Sulle ultime colline settentrionali del Monferrato astigiano si trova il paese di Cavagnolo, situato in Val Cerrina e in provincia di Torino. A due chilometri dall’abitato, in una valle tra vigneti e boschi c’è un’antica abbazia, dalla storia tormentata e confusa: l’Abbazia di Santa Fede.
La storia dell’Abbazia di Santa Fede
Menzionata in un documento del 743, la chiesa longobarda originale andò probabilmente in rovina e fu rifatta in forme romaniche a metà del XII secolo; venne quindi nominata da Federico Barbarossa nel diploma di Belfort del 1164 che ne confermava il possesso al Marchese del Monferrato. Era una filiazione diretta dell’importante abbazia benedettina di Sante-Foy-de-Conques in Nuova Aquitania, la regione di Bordeaux, dedicata anch’essa alla Santa d’oltralpe.
I documenti che la riguardano sono tutti leggendari, e narrano di una ragazza dodicenne di nobili origini che, durante la persecuzione di Diocleziano del 303, fu arrestata ad Agen dal prefetto Daciano, il quale cercò di indurla a fare sacrifici agli dei pagani. In seguito al suo rifiuto, la pose dapprima su di una graticola ardente, e la fece poi decapitare insieme con Caprasio, un cristiano che si era nascosto per paura dei tormenti ma poi, indotto da un miracolo della Santa, si presentò spontaneamente al giudice. Il culto si diffuse in tutta la Francia, e in particolare nel percorso che portava a Santiago di Compostela.
La chiesa piemontese, il Monasterii sancte Fidis de Cabagnoli, era dunque stato fondato dall’abbazia di Conques, dove nel IX secolo erano stati portati i resti mortali della santa. Non vi sono però documenti precisi, ma solo accenni documentari e analogie con l’architettura francese dell’epoca, unite a differenze con quel che viene definita la locale scuola del Monferrato. Gli storici dell’arte hanno però identificato diverse similitudini stilistiche con piccoli capolavori piemontesi come San Secondo di Cortazzone o San Lorenzo di Montiglio.
Nei secoli successivi alla fondazione la chiesa visse alterne vicende: al massimo fulgore della seconda metà del Trecento si susseguirono anni difficili, con la scomparsa della comunità monastica, l’abbattimento del chiostro e degli altri ambienti. Nel 1477 passò sotto la diocesi di Casale Monferrato, interrompendo così i rapporti con la chiesa madre francese, poi venne declassata a chiesa cimiteriale; in seguito, il vescovo di Acqui decise di adibirla a propria residenza estiva.
A metà Ottocento venne venduta a privati che usarono i locali vescovili degradati, e la chiesa stessa, come stalla o ricovero di attrezzi agricoli. Nel 1895 fu infine acquistata dai Padri Maristi, che eliminarono i locali fatiscenti uniti alla chiesa e ne costruirono di nuovi; oggi è di proprietà della parrocchia e gli ambienti esterni sono gestiti dalla Comunità Siloe, una comunità nella natura che offre accoglienza e lavoro alle persone più svantaggiate.
Questa la sua storia.
Ma cosa offre oggi l’Abbazia di Santa Fede a un visitatore?
Andiamo con un ordine non regolare.
L’ambiente
La chiesa si trova in mezzo ad un territorio fatto di boschi, vigneti, noccioli e campi coltivati, che offrono sempre una sensazione di tempi lontani, e di grande serenità. Traffico inesistente, solo i rumori del bosco e il vento a fare compagnia. Passeggiando sul lato nord, non appoggiato agli altri edifici, sembra di tornare indietro di secoli, in pieno Medioevo.
L’interno
La chiesa è a tre navate irregolari, con la centrale più grande delle altre e con volta a botte e abside semicircolare, mentre le altre ne sono prive ed hanno volte a crociera. Le navate sono separate con delle semicolonne che in alcuni casi possiedono dei magnifici capitelli in pietra con figure a tema vegetale, di animali o strane teste umane che osservano il visitatore.
Vi è un unico dipinto ottocentesco, e ciò che risalta è il contrastare fra il bianco della pietra e il rosso dei mattoni. L’impressione generale è però spoglia, o per dire meglio essenziale. Alla sinistra dell’ingresso è presente un pulsante che accende le luci della chiesa e una voce registrata che fornisce delle spiegazioni sulla sua storia.
La facciata esterna
Questa è la parte migliore, un vero capolavoro che rapisce a lungo lo sguardo. È quasi interamente in pietra arenaria, di un caldo biondo dorato, che contrasta con i rossi mattoni della parte superiore, poggiati quando fu innalzato il tetto. Ai lati del portale vi sono due semi colonne che non sono in asse con la suddivisione interna delle navate, e che forse un tempo reggevano delle statue. L’ampio portale strombato è impostato su delle semicolonne con capitelli riccamente lavorati: quello di destra a motivi vegetali e foglie, quello di sinistra con figure umane intrecciate a liane. Sopra i capitelli, due animali accovacciati che si fronteggiano. Più in alto, la ghiera esterna dell’arco è decorata con intrecci vegetali e figure zoomorfe, e al centro una croce palmata. Strepitosa la lunetta, con la parte inferiore colma di volute e tralci vegetali, mentre nella parte superiore vi è un Cristo Pantocratore in una mandorla affiancato dagli angeli che è davvero di rara bellezza e di sapore molto antico. Ai lati vi sono due grifoni che si fronteggiano e due figure umane che potrebbero rappresentare Adamo ed Eva.
La sensazione che se ne trae è di essere di fronte alla classica “Bibbia dei poveri” così comune nelle chiese romaniche del Monferrato, ma con contaminazioni più classiche, tipiche del mondo romano e paleocristiano. Mentre in altri casi la rappresentazione è tutta interna, e affidata a bassorilievi oppure a straordinari affreschi, a Santa Fede è raffigurata (quasi) interamente nella facciata, che continua a rapire lo sguardo.
Su delle pietre si possono ancora leggere delle scritte in latino, una delle quali probabilmente si riferisce a un antico priore (PResbiter), di nome Rolandus: “XI KE NOVE’ BRIS OB / ROLANDUS PR”. Chissà.
Alla fine della visita sicuramente avrete sviluppato il desiderio di andare a scoprire le altre incredibili chiese romaniche di questo territorio, così simili e così diverse, oppure di andarne a studiare le origini presso l’Abbazia di Conques in Francia.
Sono area manager di una multinazionale alimentare, ma in realtà viaggiatore “compulsivo” da tutta la vita, senza possibilità di guarigione, da quando ho capito che i viaggi sono la benzina per il motore della mia anima.
Alterno viaggi di scoperta o fatti per nutrire la mente ad altri specificatamente pensati per le immersioni, fatte ovunque ci sia abbastanza acqua.