suo richiamo, ampiamente ripagato.

”Pachamama” mi ha  accolto regalandomi sensazioni straordinarie che avevo solo in parte preventivato e immaginato conferendo al mio viaggio ricordi indelebili. Una volta approdati qui, è certamente facile capire perché sia stata giustamente inserita nella classifica delle sette meraviglie del mondo. Tuttavia, oltre ogni etichetta e stereotipo, Machu Picchu resterà sempre con voi una volta che la lascerete.

Lima

Lasciando il sito, sulla strada di ritorno verso Lima, mi sono avviato verso Korikancha, il centro religioso piú sacro dell’epoca incaica dedicato al culto del dio Sole e sul quale, dopo l’arrivo degli spagnoli, è stato costruito il convento di Santo Domingo.

Successivamente, mi reco verso la Plaza de Armas, dove secondo la leggenda si conficcò il bastone d’oro dell’Inca Manco Capac, indicandogli il luogo esatto dove fondare la città che sarebbe diventata la capitale dell’Impero. In plaza de Armas, si trova anche la grande Cattedrale, eretta nel XVI secolo sulle fondamenta del Palazzo incaico di Viracocha. La piazza accoglie inoltre la residenza presidenziale dove potete anche assistere al cambio della guardia.

Tuttavia, Lima è la città che mi è piaciuta di meno, una capitale inglobata dal capitalismo con un tempo spesso grigio (i conquistadores hanno dipinto molti palazzi di rosso, giallo e blu per rallegrare l’atmosfera) e un grande traffico confuso quanto incontrollabile. Mi chiedo come si possa essere passati dalla vita della Valle sacra a questo. La risposta c’è ed è banale. Per fortuna, l’eredità di Pachamama e di queste civiltà sono ancora lì, a ricordarci quanto sia importante non dimenticarsi cosa siamo stati e cosa sono stati gli Inca.

Grazie Pachamama!

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