Vi avevo promesso che, al primo articolo introduttivo, sarebbero seguiti degli articoli più specifici e sono qui a mantenere la mia promessa anche perché, le cose che ho da raccontavi sono ancora moltissime. Oggi voglio parlarvi di quello che è il tema che, forse, mi sta più a cuore: l’attività pediatrica dell’ospedale di Goderich di Emergency.
La prima mattina, quando sono arrivata all’ospedale con la navetta dello staff internazionale, sono rimasta sorpresa nel notare un grande assembramento di persone fuori dai cancelli, quasi tutte madri con bambini. Mi hanno spiegato che quelle persone attendevano il momento del triage, ovvero quello in cui lo staff medico stabilisce la priorità di visita in base alla gravità dei pazienti.
Come vi avevo anticipato nel precedente articolo, ogni giorno, nell’ambulatorio pediatrico, vengono visitati e assistiti 120 bambini, che è già di per sé un numero enorme ma che è comunque frutto di una necessaria cernita iniziale perché, la richiesta, sarebbe ancora più alta.
Ho quindi seguito Carmine, l’infermiere pediatrico che, tutte le mattine, esce dai cancelli e visita i bambini uno ad uno per stabilire le priorità: mi spiega che di norma vengono fatti entrare tutti i bambini sotto l’anno di età, ma questo criterio è fortemente correlato agli altri codici rossi.
Voglio però raccontarvi anche il momento del triage attraverso i miei occhi perché vi posso garantire che l’impatto emotivo è stato molto forte: è stato infatti il momento in cui ho preso coscienza dell’incalcolabile numero di bambini che non possono avere accesso alle cure a pagamento degli ospedali statali e per i quali, l’ospedale di Emergency, rappresenta l’unica speranza.
Finito il triage la sala d’aspetto è colma di mamme e bambini che, pazientemente, aspettano il loro turno. A ciascuno viene preparata la propria cartella clinica dopo un primario screening e poi si passa alla visita con i pediatri.
Ed è proprio in questo ambulatorio che io ho visto scene meravigliose, di grande empatia dello staff medico con i propri pazienti. Paolo, il pediatra, ha un approccio splendido: ha un sorriso per ogni singolo bambino che varchi la soglia e sembra che ogni suo paziente sia il primo della giornata per l’energia che trasmette. Non dimentica però di essere severo con le mamme perché lui sa che la salute di quei piccolini dipende in gran parte dall’istruirle su alcune norme di comportamento.
Proprio a questo fine l’ospedale di Emergency in Sierra Leone si occupa anche di programmi atti a trasmettere ai genitori le corrette pratiche igieniche e nutrizionali al fine di prevenire molti dei problemi clinici che presentano i bambini nel momento in cui arrivano qui. Una delle tante battaglie che si combattono è, ad esempio, quella di convincere i genitori a non rivolgersi ai curatori tradizionali che spesso prescrivono erbe tossiche che non fanno altro che aggravarne le condizioni.
C’è un altro programma portato avanti in questo ospedale che segue questa via: l’ Integrate Management of Acute Malnutrition Programme (IMAM Programme) al quale accedono bambini con gravi problemi di malnutrizione. Per 12 settimane vengono monitorati e seguiti regolarmente e, ai genitori, vengono fornite barrette dall’alto apporto nutrizionale per fornire ai bambini vitamine e minerali indispensabili per la loro crescita.
Mi è stato chiesto spesso quali sono i principali problemi clinici dei bambini che arrivano a Goderich. Primo tra tutti, la malaria: il 55% dei bambini che vengono curati in ambulatorio, e poi, se necessario, ricoverato nel reparto pediatrico, è affetto da questa terribile e inarrestabile malattia. Ci sono poi polmoniti e altri problemi legati alle vie respiratorie, gastroenteriti, infezione del tratto urinario e tifo.
Io, di persona, ho potuto riscontrare due gravissimi problemi di cui, il primo, è legato all’ingestione di soda caustica che, essendo trasparente ed inodore, viene scambiata dai bambini per acqua causando delle gravissime ustioni al tratto esofageo. Ci sono poi le ustioni causate dall’acqua bollente utilizzata per cucinare e sempre troppo alla portata dei bambini.
Dietro tutto quello che ho raccontato sino ad ora ci sono dei nomi e dei volti, ed è questo che cambia completamente le cose nel momento in cui si vive un’esperienza come la mia. Non si tratta solo di numeri o di statistiche che sì, possono impressionare, fare riflettere, ma che non bastano a spiegare. Voglio quindi presentarvi qualcuno di loro, lasciare che siano le loro singole storie a raccontare del reparto pediatrico di Goderich.
Vi presento quindi Sombo, la bambina che mi ha rubato il cuore con la sua infinita dolcezza. Sombo purtroppo è affetta da anemia falciforme e le sue prospettive di vita non sarebbero così basse se non fosse nata in Africa, dove le cure adatte non ci sono. La sua malattia porta fortissimi dolori eppure lei ha già imparato a soffrire in silenzio e a sorridere tutte le volte che le forze glielo consentono. E’ ricoverata in questo ospedale e qui le hanno dato una speranza, l’unica cosa di cui lei, e la nonna che le siede sempre accanto, abbiano bisogno.
Lui invece è Albert, anche se in ospedale lo chiamano tutti Big Hearth. Quando me lo presentano lui alza la maglietta e mi fa vedere come si possa vedere il battito del suo cuore anche ad occhio nudo. Albert è affetto da un grave malfunzionamento cardiaco ed è arrivato qui dopo un lungo viaggio dai confini con la Liberia. Qui ha ricevuto tutte le cure possibili ed è già stato inserito nel programma cardiochirurgo portato avanti da Emergency in Africa (ANME – African Network of Medical Excellence)
C’è poi Mohamed, un bambino di una bellezza ammaliante. Lui è uno di quei casi di cui vi parlavo sopra, ovvero dei “bambini soda”, che, ingerendo soda caustica, hanno irrimediabilmente compromesso il tratto esofageo. In questo ospedale gli hanno però salvato la vita.
Lui è Santos, la faccia più birichina di tutto l’ospedale. Santos è zoppo a causa della poliomielite che gli ha compromesso l’uso di un arto. In un incidente domestico si è rotto la gamba sana per cui non potrà camminare per un po’ di tempo. Santos ha un’altra grande sfortuna: è orfano. Qui in ospedale però non è solo: non solo è stato curato, ma spesso qualcuno dello staff passa un po’ di tempo con lui riuscendo a scucirgli uno dei suoi meravigliosi sorrisi.
L’ho lasciato per ultimo perché James è la storia più bella da raccontare, una storia di speranza, perseveranza, voglia di andare avanti. James è paziente dell’ambulatorio di pediatria ed è un bambino diabetico. Il diabete è una malattia perfettamente curabile, ma quello che nessuno di noi pensa è che avere il diabete può essere un grandissimo problema in Africa, soprattutto se si vive in una casa senza frigorifero in cui mettere l’insulina. James però ha riconosciuto la grande occasione che gli veniva data di essere seguito da medici altamente competenti e ha voluto fare la sua parte, o meglio, fare molto più di quanto gli competesse.
Paolo, il pediatra, me lo presenta e, con la voce rotta dall’emozione, mi racconta che la settimana prima si era presentato con un foglio ed un disegno che però Paolo non aveva capito cosa fosse. La settimana dopo James ha fatto di più: si è presentato con il disegno e con la realizzazione pratica del suo progetto, ovvero un mini frigorifero perfettamente funzionante in cui poter conservare la sua insulina, tutto realizzato con materiali di recupero.
A fronte di tutti questi piccoli e grandi miracoli quotidiani, chiedo anche a voi di fare la vostra piccola parte con una donazione ad Emergency che rende tutto questo possibile.
Vivo a Torino, città che amo profondamente, ma nonostante questo mio amore, spesso, sento l’esigenza di scappare lontano da lei per scoprire altri nuovi splendidi luoghi. Credo profondamente che anche viaggiare sia una forma d’arte e che più il viaggiatore sviluppa curiosità, fantasia e originalità, più saprà creare itinerari di viaggio meravigliosi.