Le tappe precedenti:
Dal diario di Gabriele Colleoni
La passione di Mario
Con un cognome come Monzòn uno ha il destino quasi segnato, anche se Mario non ha mai neppure sognato i trionfi pugilistici dell’omonimo Carlos, indimenticato e tragico protagonista di un’epopea del ring, consegnata ormai alla storia degli anni Sessanta e Settanta. Mario ha appeso i guantoni da tempo, il profilo del pugile che fu si è leggermente arrotondato sotto il peso che non è riuscito a sottrarsi alla bilancia inesorabile degli anni, e le rughe hanno segnato quello che un tempo era il corpo levigato dell’atleta. Ora si è ritirato a Samaipata, dove quelli di Santa Cruz cercano refrigerio dalle calure amazzoniche nel fine settimana e dove un nutrito drappello di europei “new age” va in cerca di quell’utopia green che è difficile piantare e coltivare nel Vecchio continente. Per Mario è un dorato esilio senza pretese. Ma la passione è più forte di tutto.
Qualcuno lo ha detto: uno può cambiare tutto nel corso della sua vita, ma non può cambiare la sua passione. Se è autentica. E così Mario è tornato a calcare palestre e ring, stavolta non più come atleta ma come allenatore e talent scout di pugili in erba. Li aspetta tutte le sere dalle 5 alle 8, i suoi pupilli… Sogna di portarli sui ring della Bolivia e poi più in là del Sudamerica, confessa. Sono una decina, tra i 12 e il 16 anni, tanti in un paese che conta si e no tremila anime. E uno di loro che è sceso a Santa Cruz a fare le superiori, continua ad allenarsi laggiù, con grande sacrificio, racconta, ma è una soddisfazione che lo faccia. Li attende sempre, sulla porta della palestra del Peniel Boxing Club che da un anno ha aperto grazie al sostegno della locale chiesa evangelica, e della amministrazione locale. I pupilli a volte vengono, molto spesso no. “Le famiglie vogliono che prima facciano i compiti, e hanno ragione, poi se riescono i ragazzi vengono ad allenarsi”: così giustifica Mario gli specchi che riflettono senza emozione gli attrezzi del pugilato sparsi nella desolata solitudine della palestra. “I ragazzi hanno bisogno di far sport: dobbiamo offrire loro la possibilità di imparare le buone abitudini, prima di quelle cattive… Fare sport e soprattutto fare pugilato forgia il carattere, ti dà dei valori come per esempio il rispetto dell’avversario con cui ti batti, che tu vinca o perda…”. La passione ha anche il volto di una missione. A Samaipata. Per questo tutti i giorni, alle cinque della sera, lui è lì, ad aspettare i suoi ragazzi sulla porta del club…
Il dolce di Sucre
Cosa c’è di più gradito di una barretta di cioccolato in alta quota? Con il senno di poi avremmo dovuto sospettarlo, arrivando agli oltre 2700 metri di altitudine dov’è stata costruita, che l’elegante Sucre oltre che capitale costituzionale della Bolivia, è anche la capitale andina del cioccolato. Con l’aggravante che il suo nome in spagnolo rimanda, seppur preterintenzionalmente, allo zucchero (in realta l’antica Chuquisaca cambiò intestazione in omaggio al padre della Patria, il generale Antonio José de Sucre). Insomma c’è del dolce a Sucre.
Ma come è accaduto che la Ciudad Blanca sia diventata, con le sue diverse fabbriche di livello nazionale e i molti laboratori artigianali, la capitale del cioccolato? Gastón Solares, patrón di una fabbrica di rinomato cioccolato boliviano ma anche cultore di storia patria, non ha dubbi. Ha studiato e scritto di questo. A portare sul finire delll’Ottocento il cioccolato in Bolivia furono benestanti famiglie europee, che avevano imprese minerarie e affari a Potosi ma che risiedevano a Sucre per l’altitudine meno severa e il clima piu temperato. Per uno dei tanti intrighi (in questo caso alimentare) della storia, il sacro cacao che gli europei avevano portato dal Nuovo Mondo come bevanda degli dei, riappariva sottoforma di cioccolato sull’altopiano dei quechua e degli aymara.
Il fatto è, ci spiega Rosario Concejal, direttrice di produzione della fabbrica Para tì, che nella regione amazzonica boliviana del Beni si produce un esclusivo cacao selvático di gran qualità, che costituisce la base al 100 per cento degli oltre venti tipi di cioccolato in catalogo e dei vari tipi di bombon. Valorizzare il cacao nazionale è diventato ora questione di orgoglio. E i raccoglitori vengono incentivate ad associarsi, magari con il supporto della cooperazione internazionale.
Certo, da qui a diventare la “svizzera andina del cioccolato” restano ancora molti passi da compiere. Ma qui tutti sono ottimisti e stanno facendo arrivare delegazioni persino dalla Svizzera e dall’Olanda per migliorare il loro cioccolato. I profumi che salgono dalla fabbrica e gli assaggi cui siamo obbligati senza poter accampare scuse, ci spiegano il perché di questo ottimismo. Il cioccolato, sostiene qualcuno, stimola il rilascio di endorfine causando una gradevole sensazione di piacere. Sensazione che induce ad una visione di sicuro meno amara della vita. Anche a Sucre e dintorni…
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