Camminando per Dubai…

Oggi ho parcheggiato sulla sabbia. Qui tutto è su sabbia, è evidente per quanto cerchino di camuffarlo con costruzioni folli o con del verde artificiale che costa alla salute del pianeta…è evidente perchè ovunque trovi formiche; innocue e pulite ma parecchio invadenti. Le formiche, lavorano fino allo stremo, sopportano pesi e ritmi incessanti, si muovono in file infinite e vivono in basso, ignorate e a volte schiacciate.

Come i workers,anche loro sono dappertutto,questa città è costruita con le loro mani e il loro sudore pagati a buon mercato. Gli operai indiani e pakistani, sfuggiti alla fame o alla guerra arrivano a flotte diretti a morte certa, se non fisica, dell’anima. Ogni tanto qualcuno vola giù da una di quelle torri luccicanti e lussuose. Non si sa se per incidente o per volontà perchè una vita così non la vuole fare nessuno, neanche gli”ultimi”.

Ieri erano seduti sui marciapiedi nella luce pallida del tramonto,al termine di una giornata identica alle precedenti fatta di fatiche e stenti,e così all’infinito. Sotto un sole che non ha pietà,in una terra che non è la loro,che non è per loro. Aspettavano l’autobus che li riporterà nelle loro topaie dove vivono in 6 famiglie o più. Sono scarni,piccoli,dentro le loro tutine gialle o blu, coi caschi a proteggergli la testa,l’unica cosa che non è richiesta. Sono trattati come animali non pensanti,ammaestrati ad eseguire ordini. Sarebbe stata una bella foto,scenografica. Se non fossero persone, stanche, sporche. No,l’umiliazione di essere immortalati come fenomeni da baraccone in un flash,non gliel’ho voluta regalare. Non ho potuto. Certe cose ti entrano negli occhi,le memorizzi, le rivedi ancora e ancora nella loro atrocità. La natura, umana e non, riesce a regalare attimi di estrema bellezza ma di infinita crudeltà…è inquietante.

Qui non serve l’orologio. Ovunque sei,per strada,in un mall,ad un certo punto una voce si leva sulle altre con un altoparlante e non puoi sbagliare. It’s 7 o’clock é il richiamo alla preghiera. Il ragazzo indiano qui in ufficio si leva le scarpe,stende il tappeto verso la mecca e dedica 5minuti al suo dio e alla salvezza della sua anima.Fa dei gesti, prega. Poi si rimette le scarpe e torna al lavoro. L’ho visto fare ovunque,addirittura per strada. In mezzo a una fila di macchine un uomo pregava sul suo tappeto poi lo ha rimesso in auto e via. Mi chiedo se 5minuti possano bastare a mettersi in contatto con una divinità o forse è così che dovrebbe essere:un rito quotidiano senza fronzoli. Niente altari. Solo dio e loro, fedeli. Il venerdì invece è prevista la visita alla moschea.Tutti vestiti uguali,perchè tutti sono uguali davanti a dio. La cosa strana è il silenzio che si crea,il mondo rallenta al suono di quella voce spesso gracchiante. Anche per strada,nel traffico,i rumori si attutiscono…. è incredibile,niente clacson,motori,voci. Poi,in un attimo,tutto riprende. Surreale.

La musica mi accompagna nelle mie passeggiate solitarie sotto il sole basso e pallido del tramonto (qui si perdono tutte le sfumature del sole) Con la faccia contro il soffio caldo e insistente del vento,non c’è vittoria. Ti bagna,ti prosciuga ti sfinisce.Però quando la luna si alza e le luci si abbassano ti avvolge lieve,come un tessuto caldo e morbido. Qui la puoi toccare l’aria.Può essere acqua sul tuo viso accaldato,sabbia che rotola sulla strada, afa che pesa addosso e fa rallentare il passo o inganno,quando l’asfalto sembra bagnato e invece è il sole che gioca con lei, calda, a fare i trucchetti.Per toglierti da quella luce abbagliante e quel calore assurdo ti dico che ora sono a casa, al fresco,con un gustoso succo d’ananas. Fammi sentire un pò del tuo rumore.

 

 

 

 

Diario di viaggio a Malta

Abakebabra, leggo su un’insegna di un fast-food arabo. Sorrido. Sorrido perché sono felice di essere qui, di essere partita alla fine. Già all’uscita dell’aeroporto avevo capito che mi sarebbe piaciuta quest’isola.

Malta non era mai entrata nei miei pensieri, mi dava l’idea di un posto un po’ spoglio, poco attraente, un po’ il culo d’Europa, laggiù, senza grande rilievo internazionale, se non per le imbarcazioni cariche d’immigrati cacciate in malo modo. Un posto da vacanza estiva per studenti o famigliole. Sono contenta di essermi sbagliata.

I maltesi non si considerano affatto “il culo d’Europa”, e il loro porto è uno scalo importante, commerciale e turistico. Appena arrivata, sono stata avvolta da un vento forte, ma non sentivo freddo, che bella sensazione essere sbattuti come cenci da aria calda. È una terra brulla, arsa dal sole, fatta di rocce, e costruita con rocce, per lo più gialle, ricavate dalle scogliere sul mare. Sono su un autobus sgangherato del secolo scorso, strapieno, che sferraglia lasciando dietro di sé una nube puzzolente di benzina rossa, quella verde non è ancora arrivata. Non sono molte le marmitte catalitiche, però la borsa della spesa è un sacchetto di carta o di tela, gesto ecologico avanzato.

Non può dirsi lo stesso per il diritto matrimoniale, si discute in queste settimane l’introduzione del divorzio; è già possibile separarsi ma questo passo in più non trova un largo consenso, contrasta con lo spirito religioso degli isolani. È una realtà rurale e di pescatori, sembra di stare nella Sicilia degli anni ’50.

Penso, è bella. Sono partita senza cuffie, col desiderio di essere presente, aperta e comunicativa, di avere orecchie libere per ascoltare, per immergermi fino in fondo. Mi nutro di silenzi e parole sussurrate come fossero fruscii, le parole dette a mezza voce hanno un potere calmante e ristoratore, come in chiesa, dove ammiro ritratti di donne o sante di altre epoche, con le loro gonne ampie a coprire le caviglie, il viso pulito e i capelli raccolti in modo austero e sobrio. Suscitano in me invidia; se ne stanno in disparte, e senza affanno ricevono amore e devozione.

Non si potrebbe tornare indietro? Non posso fare a meno di notare un forte senso civico e un atteggiamento di rispetto tra le persone; forse costrette a vicinanza forzata sui mezzi pubblici, hanno imparato a non pestarsi i piedi. Sono rugosi, come le facciate scrostate dei loro palazzi, colpevoli il sole e il vento perenni. Novembre è perfetto, non c’è la calura estiva che qui deve’essere terribile, vista la scarsa vegetazione a far da cappello.

Non assomiglia a nessuna città visitata. Ricorda vagamente Palermo, per il colore giallo degli edifici e i cortili interni con palme; e Deira, la parte vecchia di Dubai, per l’aspetto polveroso e l’atmosfera nascosta, restia, chiusa. I balconi richiamano le finestre dei palazzi in India, costruiti con finte facciate per celare i volti delle principesse. Ogni dominazione ha lasciato segni visibili; dagli inglesi hanno ereditato la guida a destra, le cabine telefoniche rosse e le buche delle lettere a forma di estintore, le divise della scuola e i cimiteri. I Britannici erano poco interessati a questa terra arida, cresciuta, così come i suoi abitanti, libera, autoctona, come una sterpaglia, come i capelli messi in disordine dal vento che regala sorrisi.

Dell’italiano restano parole folkloristiche come “ciao, bello, madonna e simpatico”, le senti spuntare nel mezzo di una frase e sono gli unici vocaboli che riesci a cogliere. Anche il cibo del vecchio stivale ha macchiato le tavole maltesi, con pasta, pizza, gelato e cappuccini. Il nuovo non sostituisce il vecchio, ci s’incrosta sopra e si va avanti alla vecchia maniera, arrancando in salita come gli autobus vecchi di cinquant’anni, pieni di ruggine e grasso per motori, con radio che passano musiche italiane e madonnine che ciondolano accanto al conducente.

Tutto si mescola; lingue, sapori e architetture. Ne esce una mistura fresca e speziata che profuma di tradizione, decisamente forte al palato. Il vero melting-pot vive nei ragazzi, che emergono dalla polvere dei palazzi fatiscenti in pietra e dal grasso tipico del porto. Sono come tutti i giovani europei, sembrano usciti dalla fabbrica di MTV; non sembrano neanche di qui, così diversi dal contesto umile, familiare e dal sapore antico.

Vestiti alla moda inglese, come pop star un po’ succinte e piene di lustrini e borchie, pagano cinquanta centesimi per salire su autobus stracolmi in lamiera; le macchine scassate con carrozzerie bicolori, sono un lusso per pochi. I maltesi sono ruvidi di primo acchito, come il calcare dei loro muri, ma è solo apparenza.

Questi isolani diventano cordiali, disponibili e molto pazienti verso i turisti, senza approfittarne. Tra loro, nel loro dialetto arabeggiante, parlano, anche se estranei; i passanti sorridono e gli autisti rispondono con un colpo di clacson, se a malapena si riconoscono. Sarà a causa di tutti i dolci che mangiano? Cassatella, pastizzela, e svariate prelibatezze fatte con pasta di mandorle e ricoperte di glassa, oppure crepes, bignè e donuts ripieni di fragola, panna o cioccolato, ma anche biscotti farciti con fichi, cannella, mela e uvetta. Ne mangiano sempre: a colazione, prima di pranzo, a fine pasto, come spuntino, dopo cena.

Non ci sono freni, regole; i dessert sono proposti sempre, al tavolo o a portar via e costano davvero poco. Chi mangia dolci in modo così sfacciato e senza giustificazioni o sensi di colpa; ama la vita. I ritmi sono lenti, la vita è semplice, come una volta; è facile vedere donne e uomini lavorare nei campi o tirar su le reti da piccole imbarcazioni colorate, dotate di occhi di Osiride. Non c’è sfarzo, superbia, forse perché sarebbe peccato e le persone qui, sono molto credenti. La religione permea la società, accanto alla porta di casa il più delle volte si trovano statuine o effigi sacre mentre le parabole satellitari invadono i tetti. È bello stare qui, vivere lentamente e trovare pace e piacere nelle piccole cose.

Cosa ci si porta a casa

Viaggiare è … portarsi a casa un’emozione

Cosa ci si porta a casaSono spesso persa in questi giorni di neve e freddo in ragionamenti che riguardano il viaggio.
Pensavo al fatto che viaggio, di per sé, presuppone un ritorno perché altrimenti uscirebbe dalla sua stessa originale natura. Ritornare spesso si unisce al concetto di “portar con sé“.

Infondo è quello che spesso facciamo tutti: durante i nostri giri, più o meno lunghi, cerchiamo sempre qualcosa da portare con noi.

Personalmente mi ci vorrebbe una borsa solo per i ricordi legati ad un viaggio. Odio i souvernir in quanto tali ma non butterei mai via gli scontrini o ogni minima cosa trovata sul mio cammino.

Ho una serie di carte di caramelle, sottobicchieri e voucher di ogni genere dentro i miei diari di viaggio che se solo venisse un incendio impazzirei. Pensando a cose meno materiali, sto pensando al fatto che il viaggio è spesso una scoperta che poi portiamo con noi.

Per quel che mi riguarda, se non fossi andata nel Regno Unito così tante volte non avrei mai capito che i fagioli al mattino mi piacciono. Se non avessi assaggiato le Aringhe ad Amsterdam non avrei capito che, infondo, potrei trovare una merenda alternativa. Se non fossi andata in Brasile non avrei mai capito che là si mettono la crema solare anche se sono abbronzatissimi.

Goete diceva che non è necessario girare il mondo per capire che il cielo è azzurro ovunque. Io ritengo vero l’esatto contrario.

Ci sono porte che vanno aperte e mondi che vanno esplorati per capire cose che spesso nessuno ci racconta.
Poco importa che quei mondi siano distanti mezz’ora da casa nostra o che ci vogliano 20 ore di volo.

Mondo per mondo, questa è la mia personale lista delle cose che ho scoperto e che mi sono portata a casa.

  • Durante uno dei miei primi viaggi lunghissimi ho capito che la sopressa mi mancava da matti. E’ come se ci fosse sempre bisogno di recuperare un pezzetto delle proprie radici prima o poi.
  • Ho capito che posso viaggiare da sola in un paese di cui non sapevo quasi niente. E questo me l’ha insegnato il Senegal
  • Ho capito che il cielo che più si avvicina al concetto di bellezza totale per me è il cielo del Nord più Nord dell’emisfero Nord.
  • Ho capito che mangiare con le mani è un qualcosa di difficilissimo.
  • In Cina ho capito che il concetto di convivio, del mangiare assieme è più orientale di quanto si possa immaginare
  • Negli Stati Uniti ho capito quanto piccola mi posso sentire
  • Nel Regno Unito ho capito come funzionano realmente i trasporti pubblici
  • Sempre nella perfida Albione ho capito che i treni, in certe zone del mondo, non puzzano
  • Ovunque ho capito che noi Italiani siamo spesso, troppo spesso, quelli di Pizza e Mandolino
  • Ho capito che sembro più teutonica che italiana
  • In Messico ho capito che il peperoncino, il lime e l’alcool (moderato) servono a mantenere l’intestino sano
  • In Brasile ho capito che riesco a farmi la doccia e lavarmi i vestiti nello stesso modo

Potrei andare avanti fino a domani a raccontarvi quante cose ho capito (e quante ancora ne ho da capire).

Mi piacerebbe trovare qui sotto, nei commenti, qualcuna delle vostre liste.
Perché infondo qui siamo tra viaggiatori e tutti noi siamo qui con uno zaino in spalla, un borsone a tracolla o un trolley da portar con sé.

Per ognuno dei nostri viaggi passati, dentro quei bagali abbiamo messo kili di vestiti e di oggetti vari. Abbiamo anche inserito miliardi di ricordi immateriali ma che a loro modo sono perpetui.

Trattasi di tutti quei tasselli emozionali che arricchiscono la nostra esperienza e ci fanno sussultare appena leggiamo di qualcuno che ha visitato la stessa zona dove siamo andati noi. E’ lo stesso entusiasmo che ci fa sorridere nostalgicamente quando qualcuno ci racconta un viaggio nel momento in cui noi, magari, non possiamo partire.

Wordsworth diceva che la poesia non è altro che un’emozione raccolta nella tranquillità. Rivissuta e raccontata. Per me questa è la definizione esatta del viaggio. Emozioni vissute sulla propria pelle, lasciate decantare e poi … semplicemente … raccontate.

Marrakech: la città rossa

Marrakech: famosa come la città rossa anche se io la definirei come la caotica città rossa. Perchè della sua bellezza una cosa che sicuramente ricorderete appena saliti sul vostro volo di ritorno sarà quel forte contrasto tra il caos esterno e quella pace e tranquillità che troverete all’interno di riad, ristoranti e hammam.

Un contrasto così netto e forte da rappresentare il vero fascino di questa particolare città. Sicuramente per rimanerne affascinati bisogna avere molta pazienza e una grande passione per il viaggio. Ma è una città che va vista almeno una volta nella vita! Piacerà soprattutto a coloro che amano l’Asia e non amano le città troppo ordinate.

Il periodo migliore per visitare questa città sono la primavera e l’autunno quando le temperature sono sui 20/25°. Portatevi qualcosa per coprirvi durante la sera e nel tardo pomeriggio quando le temperature si abbassano a causa della forte escursione termica.

Questa città è raggiungibile da Roma con voli Ryanair e Alitalia. Mentre da Easyjet da Milano, Parigi, LondrA, Madrid, Ginevra e Lione. Altre compagnie sono la British Airways e la Royal Air Maroc.

Dove dormire se non in un bellissimo riad? Io vi consiglio questo: Dar Andamaure. Situato nel cuore della Medina, a due minuti da Djeema el-Fna. Questo delizioso riad ha appena 4 stanze e questo lo rende un luogo molto familiare. Il wifi è disponibile gratuitamente. Sul tetto c’è un bellissimo terrazzo dove si può prendere il sole e mangiare. I proprietari, Marie e Philippe, sono molto simpatici e disponibili ad aiutarvi in qualsiasi evenienza. La colazione è molto ricca e viene servita da Abdullah che è una persona fantastica. I prezzi sono bassi e la qualità ottima.

Marrakech

Cosa vedere a Marrakech? Marrakech è un vero e proprio teatro a cielo aperto. Quindi occhi aperti e osserverete cose mai viste. Sicuramente non potete perdervi un bel giro dei souk dove vi consiglio di andare non in giorni festivi, quando regna il caos. Durante la settimana infatti, i prezzi si abbassano magicamente e il souk è libero e poco affollato.

Per quanto riguarda invece monumenti e palazzi Marrakech ne è gremita. Quindi preparatevi a camminare molto e direi che è il modo più divertende per visitare questa città e goderne delle cose più particolari. Iniziate dirigendovi verso la piazza Djema el Fna, proseguite poi per la moschea Koutobia della quale si possono visitare solo i giardini. Proseguite per il Palazzo el Badì all’interno del quale respirerete un pò di tranquillità (anche se è aperto ;-)) e perdetevi per le vie della Mellah, il quartiere ebraico della città. Visitate poi il palazzo Bahia: un meraviglioso edificio con soffitti dipinti e intarsiati e perchè no fermatevi a mangiare una omelette al Nid’ Cigogne, un delizioso ritorantino che si affaccia proprio sul nido si una cicogna. Finito il pranzo potete visitare le Tombe dei Saaditi e il il museo Dar Si Said all’interno del quale troverete anche il museo delle arti Marocchine.

Tornate verso la moschea Koutobia e avviatevi verso il cyber park per un pò di relax e di wifi gratuito.

marrakech colori

Un’altra zona interessante da visitare è la Ville Nouvelle, la zona nuova dove troverete una vera e propria città. Nei dintorni da non perdere il Jardin Majorelle: il giardino della villa del famoso Yves Saint Lauren. All’interno una vera e propria esplosione di colori. (Prendete l’autobus 101 e scendete alla II fermata da qui una decina di minuti a piedi).

Un altro edificio interessante da visitare all’interno della Medina è la Medersa di Ali Ben Youssef: una delle più belle scuole coraniche dell’Africa.

Assolutamente da fare è un’hammam, potete prenotare al Bains de Marrakech una delle più belle della città ma soprattutto è obbligatorio vedere l’affascinante spettacolo del tramonto sui tetti della città.

marrakech lounge

Se sentite il bisogno di aria fresca consiglio a tutti gli appassionati di avventura specialmente, l’escursione a Terres d’Amanar: una riserva naturale ad appena 45 minuti di macchina da Marrakech dove potrete riposare la testa dal frastuono continuo e respirare aria pulita.

Un vero e proprio spettacolo naturale: montagne innevate in contrapposizione con la terra rossa circostante.  Qui potrete divertirvi a fare diverse attività: dal parco avventura al tiro con l’arco, relax su una sdraio e lanciarsi da una montagna ad un’altra imbracati su un cavo di acciaio come ho fatto io e assolutamente imperdibile.

Il parco è sicuro e rispetta tutte le norme di sicurezza. Per pranzo vi potete fermare al ristorante dove si mangia molto bene e dove potrete riposarvi al sole.

marrakech countryside

La sera non potrete fare a meno di assaggiare l’agnello con cipolle dolci e mandore accompagnato da cus cus al ristorante La Salama. Un delizioso ristorante in stile marocchino. Durante la cena verrete intrattenuti da una danza del ventre e dalla tipica danza marocchina delle candele.  Si trova a 2 passi da piazza Djeema el Fna.

Dopo la cena però andatevene a rilassarvi nel riad perchè Marrakech è una bellissima città ma è alquanto sconsigliato dai marocchini stessi andarsene in giro per la Medina dopo le 23.00. Uscite possibilmente con pochi soldi e senza borse durante la sera e soprattutto non portatevi i passaporti dietro perchè non ce nè bisogno. > Dove dormire a Marrakech

Intervista a Claudia e Gianmarco

Come e’ nata l’idea di iniziare viaggiatoriweb?

CLAUDIA e GIANMARCO:

L’idea della rivista cartacea, da cui è poi nato l’attuale sito web, è sbocciata dopo un viaggio di oltre sei mesi, iniziato in Tibet ad ottobre del 2003 e conclusosi in Guatemala nel maggio del 2004. Durante il viaggio abbiamo pubblicato le nostre avventure su un mensile di Milano, “Diario di Bordo”. Avevamo un rubrica intitolata “Il giro del mondo”.

Al ritorno in Italia il nostro desiderio di continuare a scrivere di viaggi si è concretizzato con la rivista “Viaggiatori – da Turisti a Protagonisti”, un bimestrale creato grazie alla collaborazione di tanti appassionati di viaggio come noi.

La nostra avventura editoriale è iniziata ben prima che il Turista per Caso  Patrizio Roversi, tra l’altro curatore di un’apposita rubrica all’interno del “Viaggiatori” cartaceo, iniziasse, con Syusy Bladi, le pubblicazioni di un nuovo magazine sottotitolato “il primo giornale scritto da viaggiatori” !.

Quando e’ nata la passione per il viaggio?

CLAUDIA

da piccola, viaggiando con i miei genitori

GIANMARCO

A 13 anni quando dovevo decidere a  quale istituto superiore iscrivermi. Ero affascinato dall’idea di conoscere diverse lingue e girare il mondo. Mi iscrissi all’istituto tecnico turistico della mia città con l’idea di poter fare dei summer camp all’estero. Invece, fu una grande delusione, tanto che cambiai scuola. Nonostante ciò, oggi riesco a parlare, oltre l’italiano, cinque lingue: inglese, francese, spagnolo, portoghese e… veneto.

In questi anni, quante nazioni hai visitato?

CLAUDIA

una cinquantina di Paesi

GIANMARCO

Non lo so, non le ho mai contate

Hai mai fatto viaggi a “lungo termine” della durata di diversi mesi? 

CLAUDIA

tra il 2003 ed il 2004 ho fatto un viaggio di circa sei mesi e mezzo con Gianmarco, visitando Tibet, Nepal, Birmania, Thailandia, Cambogia, Australia, Polinesia, Messico e Guatemala

GIANMARCO

Ne ho fatto uno di 3 mesi in Brasile da solo ed il tour around the world di 6 mesi con Claudia

Quale e’ la tua nazione preferita e perché?

CLAUDIA

l’Italia, perchè ci vivo, perchè è variegata, naturalisticamente, culturalmente e artisticamente bellissima

GIANMARCO

Sono due: Argentina ed Australia e le adoro per la gente ed i paesaggi mozzafiato.

Viaggi da sola o preferisci essere in compagnia?

CLAUDIA

odio i viaggi di gruppo, quelli organizzati soprattutto, preferisco viaggiare in due/tre massimo quattro persone, eventualmente accompagnati da un autista

GIANMARCO

Credo che i veri viaggi si facciano da soli. Quando viaggio in compagnia, più che un viaggio  ho la sensazione di essere in vacanza…

Quali viaggi hai in programma per il futuro? 

CLAUDIA

sabato 24 dicembre parto per l’Argentina, a luglio ho in programma un tour in Indonesia, tra Giava e Bali

GIANMARCO

Marocco e Turchia

Piatto preferito

CLAUDIA: spaghetti ai frutti di mare

GIANMARCO: al di fuori della cucina italiana amo la cucina indiana, il chicken madras accompagnato con il cheese naan

Il cibo più esotico mai provato

CLAUDIA: grilli fritti in Guatemala, grigliata di emu, canguro e coccodrillo in Australia

GIANMARCO: più che esotico, diciamo “alternativo” : si è trattato di gustosissime formiche verdi australiane. Certo che prima di essere sazio…

Il momento più magico

CLAUDIA: la prima occhiata al Taj Mahal ad Agra, in India

GIANMARCO: mi ha commosso il capodanno in Thailandia, a Mae Hong Son. Eravamo in una piccola piazza e a mezzanotte tutti i presenti hanno lasciato andare in cielo dei lumini accesi legati a palloncini coloratissimi. Ciascun lume rappresentava una preghiera di buon auspicio per il nuovo anno. Vedere il cielo riempirsi di tutte queste “preghiere” multicolori mi aveva dato una grande gioia. Credo sia stato il più bel capodanno della mia vita

Il luogo più memorabile

CLAUDIA: la valle dello Yarlung in Tibet

GIANMARCO: la laguna blu a Rangiroa, in Polinesia

Il miglior oggetto portato in viaggio

CLAUDIA: la resistenza per scaldare l’acqua e prepararmi te, cappuccino e tisana in camera

GIANMARCO: nel senso di utile? Un multiuso svizzero. Quegli affari che in cinque centimetri di spazio riescono ad avere coltello,  cacciavite, seghetto, lente d’ingrandimento,  cavatappi, forbicina, lima, bussola e non so ancora cos’altro.

Cuore scozzese: come mi sono innamorata della Scozia

Mi chiamo Aury e questo è il mio primo contributo per Non solo Turisti, così ho pensato di presentarmi attraverso un paese che mi ha totalmente conquistato, l’unico in cui potrei vivere dovessi un giorno lasciare l’Italia. Questo paese è la Scozia.

Baia di Uig, Isola di Skye

Sono già stata in Scozia due volte, per due anni di fila, attirata dalla curiosità di conoscere ed esplorare il paese dei loch (laghi in gaelico) e delle colline di erica descritto nei romanzi storici che praticamente divoro e mi sono innamorata subito di questa regione dal fascino indiscusso.

A me ha colpito soprattutto la sua natura indomita e al contempo struggente, che offre al visitatore panorami spettacolari: le coste frastagliate dai mille fiordi, le vette maestose nascoste tra le nuvole, i loch dai riflessi cangianti, le scogliere a picco sull’oceano, le spiagge remote e solitarie, le vaste brughiere delle Highlands, le insenature profonde delle baie e i maestosi glen (valli) ricoperti di boschi regalano una sorprendente varietà di scenari.

Oltre a rendere ogni angolo unico e ugualmente suggestivo, la ricchezza paesaggistica della Scozia rende la regione il posto ideale per gli amanti dell’escursionismo, dalle semplici camminate nella natura alle più impegnative arrampicate.

Quiraing, Isola di Skye

I luoghi più selvaggi della Scozia sono inoltre l’habitat naturale di alcune specie animali ormai rare, quali il falco pescatore, l’aquila reale, il gatto selvatico, la martora. Oltre alle caratteristiche mucche scozzesi, alle onnipresenti pecore e ai simpatici scoiattoli, la ricca varietà della fauna scozzese consente anche avvistamenti di animali marini quali delfini, balene, foche, lontre e pulcinelle di mare. Basta solo munirsi di binocolo e pazienza e sperare in un pizzico di fortuna (utile perfino quando si parte per una escursione in barca organizzata) per avvistarne qualche esemplare.

La Scozia è anche un paese intriso di storia. Oltre a Maria Stuarda, importante figura femminile in quanto regina di Scozia, probabilmente le figure storiche più note della Scozia sono William Wallace e Robert Bruce: due uomini fieri e tenaci, che lottarono per la libertà del popolo scozzese dal giogo inglese e riportarono importanti vittorie rispettivamente a Stirling nel 1297 e a Bannockburn nel 1314.

A Stirling, ad accogliere chi arriva a visitare il castello c’è una statua di Robert Bruce che guarda all’orizzonte in direzione dell’alto monumento a Wallace, intrappolando il turista nelle maglie della storia di questo paese. Un luogo ancor più denso di pathos storico si trova poco fuori Inverness ed è l’altipiano di Culloden: qui nel 1746 gli inglesi inflissero agli scozzesi una dolorosa sconfitta, sterminando 1200 abitanti delle Highlands che combattevano sotto la guida di Bonnie Prince Charlie e determinando la fine dell’antica struttura dei clan.

Castello di Eilean Donan

Culloden è tristemente ricordata anche perché gli inglesi cercarono di sopprimere la cultura delle Highlands mettendo al bando le cornamuse, il kilt e la lingua gaelica. La struggente Valle di Glencoe unisce uno straordinario panorama a un episodio funesto, quale il massacro a tradimento del Clan dei MacDonald ad opera del Clan Campbell nel 1692. Impossibile non restare colpiti da questo retaggio storico attraversando la valle.

Ricchi di storia sono anche i numerosissimi castelli dislocati pressoché ovunque in Scozia. Dai sontuosi palazzi reali come il castello di Edimburgo, il castello di Stirling, Scone Palace, o il castello di Balmoral (residenza dei sovrani inglesi nelle Highlands), alle ruvide fortezze costruite a scopi difensivi come il castello di Urquhart (sul Loch Ness), Dunnottar o il castello di Kilchurn, dalle isolate dimore dei capiclan come il castello di Dunvegan o il castello di Armadale, agli splendidi manieri ancora oggi abitati da nobili ma aperti al pubblico come il castello di Inverary o quello di Blair Atholl, per concludere con i romantici castelli di Eilean Donan, Dunrobin, Glamis o Cawdor, solo per menzionarne alcuni, ce n’è davvero per tutti i gusti.

Addirittura, per chi vuole dedicarsi alla scoperta dei castelli scozzesi, le agenzie turistiche organizzano dei veri e propri itinerari dei castelli.

Se volete vivere un’esperienza davvero unica in Scozia, vi suggerisco di organizzare il vostro viaggio in occasione di una delle principali attrazioni folkloristiche. Durante i mesi estivi in molte località della Scozia si tengono gli Highland Games, manifestazioni sportive risalenti al Medioevo che uniscono a giochi e prove di forza (tra cui il caratteristico lancio del tronco) gare di musica e di ballo (tra cui la famosa danza delle spade).

Tipica colazione scozzese

Il Military Tattoo, una grande parata che riunisce orchestre di cornamusa da tutto il mondo, è una manifestazione imperdibile se vi trovate a Edimburgo tra metà agosto e l’inizio di settembre. Attenzione, però, perché i biglietti vanno sempre a ruba per cui conviene organizzarsi con molti mesi di anticipo. Se, invece, capitate nella capitale scozzese per capodanno, potrete farvi coinvolgere dall’atmosfera gioiosa dei festeggiamenti e delle celebrazioni scozzesi per Hogmanay.

Un ultimo consiglio non può che riguardare le specialità enogastronomiche: nel vostro soggiorno in Scozia gustatevi il ricco apporto calorico di una bella colazione scozzese; non abbiate timore di assaggiare l’haggis, il piatto tipico a base di interiora cotte in un budello di pecora (ma esiste anche la versione vegetariana); nella patria del whisky non dimenticate di sorseggiare un buon bicchiere di “acqua della vita”, magari dopo aver visitato una delle tante distillerie; e per riprendervi dalle fatiche della giornata entrate in un pub, ordinate un bella pinta di birra e lasciatevi trasportare dal ritmo della musica country suonata dal vivo.

Tutti questi, ma non solo, sono i motivi per cui mi sono innamorata della Scozia. E voi, ci siete mai stati o state progettando di andarci? Mentre io organizzo il mio terzo viaggio, sono pronta a darvi consigli utili per pianificare il vostro.

Il sottile fascino del confine

Sto leggendo un libro che sta contribuendo al totale lavoro degli ingranaggi dentro la mia testa. Questo testo ha fatto sì che io cominciassi a ragionare sui confini.

Se c’è una parola, infatti, che ha sempre solleticato la mia fantasia e il mio viaggiare, quella parola può essere soltanto “Confine“.

Chiamatelo Border o Grenze che dir si voglia  ma un confine resta pur sempre una linea, più o meno umana, tracciata da qualche parte: una strada, una carta geografica, dentro la nostra mente.

Quando ero piccola e sono stata portata all’estero per la prima volta, sommersi mio padre di domande sulla faccenda del confine.

Ma cosa si vede al confine? Com’è segnato il confine?

Ai tempi, ormai millenni fa, c’erano le gran dogane con i gran doganieri che fermavano tutti con fare perentorio e contribuivano al formarsi delle file dei vacanzieri più o meno pazienti. Mi piaceva passare davanti al doganiere e osservarlo dal finestrino posteriore con un po’ di timore nel cuore.

Benché fossi bimba, riconoscevo il lui un’autorità immensa: quella del sancire il passaggio da una nazione all’altra. Erano mica bruscolini, vero? Dentro di me il passaggio da una nazione all’altra era visualizzabile sono un gran spazio aperto che si legava al concetto di terra di nessuno. Questo concetto si rivoluzionò totalmente e la certezza mi crollò quando mi trasferii per lavoro in Svizzera.

Tra la Svizzera e l’Italia non c’era neanche mezzo millimetro di spazio se non, ma ne ebbi la certezza solo molti anni dopo, per quando riguarda i remotissimi confini montani e/o dispersi da qualche parte. Vivendo lì saltavo di qua e di là del confine con una facilità che non avevo neanche quando ero piccola e giocavo ad elastico (mai giocato ad elastico?) con le mie amiche. Mi piaceva transitare liberamente ma amavo ugualmente la presenza a mo’ di segnalibro di quei doganieri fermi, decisi, imponenti anche se non ero più una bimba.

E del confine mi è rimasto dentro questo: un gran senso di solennità e la capacità di mescolare le situazioni. In prossimità dei confini hai un po’ della nazione che ti porti dientro e altro della nazione che hai davanti. Mettendosi in modo immaginario a cavalcioni sulla linea che separa due realtà si acquisisce le caratteristiche di quello che ci circonda, indistintamente. Il confine è stato protagonista di storie indimenticabili, bellissime e anche crudeli. Storie che, a loro modo, possiamo riscontrare in tutte le culture del mondo. Il confine è stato spesso motivo di contesa, di guerra, di pace, di matrimonio e di tradimento.

Il confine è una linea percorribile e transitabile. Esso è parte della materia stessa del viaggio.
Il confine non è una linea che divide. E’ ciò che salda insieme il mondo e ci permette di visitarlo.

Le terre di confine sono magiche perché racchiudono in loro la diversità di ciò che uniscono. Se non ci avete mai pensato prima, considerate e inventate un vostro prossimo viaggio seguendo una linea di confine.

Lasciatevi conquistare dal suo fascino sottile ed infitino, come una linea che non ha capo e non ha fine.

Giochi da viaggiatori

Ci pensavo ieri sera. C’era un gioco che era stato inventato da amici e che mi piaceva tanto. Mi piaceva così tanto che praticamente l’ho vinto.

Erano quegli amici un po’ più grandi di me. Quelli con cui ti trovavi alle feste ma che non erano propriamente la tua compagnia. Quelli che però quando ci parlavi ti trovavano interessante e forse un po’ più grande dei tuoi coetanei. Quelli che come te, e a differenza di molti tuoi “compari”, viaggiavano e vagavano per il mondo da molto, in cerca di chissà che cosa.

Quegli amici si erano inventati un gioco. Quel gioco riguardava il mondo e la capacità di visitarlo. Fu così che una sera, una di quelle d’autunno in cui cominci ad uscire con la giacca anziché solo con la felpa, ci si riunì nella taverna di uno e si prese una mappa del mondo ben dettagliata.

Il mondo fu diviso a zone e ad ognuna di esse corrispondeva un punteggio … che ne so… all’Europa 1 perché era vicina, alle Americhe 3 perché i voli erano lunghi.
All’Asia 5 perché era lontana e all’Oceania … beh… 10 perché era ultradistante.

Ogni stato poi aveva un punteggio a sé a seconda della “visitabilità”. Quelli più facili da raggiungere o quelli più “scontati” avevano un punteggio basso. Gli altri via via salivano. Poi è stato dato un punteggio ad alcune città … non tutte però perché creando un gioco così ti rendi conto che il mondo è immenso.

Anche qui vigeva la stessa logica … a Parigi ci vanno tutti quindi vale 1 ma Lille ad esempio vale 5 perché nessuno dice che va a Lille.
Finite le città si è creato un ulteriore livello: se incontravi uno del tuo comune in un dato luogo, i punti raddoppiavano. Più remoto era il luogo, più punti si facevano.

Al gioco però mancava qualcosa … non si erano ancora stabiliti i jolly. O sarebbe meglio definirli Assi piglia tutto.

Già … perché il mondo porta in grembo dei luoghi che potrebbero essere vicinissimi e che mai nessuno, o pochi, considerano. Questi luoghi sono il Lichtenstein, il Lesotho, Andorra, Vladivostock e l’ Antartide. Poco importava quanto avessi viaggiato (ma dovevi averlo fatto) o che cosa avessi fatto o quanti punti avessi. Chi raggiungeva una di quelle mete avrebbe messo a tacere tutti gli altri e vinto, seppur idealmente, quel gioco per immensi viaggiatori.

La cosa bella era ritrovarsi alla fine dell’estate o alla fine dell’anno e confrontarsi per vedere quanti punti avevamo guadagnato.
Lo si faceva con una buona pizza assieme e una birra in compagnia. Erano momenti social più social di qualsiasi piattaforma al mondo. E per questo non hanno prezzo.

Poi arrivò quel giorno in cui io e una mia omonima (nomen omen… mai più vero di così) eravamo in testa al gioco a pari punti e avevamo staccato tutti. Lei aveva scelto la versione asiatica. Io quella delle Americhe. Dopo questo giorno ne arrivò un altro, in pieno inverno, quando la sottoscritta decise di prendere la sua macchinina e andare in Baviera con delle amiche.

Al tempo vivevo in Svizzera e che cosa c’è tra Svizzera, Austria e Germania? Il Liechtenstein!
Il mio cervello non ci mise più di un secondo a formulare l’idea di parcheggiare a Vaduz, farsi un giro e una bella foto a testimone del fatto che fossi lì. Feci di meglio; mi aggrappai al cartello “Liechtenstein” e mi feci fare una foto. Col cellulare la mandai ad un amico, partecipante al gioco. Lui rispose semplicemente “Mitica bastarda 🙂 … hai vinto!

Vinsi io ed il gioco finì. Ma sarei pronta a ricominciare anche da subito.