Ikateq è un villaggio fantasma. Sorge su una piccola isola al largo della costa della Groenlandia Orientale, all’imbocco del fiordo Sermilik. Dall’altro lato c’è Capo Tycho Brahe. Che nome! Di quei nomi che trovi sulle carte geografiche e che sono fatti apposta per farti immaginare antichi e romantici viaggi d’ esplorazione.
Come anche la Terra di Francesco Giuseppe. Ora né l’ astronomo scandinavo né l’augusto imperatore coi favoriti hanno mai messo piede sul ghiaccio artico. Quei segni sulle carte geografiche sono un’ emozione, un omaggio, una piaggeria, tutto meno che il ricordo della loro visita.
Tycho Brahe fu quello che si avvicinò di più a queste latitudini, e non andò oltre l’isoletta danese di Uranienburg – che almeno apparteneva allo stesso regno della Groenlandia – anche se la sua immagine è legata più ai tempi cabalistici di Praga.
“Egli appartiene al mistero di questa città, non solo per la scenería di astrolàbi, clessidre, armille, sestanti, fra cui si muove, ma anche per il grande naso posticcio, che gli dà aspetto sinistro e lo agguaglia al manichino spettrale di un compendio di rinoplastica. Secondo Max Brod, una pròtesi d’oro e d’argento sostituiva il naso, da lui perduto, quando era studente a Rostock, in un duello per una dama. A Tycho piaceva lasciarselo palpeggiare dagli altri, e i suoi avversari insinuavano che egli se ne servisse come di un’alidàda per compiere le osservazioni celesti, quasi il suo volto fosse composto di attrezzi da astronomo, alla maniera dei quadri dell’Arcimboldo.”
Ripellino traccia magistralmente un ritratto speziato dell’astronomo che ha dato il nome al capo che immaginiamo sorgere al di là delle acque grigie e immobili del fiordo.
Ikateq negli anni anni del suo massimo sviluppo arrivò a contare fino a settanta abitanti, tutti cacciatori inuit. Ma quando la caccia fu regolamentata e quindi a loro vietata, costoro persero ogni loro fonte di sostentamento e si spostarono verso il capoluogo del distretto in cerca di sussidi statali.
Restarono così solo le donne e i vecchi, poi gradualmente le donne raggiunsero i mariti e restarono solo i vecchi, che pian piano morivano.
L’ultimo se ne è andato nel 2005 e da allora l’abitato è deserto.
Il fatto è che Ikateq di abitanti ufficialmente ne ha uno. Sarà che l’ ultimo abitante del posto non ha trovato il modo di farsi cancellare dai registri anagrafici.
O forse è un fantasma anche lui, come il villaggio che lo ospita: poche costruzioni in legno, un deposito, una grossa struttura per essiccare il pesce ed una chiesa con annessa aula scolastica. Tutto però è come se il posto fosse ancora abitato: in chiesa l’ organo ha ancora gli spartiti sul leggio, nell’ aula ci sono i libri sul tavolo, i gessetti, una lavagna piena di disegni, ma forse non sono degli alunni, solo di altri visitatori passati prima di noi; appesa al muro c’è una carta geografica, vecchiotta e coi confini ormai inattuali.
Le case hanno i vetri intatti, all’interno è visibile l’arredamento, i cappotti appesi alle grucce, le stoviglie, i soprammobili. Come se qualcuno passasse a fare le pulizie ogni settimana.
Ci sono slitte di legno e cucce per i cani, depositi di attrezzi e pezzi di ricambio di barche. Ma non c’è anima viva. Come se il tempo si fosse cristallizzato, come se gli abitanti fossero scomparsi tutti all’ improvviso ed il paese non avesse attraversato una fase di decadimento.
Meno male che d’estate qui non fa mai buio, perché ci sarebbe quasi da avere timore per i fantasmi che sicuramente si aggirano tra queste case!
Ma non c’è nessun arcano e nessun intervento soprannaturale: nel periodo invernale, quando le acque interne sono ghiacciate e su quest’ isola ci si può arrivare con le slitte, Ikateq è ancora utilizzato come avamposto e rifugio dai cacciatori che provengono dagli altri villaggi.
Il clima rigido, la mancanza di polvere e la assoluta mancanza di danni provocati da altre persone contribuiscono a mantenerne l’aspetto di un paese i cui abitanti sono tutti andati da qualche parte, e torneranno più tardi.
Ho girato il mondo in largo e per un bel pezzo anche in lungo, e sono sempre ritornato con la voglia di raccontare e condividere le emozioni vissute. Per lungo tempo il mio strumento è stata la macchina fotografica: collaboro con alcune delle maggiori agenzie fotografiche e le mie foto sono state pubblicate su prestigiose riviste. Adesso ho deciso di aggiungere alle immagini le parole ed il risultato è questa mia collaborazione con NonSoloTuristi, oltre che il mio blog personale.
che pezzo inquietante… e che posto affascinante!