Dopo lunghi mesi di attesa la prima opera di Frank Gehry in Australia è stata finalmente inaugurata.
Il profilo del nuovo edificio della University of Technology di Sydney è stato svelato per la prima volta agli abitanti australiani nel settembre del 2014, cambiando in modo sostanziale la skyline di una delle città più famose al mondo.
Il progetto, costato 180 milioni di dollari australiani e parzialmente finanziato dal dottor Chau Chak, noto finanziere e filantropo australiano a cui la struttura deve il nome, si inserisce all’interno della riqualificazione generale dello UTS City Campus. Gehry ha dichiarato di aver preso ispirazione dalle case sugli alberi e infatti nell’edificio coesistono “un tronco con il nucleo centrale delle attività e vari rami per consentire alle persone di mettersi in contatto e svolgere le proprie occupazioni”.
La realizzazione di questa struttura ha incontrato in corso d’opera numerosi difficoltà sia logistiche che economiche, ma ha dato frutto ad un edificio di dodici piani che, rispettando a pieno la poetica dell’architetto, è definito da un involucro frammentato, asimmetrico e dalle forme organiche.
La struttura presenta due diverse facciate esterne, una realizzata con mattoni ondulati come omaggio alla tradizione del laterizio della città di Sydney e l’altra, esposta a ovest, caratterizzata da ampie superfici di vetro “per rifrangere e riflettere l’immagine delle costruzioni circostanti”.
La cosa che più colpisce è infatti la soluzione estetica dell’edificio: le due facciate, completamente diverse tra di loro per forma e materiale rendono questo edificio unico nel suo genere, non solo in Australia ma nel mondo intero.
Le pareti ondulate, che ricordano per colore e texture la sabbia umida dei castelli di sabbia, sono accostate ed intervallate dalle grandi e sporgenti finestre quadrate a specchio che spesso troviamo nei progetti di Gehry. I materiali scelti sono un tributo alla tradizione tipica di Sydney di costruire in arenaria mentre la superficie delle pareti ondulate, che sembra essere increspata da un forte vento, proprio come nelle Beekman Tower di New York, rende bene l’idea di involucro fragile e soggetto ai mutamenti climatici. I muri tortili e la sinuosità delle linee sono un altro carattere distintivo delle sue architetture, basti ricordare il museo Guggenheim di Bilbao o le Torri Danzanti di Praga per capire a pieno la sua poetica architettonica.
Dall’altro lato invece siamo in presenza di una facciata realizzata interamente in vetro. Soluzione stilistica che non si abbandona comunque alla banalità di un materiale così largamente usato: grandi lastre di vetro sembrano essere infatti adagiate in modo casuale sull’edificio, come se fossero schegge di vetro e specchi infranti che casualmente si trovano al posto giusto ed al momento giusto. Questa disposizione di un materiale come il vetro che può essere leggero e pesante allo stesso tempo, rende la texture dell’edificio impalpabile, leggiadra ed estremamente lucente e riflettente.
L’impegno tecnico impiegato nella realizzazione pratica dell’edificio è stato unico nel suo genere: circa 320.000 mattoni sono stati prodotti su misura in cinque tonalità diverse di marrone per rendere più naturali le sensazioni di chiaro scuro e di ombreggiatura dando alle superfici una intrinseca forma tridimensionale. Ogni mattone ha una funzione specifica per la facciata che ha la particolarità di non presentare nemmeno una linea retta. Il mattone più particolare è quello chiamato ‘K-brick’ che è stato progettato appositamente con una specifica angolatura per creare le curve e le ombreggiature richieste.
L’impresa che ha gestito l’operazione, capitanata dal capomastro Peter Favetti, che per poter partecipare alla costruzione dell’opera ha volontariamente messo in pausa il suo pensionamento, ha confermato di aver usato i migliori software ed i migliori metodi costruttivi, incluso il BIM (Building Information Modeling) che sono stati a loro volta combinati alle tecniche artigianali della tradizione, per ottenere quel design unico di Frank Gehry.
Mister Favetti ha dichiarato che ‘”l’opera di Gehry è stata l’impresa più difficile che mi sia capitata in 48 anni di carriera. Non è stato possibile basarsi sulla geometria delle linee rette ed abbiamo lavorato prevalentemente ad occhio, senza misure precise.”
Le sorprese non finiscono qui: dal punto di vista energetico il Chau Chak Building è una delle strutture accademiche più verdi d’Australia, con una certificazione di 5 stelle Green Star attribuitegli dal Green Building Council of Australia (GBCA).
Le caratteristiche chiave della sostenibilità dell’edificio comprendono vetri ad alte prestazioni, servizi ad alta efficienza energetica, sistemi di efficienza idrica e un serbatoio di acqua piovana di 20.000 litri. Inoltre, legnami provenienti da fonti sostenibili sarà utilizzato durante la fase di costruzione mentre dispositivi digitali comunicheranno passo dopo passo le caratteristiche sostenibili dell’edificio.
Per quanto mi riguarda trovo che questo edificio sia la rappresentazione più efficace della crisi economica ed intellettuale che sta attraversando l’intero pianeta. L’edificio sembra collassare su se stesso proprio come un castello di sabbia ed è ammirevole che gli australiani non vedano le città come ammassi monotoni di edifici in stile ma terra di sperimentazione andando spesso incontro ad aspre critiche e giudizi poco piacevoli.
Cresciuta tra i verdi prati della Valtellina e la traballante Emilia mi sento a mio agio con le scarpe da trekking ed uno zaino sulle spalle. Sono architetto, vivo a Firenze ma sono cittadina del mondo. Sono un’avida lettrice di libri in lingua ed un’aspirante scrittrice. Parlo al contrario ed amo correre, anche lunghissime distanze, ma solo all’aria aperta. Cosmopolita e poliglotta, la mia vera passione, oltre ai viaggi ai quattro angoli del globo, è l’architettura contemporanea ed eco-sostenibile. Il mio architetto preferito è l’italianissimo Renzo Piano che spero un giorno di incontrare. Potete seguirmi su Instagram (missarchipaola) o scrivermi un’email ([email protected]).