Qualche giorno fa ho letto un articolo sul sito del Guardian che ha fatto affiorare in me un improvviso e dilaniante dubbio. L’articolo verteva sulla perdita di interesse nel sesso e nelle relazioni sentimentali da parte dei giovani giapponesi.
Per farvi capire quale fosse lo stato di cupa incertezza in cui l’articolo mi ha gettato – e per non espormi eccessivamente alla furia giustificata delle mie già esigue lettrici – vi citerò il commento di un mio amico che così sintetizzava il suo approccio altamente scientifico nella scelta di una destinazione per un viaggio: “Io in un posto dove non ho scopato quando ci sono stato la prima volta, non ci torno.”
Prima che mi lapidiate, cercate di comprendere: una persona senza legami sentimentali, in viaggio per il mondo, aperta a nuovi incontri e nuove esperienza, potrà pur aspirare a qualche avventura romantica in terre lontane!
Tornando all’articolo, pare che il fenomeno che ha colpito il Giappone abbia già le fattezze di una crisi sociale ed è stato ribattezzato dai media come “sindrome del celibato” (sekkusu shinai shokogun). Tale condizione pare affliggere la popolazione al di sotto dei quarant’anni, che per un motivo o per l’altro si sta distanziando dai contatti personali intimi e rifugge dai legami sentimentali.
C’è ad esempio chi si rifiuta di impegnarsi nella vita di coppia per inseguire la carriera. È il caso di molte donne, che sanno bene di rischiare il licenziamento o almeno l’estromissione da possibili avanzamenti se dovessero sposarsi. È da tempo che il primo ministro del Giappone Shinzo Abe promette piani che consentano una maggiore partecipazione delle donne ai vertici del sistema economico, ma cambiamenti sostanziali tardano ad arrivare e, anche a causa dei drammatici ritmi lavorativi di cui si caratterizza la cultura nipponica, la scelta resta sempre la stessa: o i figli o la carriera.
Altre ragazze sembrano più semplicemente aver perso interesse per le relazioni sentimentali, preferendo altre forme di intrattenimento urbano, come lo shopping, le sale giochi e i bar karaoke, ma è soprattutto sui maschi che si concentra l’attenzione dell’Associazione Giapponese per la Pianificazione Familiare, poiché si ritiene che la tensione erotica sia avvertita negli uomini molto più che nelle donne. O almeno era così prima dell’avvento di questa sindrome.
Ai giapponesi piace dare un nome ad ogni tipo umano, perciò tra i giovani uomini che hanno rinunciato a corteggiare le loro coetanee abbiamo i reclusi ( hikikomori), i secchioni (otaku) e i single parassiti (parasaito shingurus). Questi ultimi sono quelli che vivono ancora con i genitori nonostante abbiano superato i trent’anni: esatto, temo proprio che la sindrome si stia diffondendo oltre i confini del Giappone e abbia raggiunto l’Italia (o è partita dall’Italia e ha raggiunto il Giappone?).
Un altro termine utilizzato per indicare gli uomini che non mostrano più alcun appetito sessuale è “erbivori” (soshoku danshi). Si tratta di persone che, anche a causa delle infelici giunture economiche, rifiutano il ruolo del capo famiglia incaricato di guadagnare il pane e, per non illudere donne desiderose di sposarsi, rinunciano ad ogni legame affettivo. A facilitare la loro scelta è intervenuto anche il cambiamento degli standard cittadini, che si sono sempre più adeguati alle persone che vivono da sole, con noodle bar dove consumare il pasto al banco, stanze di hotel formato capsula e negozi economici per una spesa a misura di single.
Gli effetti di questo fenomeno sono sempre più evidenti: diminuzione delle nascite, calo della popolazione, aumento dell’età media e un crescente disagio nei confronti delle relazioni personali. Le cause precise per tale situazione sono ancora oscure, ma in molti hanno avanzato varie ipotesi, tra cui il rapporto ossessivo con le moderne tecnologie e la comunicazione digitale.
A Tokyo lavora una consulente sessuale e relazionale di nome Ai Aoyama. Tra i suoi clienti questa professionista della lotta alla sindrome del celibato dice di vere un uomo sopra i trenta, ancora vergine, che non riesce a eccitarsi se non vede delle femmine robot di un videogioco che ricorda i Power Rangers. Aoyama, che in passato era una dominatrice professionista e si dedicava a frustare i suoi clienti e a versare cera bollente sui loro capezzoli, ha fatto del suo lavoro un vero e proprio impegno sociale: “Il sesso con altre persone – dice – è un bisogno umano e stimola la produzione di ormoni del benessere che servono per vivere al meglio la vita quotidiana.”
Naturalmente anche il largo consumo di pornografia occupa un posto importante nel dibattito psicologico e sociologico, soprattutto quando associata alle nuove tecnologie digitali. Roland Kelts, autore nippo-americano teme seriamente che in futuro le relazioni in Giappone saranno veicolate principalmente dalle tecnologie: “In Giappone sono stati sviluppati mondi virtuali e sistemi per la comunicazione online incredibilmente sofisticati. Le applicazioni per cellulari sono le più ingegnosi al mondo”.
E qui torniamo al dubbio lacerante che l’articolo ha suscitato in me: secondo voi, mi conviene o no partire seduta stante per il Giappone nel tentativo di introdurre una cura alla dilagante epidemia che sta scuotendo la nazione? O rischio piuttosto di rimanerne vittima anch’io? In ogni caso almeno una verità sostanziale mi è ormai chiara: devo assolutamente smettere di passare notti intere davanti al computer…
Laureato in Giornalismo, il mio limbo professionale mi ha portato dagli uffici stampa alla carta stampata, per poi approdare al variopinto mondo della comunicazione digitale. Ho vissuto a Verona, Zurigo, Londra, Città del Capo, Mumbai e Casablanca. Odio volare, amo lo jodel e da grande voglio fare l’astronauta.