Tam, tam, tam-tam-tam. Piatti e tamburi iniziano le prove all’alba.
16 agosto 2019 a Bhaktapur, città medievale a sud est di Kathmandu, Nepal. È una giornata carica di aspettative e attesa per i nepalesi, ma anche per noi. Oggi inizia Gai Jatra.
Partecipare a Gai Jatra, in famiglia
La grande famiglia del nostro ospite Ganeshial comincia a radunarsi nel giardinetto della homestay la mattina presto. Oggi è un giorno di festa.
I sette fratelli vestono di bianco, la testa completamente rasata eccetto un piccolo ciuffo sulla fontanella. La loro pelle ambrata risplende negli abiti candidi. Un tika giallo sulla fronte. Simboleggia il “detachmnent”, non attaccamento, ci spiegano.
Le donne sfilano nei loro sari colorati. Quello della nonna è celeste. Elegantissimo.
Ragazzi e ragazze della banda che guiderà il corteo indossano gli abiti tradizionali Newari: scuri con bordo rosso per le donne; neri con minuscole texture ricamante per gli uomini.
L’appuntamento è per le 9.00. Si parte tutti insieme in corteo per celebrare la morte della madre di Ganeshial e di uno degli zii, mancati quest’anno.
Un corteo funebre?
No, una festa della gioia. È Gai Jatra, il festival che ogni anno, durante il quinto mese del calendario nepalese, vede le famiglie portare in processione altari e immagini dei defunti in giro per la città.
Si celebra in tutta la valle di Kathmandu, ma quello che si svolge a Bhaktapur è il più bello, ci dicono. Un trionfo di musica, canti e danze.
Una delle esperienze più coinvolgenti e sconvolgenti del nostro viaggio in Nepal. È il nostro ultimo giorno. Concludiamo il viaggio con il sorriso stampato in faccia, partecipando insieme alla famiglia di Ganeshial a questa celebrazione. È il nostro terzo festival in undici giorni.
Origini del festival dei defunti
Gai Jatra, il festival della mucca (gai), è una festività induista dalle origini antiche. Ma il festival come lo conosciamo oggi affonda le sue radici nel XVII secolo, durante il regno di Pratap Malla. Il sovrano diede inizio a questa celebrazione per sostenere la moglie, afflitta dalla morte prematura di uno dei figli, incapace di risollevarsi da questo lutto.
Egli invitò le famiglie che avevano perso un parente nell’ultimo anno a sfilare e danzare lungo le vie della città in ricordo della persona cara, per dimostrare alla moglie che non era sola nel suo dolore. Musica, canti, danze e siparietti satirici riuscirono strappare un sorriso alla regina, aiutandola a riprendersi e a ricominciare a vivere.
Una festa per i defunti quindi, sì, ma soprattutto per la vita. Gai Jatra è così, ancora oggi.
E mentre noi occidentali ci mischiamo alla folla, ci sentiamo trascinati dal battito dei tamburi e dalle danze, senza poter smettere di sorridere.
Preparativi per la festa
La mattina inizia in una frenesia di padelle, pentoloni bollenti, verdure e carne tagliata a tocchetti, uova sode e montagne di riso ammassate sotto un tendone in fondo al giardino. C’è un’aria di concitazione e urgenza. Eppure il nostro ospite riesce a trovare il tempo anche per noi, dedicandoci premurose attenzioni e coinvolgendoci nei preparativi.
Le due bambine della famiglia, vestite e truccate come piccole dee, restano pazientemente immobili mentre mamme e zie le agghindano per guidare il corteo dei festeggiamenti.
Anche noi siamo invitati alla processione. Ci sentiamo onorati, eccitati, fuori posto.
Dopo una abbondante colazione nepalese con uova sode, riso, ceci e verdure speziate, il corteo comincia a formarsi. Tamburi e piatti riprendono indemoniati. Tam, tam, tam-tam-tam.
Seguono le piccole dee, le mamme con i ventagli, le zie, la nonna nel sari celeste.
Tutti in famiglia approvano la nostra presenza annuendo con la testa e con larghi sorrisi. Qualcuno ci riempie le mani di bastoncini di incenso lunghi e profumati. Usciamo dal giardino e ci immettiamo lungo le vie della città, accodandoci al corteo.
Inside Gai Jatra
La città in festa appare trasformata. Rivoltata come un calzino da cui sono corse fuori decine di migliaia di persone. Le soglie dei negozi e le logge lungo le vie sono foderate di gente. Tutti accalcati uno vicino all’altro. In piedi, seduti, bambini in braccio, nonnette rugose ed eleganti, orecchini che scintillano.
La giornata è coperta ma tra la folla si suda. Respiriamo e odoriamo di incenso. Il corteo più profumato della storia. Camminiamo lentamente osservando tutto con occhi avidi.
In mezzo alla famiglia nepalese, siamo come mosche bianche. La nostra presenza dentro la processione desta sguardi sorpresi e incuriositi. Tutti ci guardano. Ci sorridono e ci salutano dai lati della strada.
Qualcuno ci corre dietro per scambiare due parole. Ci chiede di dove siamo e ride alle nostre risposte. Una pacca sulla spalla e molti sì sì con la testa. Ci chiedono se ci piace il festival.
Arrivati in centro, il tempio Nyatapola, altissimo e imponente, è irriconoscibile rispetto a ieri. Ogni centimetro delle gradinate è occupato. Nella piazza antistante, solo un corridoio libero per lasciar passare il corteo. Come in una staffetta, ai lati compaiono donne e uomini appostati con pacchetti da donare alla famiglia. Riempiono le borse dei parenti più stretti di piccole offerte: succhi di frutta, biscotti, qualche rupia.
Nell’aria risuona il tam, tam, tam-tam-tam. Sempre uguale, ossessivo, ripetitivo, battente, incessante. Dopo un’ora di processione il cervello va allo stesso ritmo.
Corriamo avanti e indietro per rubare qualche foto, ma la folla non si ferma, non attende il nostro otturatore. Va avanti senza sosta, come sangue nelle vene.
Ancora un tuffo nella folla
Finito il giro ad anello intorno alla città, una breve sosta fuori casa. Fratelli e zii fanno un’ultima danza davanti alla soglia prima che i tamburi e i piatti della banda siano messi a riposo.
Ad attenderci, un ricco pranzo in giardino.
Fra tutti, sembriamo noi i più stanchi e i più sudati. Non siamo abituati a questo continuo di festival e rituali e danze che inframezza la vita nepalese così spesso.
Il nostro ospite e i familiari siedono a gruppetti. Ci invitano ad assaggiare questo e quello. Qualcuno si ferma accanto a noi per scambiare due parole. Piatti, pentoloni che corrono avanti e indietro, cucchiaiate di riso e verdure e carne e poi il famoso yogurt di Bhaktapur.
Recuperiamo le forze seduti all’ombra e poi ripartiamo a passo sostenuto per ributtarci tra la folla.
La danza continua. C’è spazio per tutti. Per i gruppi professionisti e per quelli improvvisati. I più belli sono quelli in abiti tradizionali e maschere in cartapesta, ballano come forsennati facendosi largo lungo la strada. Il trucco elegante delle ragazze le fa sembrare delle gatte, mentre con flauti e caraffe danzano a due a due con i propri partner. Gruppi di bambini caricano i loro bastoni in legno e li battono a ritmo, incuranti dei passanti alle loro spalle. Qualche straniero si lascia trascinare dalla festa e si unisce ai cortei.
Rientriamo in camera sfiniti, appiccicosi e felici. Prepariamo le nostre valigie mentre da lontano echeggia ancora il ritmo dei tamburi, che ormai si è impossessato dei nostri pensieri e pulsa nello stomaco. Non potevamo salutare il Nepal in modo più trionfante.
Il video del festival Gai Jatra a Bhaktapur
Sono curiosa, schietta, introversa, lettrice affamata e pretenziosa. Amo gli aggettivi insoliti, i decolli e gli atterraggi, i sapori decisi e le parole gentili.
Nel tempo libero sogno, scrivo sul mio blog di viaggi e mi do arie da runner della domenica.